26 febbraio “Automata” – curiosità

26 febbraio “Automata” di Gabe Ibanez con Antonio Banderas, Birgitte Hjort Sørensen, Melanie Griffith, Dylan McDermott,Robert Forster, Andy Nyman, Tim McInnerny, David Ryall,Lubomir Neikov, Harry Anichkin e Andrew Tiernan  prodotto da Antonio Banderas,Sandra Hermida,Danny Lerner,Les Weldon (Eagle)

 

SINOSSI

 

Anno 2044. La Terra ormai sta andando verso la graduale desertificazione. L’umanità cerca faticosamente di sopravvivere a un ambiente sempre più ostile. La scomparsa della razza umana è appena cominciata, in bilico tra la lotta per la vita e l’avvento della morte. La tecnologia tenta di contrastare questo scenario di incertezza e paura con il primo androide quantistico, l’Automata Pilgrim 7000, progettato per alleviare la minaccia che incombe sulla società umana. AUTOMATA alza il sipario sulla convivenza tra uomini e robot in una cultura e in un mondo plasmati, per antonomasia, sulla natura umana.

 

Al declino della civiltà umana fa da contrappeso la rapida ascesa della ROC (Robotics Corporation), società leader nel campo dell’intelligenza robotica. Malgrado la morte a cui l’umanità è destinata, la società ha posto in essere rigidi protocolli di sicurezza per assicurare il controllo dell’uomo sugli androidi quantistici. L’agente assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è pagato per svolgere controlli di routine sui modelli difettosi di androidi: è così che inizia ad addentrarsi nei segreti e nelle vere intenzioni che si celano dietro gli Automata Pilgrim 7000. I sospetti di Jacq continuano ad alimentare il mistero – svelando una verità molto più scomoda e inquietante di qualunque robot.

 

Con AUTOMATA, lo sceneggiatore/regista Gabe Ibáñez porta sul grande schermo una storia al confine tra sci-fi e realtà, un’interessante prospettiva sulla teoria dell’evoluzione e su un futuro per nulla remoto. Un cast d’eccezione, tra cui spiccano Antonio Banderas, Birgitte Hjort Sørensen, Melanie Griffith, Dylan McDermott e Robert Forster.

 

 


 

IL FILM

 

LA STORIA DI AUTOMATA

La teoria della singolarità tecnologica è un punto, nell’evoluzione di una civilizzazione, in cui il progresso tecnologico umano accelera oltre la stessa capacità di comprendere e prevedere, dando vita, più specificamente, a un’intelligenza superiore a quella umana. Elaborata dagli scienziati negli anni ’50, la teoria della singolarità tecnologica ha attraversato la cultura del ‘900, affascinando e appassionando anche i registi contemporanei, che ne hanno esplorato le estreme conseguenze attraverso il linguaggio cinematografico. La teoria della singolarità ha permesso allo scrittore e regista Gabe Ibáñez di guardare la vita con occhi nuovi, con una prospettiva che mette in gioco il senso stesso della vita e il ruolo dell’uomo nella storia dell’evoluzione.

 

Così comincia AUTOMATA, con queste poche righe sovrimpresse:

 

Milioni di robot stanno assistendo al declino della civiltà umana.

 

Milioni di robot che obbediscono a due protocolli di sicurezza:

 

Il primo protocollo impedisce al robot di minacciare qualunque forma di vita.

 

Il secondo protocollo impedisce al robot di modificare se stesso o altri robot.

 

 

Quasi profetizzando un futuro in cui uomini e robot vivranno fianco a fianco, Ibáñez introduce lo spettatore nella notte fitta e scura che avvolge una città e le sue strade.

 

“AUTOMATA rappresenta il punto in cui l’intelligenza artificiale raggiunge e interseca quella umana; il momento in cui nascono i robot, sviluppando un’intelligenza che supera la stessa umanità.” Ibáñez esplora così la complessità della mente umana, spingendosi fino alla sfida tra uomo e macchina.

 

Il produttore Les Weldon ha visto nell’idea di Ibáñez un enorme potenziale, trasferito nella sceneggiatura che il regista ha scritto a sei mani con Igor Legarreta e Javier Sánchez Donate. “La sceneggiatura è fenomenale, idea geniale di un mondo ancora raramente esplorato. In giro ci sono tanti film post-apocalittici, ma raramente scenari pre-apocalittici, dove tutto degenera nel caos.”

 

“Credo che prima o poi il genere umano si estinguerà”, dice lo scrittore Igor Lagarreta. “Ed è proprio di questo che parla il film, dell’inizio e della fine del genere umano. L’idea che il film intende proiettare sul pubblico è proprio questa, che tutti noi… Siamo vita.”

 

Per riuscire a dare corpo all’idea, Ibáñez racconta di aver cercato e trovato ispirazione nei classici noir hollywoodiani. La trama filmica si snoda prendendo le mosse da “un personaggio che scopre un dettaglio apparentemente insignificante, che in realtà è tutt’altro che trascurabile”, dice Ibáñez. “Questo tipo di approccio narrativo è tipico dei film noir. È come piantare un seme nella vita del protagonista e, lentamente, coltivarlo attraverso l’interazione con ogni nuovo personaggio che entra in scena”.

 

Nel mondo di Ibáñez, l’intelligenza artificiale è quasi una parte naturale della società, da cui è accettata e incamerata, con la propria funzione e scopo precipui. “Dei robot l’aspetto più importante è l’intelligenza, non la forza, la velocità o le capacità”, racconta Ibáñez. Ecco perché la trama è costruita attorno al concetto di singolarità tecnologica, a partire dal momento in cui l’intelligenza artificiale prende forma e trova una sua collocazione all’interno della stessa teoria dell’evoluzione.

 

Nel caos imperante, causa e conseguenza della progressiva distruzione e desertificazione terrestre, Ibáñez riesce a trasmettere una certa empatia per le creature artificiali, portatrici di quella fibra morale che gli umani sembrano aver smarrito e finanche disprezzato nel tempo. Il regista ha voluto dare, a questo ritratto dell’intelligenza artificiale, la caratteristica reale e possibile di un futuro non troppo lontano. Lungi dal mettere uomini e robot gli uni contro gli altri, come in tanti altri thriller sci-fi, Ibáñez ha dato maggior risalto alle teorie filosofiche che sottendono al tema stesso. “Nel film, naturalmente i robot sono e restano creature spettacolari”, dice Ibáñez. “Ma in fondo, questo è un film che parla dell’uomo, della sua intelligenza, di come ha abbandonato le caverne, ha scoperto il fuoco e ha inventato la ruota.”

 

L’UOMO E I ROBOT

Per il ruolo del protagonista, l’agente della ROC Jacq Vaucan, Ibáñez cercava un attore che fosse in grado, prima di tutto, di entrare in sintonia con le sue idee e con la sceneggiatura. Antonio Banderas era la persona giusta per il progetto. “Non è il tipico sci-fi hollywoodiano”, ha detto l’attore. “Questo film è più filosofico, più umano se vogliamo. Una storia grandiosa, intrisa di sapori e reminiscenze dei noir degli anni ’40 e ’50, con una trama imponente.” Arrivato neanche a 30 pagine di sceneggiatura, Banderas ha chiamato il regista per dirgli: “Ehi, Gabe. Sono arrivato a pagina 28. Ti dico che se continua così fino a pagina 106, accetto.”

 

E da quel momento, Banderas, che di questo film è anche co-produttore, ha cominciato a esplorare le tante sfumature del protagonista, Jacq Vaucan. “Jacq è un uomo che fondamentalmente non ama il mondo in cui vive. Questo disagio è amplificato ulteriormente dalla gravidanza della moglie, e dall’idea che sia sbagliato far nascere un figlio in un mondo tanto detestato” spiega Banderas.

 

Agli antipodi rispetto al tormento di Jacq, è il personaggio di Rachel, sua moglie, interpretata da Birgitte Hjort Sørensen. Il regista la descrive come “l’ottimista del film”. La Sørensen ha accettato con entusiasmo di interpretare Rachel e di lavorare con Banderas: l’approccio professionale dei due attori, in realtà molto simile, ha consentito loro di costruire assieme le scene e di imparare molto l’uno dall’altra. In AUTÓMATA, la Sørensen interpreta il ruolo entusiasta e ottimista di una futura madre, in contrasto con il disincantato pessimismo di Jacq. “Anche se è un mondo difficile su cui incombe costantemente la minaccia della morte, Rachel non perde la speranza” spiega Sørensen. “Una donna forte nello spirito, che però non impone la sua forza ma accetta e non pretende di cambiare la disillusione di suo marito. Rachel è la vera colonna della casa, la donna su cui Jacq può sempre contare.”

 

Tim McInnery interpreta Vernon, il capo della sicurezza della ROC. “Un personaggio molto pericoloso”, spiega said McInnery. “Uno di quelli che non vorresti mai incontrare nella vita. E se malauguratamente lo incroci, di certo non è uno che si fa remore. Può arrivare a ucciderti senza ritegno. E se qualcosa va storto, cercherà sempre un capro espiatorio. Qualunque cosa accada, lui cerca il colpevole. E quando lo trova, lo punisce senza pietà.”

 

Robert Forster interpreta Robert Bold, il capo di Jacq alla ROC. Bold, che è anche imparentato con Rachel, è sempre dalla parte di Jacq. Forster descrive il suo personaggio come un uomo piuttosto statico, ligio al proprio dovere ma senza troppa voglia di cambiare le cose. “Uno dei film più belli che ho fatto negli ultimi anni”, racconta Forster. “Non è un noir. A un certo punto sembra quasi un po’ un western. Direi che ci sono entrambe le cose. Il film ha un significato profondo. È la storia del primo scimpanzé, che un bel giorno ha deciso di scendere dal suo albero, ha imparato e difendersi e ha capito di essere in grado di vivere anche a terra. E così è iniziato il genere umano. Il nostro film fa un passo avanti… diverso. Ed è una storia molto affascinante.”

 

Dylan McDermott interpreta Wallace, violento e alcolizzato agente di polizia, ruolo alquanto inusitato per un film che parla del futuro dell’umanità: “Mi è piaciuta molto quest’idea di evoluzione – dallo scimpanzé, all’uomo, ai robot. La sceneggiatura è molto bella, ha molti tratti poetici e metaforici, che fanno di questo film un progetto originale, come non ne esistono tanti in giro.”

 

Melanie Griffith interpreta Susan Dupre, la scienziata preposta alla programmazione dei robot: “Interpretare questo ruolo mi è piaciuto moltissimo. Non il genere di piacere che provi a metterti abiti di scena pazzeschi, disegnati dai migliori stilisti. No, su questo set mi sono divertita a giocare con oggetti meccanici di ogni tipo.”

 

Il film è stato girato in Bulgaria, nei dintorni di Sofia. Location perfetta per AUTOMATA, la Bulgaria offre anche molte miniere, scenario ideale per riprodurre la desolazione del mondo immaginato da Ibáñez. Per gli esterni, il Boyana Film Studio è riuscito a far destreggiare perfettamente troupe e attori nell’incertezza meteorologica primaverile.

 

Come spiega la produttrice Sandra Hermida: “La troupe è un bel mix di bulgari, americani e spagnoli. Impeccabili dal punto di vista professionale e da quello relazionale. Un team di persone appassionate, che hanno messo corpo e anima nel progetto, che vi hanno creduto fino in fondo, che hanno dato il meglio di sé. E questa è la cosa che conta di più. Fare un film è sempre un lavoro di squadra.”

 

Il regista ha voluto Alejandro Martinez come Direttore della Fotografia e Armaveni Stoyanova come Costumista. Martinez e Stoyanova, già collaboratori del regista in passato, sin dai suoi esordi, conoscono bene lo stile di Ibáñez. “La cosa bella di questo film, sia dal punto di vista della fotografia sia dal punto di vista dei costumi, è l’uso particolare della luce”, spiega Ibáñez. “Abbiamo deciso di non modificare l’illuminazione passando da un set all’altro. La luce fa parte del set, e se vogliamo del punto di vista attraverso cui la storia viene raccontata. Può darsi che non sia tutto perfetto o perfettamente levigato, ma in fondo credo che sia molto più realistico così. Per raccontare una storia come questa, il Direttore della Fotografia e la produzione devono lavorare fianco a fianco sempre, per definire di volta in volta in che modo la luce può essere utilizzata per dare un tocco naturale e realistico.”

 

È nell’unico robot donna, Cleo, che Ibáñez incarna l’idea del filo rosso dell’evoluzione della specie. Cleo, infatti, comincia a sviluppare una consapevolezza e una curiosità che vanno oltre i rigidi protocolli degli androidi. Per mettere in risalto le qualità “umane” di Cleo, la makeup artist Elena Zhekova spiega come le espressioni facciali siano state plasmate per infondere un senso di umanità e di vita a un essere pensato per antonomasia come artificiale. “C’erano tre versioni diverse del viso di Cleo. Visto che lavora in un bordello, Cleo indossa sempre abiti molto appariscenti e una parrucca.” Il trucco degli occhi è stato studiato nei minimi dettagli per trasferire, nel colore, le sfumature emotive della storia.

 

Nella vita reale, i robot vengono utilizzati da un team di esperti che collaborano alla definizione e alla progettazione di ogni singolo modello. All’inizio del film, i robot sono creature asettiche e meccaniche, ma a mano a mano che la trama si snoda, le cose cambiano. “Alcuni robot sviluppano un’inattesa coscienza di sé, una consapevolezza imprevedibile. La loro meccanicità e precisione comincia a sbiadire nel momento in cui l’emozione e il sentimento evolvono in un barlume di personalità”, spiega Wes Gaefer, che si è occupato di gestire le nuove “creature” sul set.

 

In AUTOMATA, ogni androide è come un’auto. Così come i vari modelli di auto sono pensati per scopi diversi, così i robot, in questo film, sono progettati per assolvere a diverse funzioni. Il robot giallo con due gambe è utilizzato a scopo industriale, mentre l’androide verde scuro ha una struttura molto più robusta. “Tutto quello che abbiamo scoperto in milioni di anni… un robot impiega una settimana a farlo”, commenta Banderas.

 

Con questo film, Ibáñez ha voluto far guardare attori e robot negli occhi, in modo emotivamente coinvolgente, anche se solo attraverso plastica e fibra di vetro. Questo aspetto conferisce grande profondità al film, con un ritratto intimo e vivido di come potrebbe essere un giorno, il nostro futuro, se gli uomini scoprissero che i robot hanno imparato a vivere.

 


 

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