Michele Anselmi per “il Secolo XIX”
Oscar 2012: Paolo Sorrentino salta il turno. Peccato. “This Must Be the Place” non esce più negli Usa entro la fine dell’anno, neanche in forma ridotta, quindi non potrà gareggiare nella corsa alle mitiche statuette. Tutto rinviato al 2013. Forse. Acquistato per il mercato americano dai fratelli Weinstein, il film sarà lanciato nelle sale il 30 marzo prossimo, in contemporanea all’uscita inglese. E intanto, a fine gennaio, “This Must Be the Place” sarà al Sundance Festival di Robert Redford, nello Utah, in modo da sfruttare il palcoscenico illustre come prima passo della campagna promozionale.
Lo spiegano al “Secolo XIX” Nicola Giuliano di Indigo e Andrea Occhipinti di Lucky Red, due dei produttori italiani (il terzo e più consistente è Giampaolo Letta di Medusa), smentendo dissapori e divergenze con la Weinstein Company in merito alla versione definitiva da licenzare. Era stato Dagospia, sempre ben informato, a titolare così un malizioso “flash”, ieri mattina: «Addio agli Oscar per Sorrentino. Il producer Weinstein non si accontenta di un taglio di 15/20 minuti e non presenta nelle sale americane il film entro il 31 dicembre, termine ultimo per gli Oscar e i Golden Globe».
Come stanno davvero le cose? Uscito nelle sale italiane il 14 ottobre scorso con un riscontro commerciale di tutto rispetto, oltre 6 milioni euro, il film internazionale di Sorrentino sembrava naturalmente destinato a entrare nelle portate principali dell’Oscar, avendo tutte le qualità per farsi largo nella contesa: un budget da 28 milioni di dollari, lingua inglese, gusto europeo ma storia squisitamente americana, andamento da road-movie, il tema della vendetta e della caccia al nazista narrati con risvolti inattesi, anche buffi, esistenziali, soprattutto la presenza prodigiosa di Sean Penn. Il nome di Harvey Weinstein, gran mago degli Oscar, vincitore di infinite statuette, l’uomo che a Hollywood chiamano «the old-fashioned risk-taking movie mogul», insomma il produttore all’antica che ama rischiare, garantiva il risultato.
Invece Sorrentino dovrà attendere. La concorrenza è spietata. Tanto più avendo la Weinstein Company deciso di puntare per gli Oscar, alle voci categorie principali, su tre titoli mica male: il francese “The Artist”, l’americano “My Week with Marilyn” e l’inglese “The Iron Lady” (con una discussa Meryl Streep nei panni di Margaret Thatcher). Specie “The Artist”, il brillante omaggio al cinema muto anni Venti uscito la settimana scorsa negli States dopo un premio al festival di Cannes, appare il cavallo sul quale scommettere. Weinstein lo reclamizza dovunque in tv con giudizi entusiastici, vi ha investito milioni di dollari in promozione, l’ha appena proiettato in una serata di gala a Los Angeles alla presenza di due nipoti di Charlie Chaplin, Carmen e Dolores.
«Weinstein non è affatto freddo nei confronti del nostro film. Ha solo chiesto piccole modifiche, minuzie, e non è neanche detto che verranno eseguite. Sorrentino, per contratto, ha il “final cut” sull’edizione» spiega Nicola Giuliano. Si parla di cinque-sei minuti tagliati, alcuni passaggi da sveltire, un doppiaggio da rifare per evitare equivoci, una “voice over”. Sdrammatizza pure Occhipinti: «Dagospia inventa un caso inesistente. Il contratto con Weinstein l’abbiamo firmato a fine settembre: semplicemente non c’era tempo per fare le cose bene, meglio uscire con calma a marzo 2012». Sarà. Di sicuro l’ebreo americano ex boss della Miramax non è uomo accomodante: ne sa qualcosa il Roberto Benigni di “La vita è bella”, che dovette accettare svariati tagli al film per presentarlo all’Oscar (dove però vinse).