E’ atteso per il 6 maggio su Sky Atlantic HD il debutto di GOMORRA – LA SERIE, kolossal tv in 12 episodi da un’ora, che Sky ha realizzato con due tra le maggiori società italiane di produzione televisiva e cinematografica, Cattleya e Fa
Il primo ciak di GOMORRA – LA SERIE è stato battuto nel marzo 2013, per la regia di Stefano Sollima - regista della serie cult Romanzo Criminale - che cura anche la supervisione artistica. Dietro la macchina da presa anche Francesca Comencini (Lo spazio bianco; Un giorno speciale) e Claudio Cupellini (Lezioni di cioccolato; Una vita tranquilla). Un cast di attori legati al territorio, con esordienti che si mischiano ad attori professionisti: Marco D’Amore, Fortunato Cerlino, Maria Pia Calzone, Salvatore Esposito, Marco Palvetti, Domenico Balsamo e tanti altri.
Prima ancora del suo debutto televisivo Gomorra – La Serie ha destato l’interesse dei principali mercati televisivi internazionali e, ad oggi, è già stata venduta in quasi 40 paesi, tra cui gli Stati Uniti.
Il progetto televisivo parte da una storia del tutto originale, un monumentale arco narrativo che racconta il destino di due grandi famiglie. L’affresco di una realtà nella quale i valori seguono spesso logiche perverse, dettate dall’istinto di sopravvivenza. Non solo logiche criminali, nella serie trovano spazio anche le dinamiche e i legami familiari tipici della grande saga televisiva. Una struttura narrativa da lunga serialità, che iscrive idealmente Gomorra – La Serie nel novero dei grandi racconti contemporanei.
Da un lato, un potente clan e i complessi meccanismi che regolano la gestione e il mantenimento di un impero camorristico, partendo dall’ordinario esercizio del potere, passando per l’ideazione di nuove strategie di ampliamento, fino ad arrivare alla guerra armata, strumento ultimo di affermazione. Dall’altro figure grandi e piccole che la Camorra la combattono e che, con gesti che vanno dall’eroismo quotidiano all’affermazione della legalità, lavorano incessantemente per contrastare e smontare un “Sistema” che è solo foriero di morte.
La scrittura di GOMORRA – LA SERIE è stata affidata a Stefano Bises - che ha curato anche il coordinamento editoriale - Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi e Giovanni Bianconi, a cui si sono aggiunti in fase di sceneggiatura Filippo Gravino e Maddalena Ravagli. Roberto Saviano ha partecipato all’elaborazione del soggetto di serie.
Alla base della scrittura c’è la profonda e accurata ricerca che Saviano porta avanti da anni, indagando ancora oggi, senza sosta, le dinamiche criminali di un mondo complesso e stratificato. Un’analisi incessante delle ragioni storiche, delle ricadute sociali, economiche e politiche delle mafie, delle forze che quel male lo combattono spesso a rischio della propria vita, di come si è evoluto lo scenario criminale in questi ultimi anni. E di quali enormi sforzi abbia fatto lo Stato per non consegnare un intero territorio nelle mani dei clan.
I NUMERI DI UN SUCCESSO INTERNAZIONALE
Oltre 30 settimane di riprese per 216 giorni complessivi, 92 dei quali utilizzando effetti speciali e circa 100 giorni di lavoro con il supporto di maestri d’armi e stuntmen. GOMORRA – LA SERIE non è stata girata solo in loco, le riprese hanno fatto tappa anche in altre città italiane come Milano, Ferrara, Roma e Ventimiglia con, inoltre, alcune giornate di set all’estero, tra cui Barcellona. Ben 156 le location utilizzate per le scene in interni. Le riprese sono state realizzate grazie al supporto della Film Commission Regione Campania.
Un caso letterario da oltre 10 milioni di copie vendute in tutto il mondo, che il film di Matteo Garrone ha messo in scena con straordinaria intensità, diventa un kolossal televisivo realizzato in collaborazione con partner internazionali e con le potenzialità per varcare i confini del mercato italiano. Tanto che la serie, prima ancora del debutto televisivo, è stata già venduta dal distributore internazionale Beta Film in oltre 40 paesi, tra cui Regno Unito (Sky Atlantic), Francia(Canal+), Germania (Sky Atlantic), Paesi Scandinavi (HBO), America Latina (HBO) e tutto il Nord America. E grazie a un importante accordo siglato con The Weinstein Company (TWC), Gomorra sbarcherà anche negli Stati Uniti, caso unico per una serie italiana non ancora trasmessa e con un cast di attori non conosciuti all’estero. Un precedente di serie “da esportazione” è stato Romanzo Criminale, produzione Sky interamente italiana distribuita all’estero in oltre 60paesi, e il cui cast tecnico è in gran parte coinvolto anche nella realizzazione di Gomorra – La Serie.
SINOSSI
Il clan dei Savastano è una delle organizzazioni più potenti e influenti di tutto il Napoletano. A capo del clan c’è Pietro, un boss vecchio stampo, temuto e rispettato da tutti. Al suo fianco c’è Ciro Di Marzio, uno dei suoi soldati più fedeli e ambiziosi.
Pietro ha un erede designato, suo figlio Genny, un ragazzo di vent’anni che si porta addosso centoventi chili e il peso di una vita che non ha scelto. Genny sa di non essere all’altezza del padre, ma sa anche che, quando Pietro deciderà di ritirarsi dagli affari, toccherà proprio a lui guidare l’impero dei Savastano, un impero fatto di ogni genere di affari illeciti, dallo spaccio, agli appalti truccati, al business dei rifiuti.
Ma un clan rivale insidia il predominio dei Savastano, quello guidato da Salvatore Conte, pronto a tutto pur di strappare il controllo del territorio al boss. All’indomani di una serie di sanguinosi scontri tra le due organizzazioni criminali, Pietro sembra avere la meglio, ma le forze della legalità lo portano dritto in carcere. Per i Savastano si apre una nuova era: Pietro finisce nel strette maglie del 41 bis, grazie all’intervento di un direttore di carcere che non si piega alle logiche della corruzione. Sarà Imma, la moglie di Pietro, a prendere inizialmente le redini del clan e a gestire gli affari di famiglia, dopo aver neutralizzato Ciro – che vorrebbe approfittare del vuoto di potere per la scalata che sogna da tempo – e suo stesso figlio Genny, considerato ancora inadeguato per l’incarico.
Dopo un lungo periodo in Honduras, però, Genny si è fatto le ossa e, tornato a Napoli, è pronto per prendere il comando. E mentre uno dei suoi giovanissimi soldati vive una storia di redenzione e tradisce il sistema, un alleato di sempre trama nell’ombra per scalzarlo, e per farlo riaccende la guerra con il clan Conte. La guerra per conquistare i vertici del Sistema è appena cominciata…
“Gomorra – La Serie” debutta in prima tv il 6 maggio alle 21.10 con doppio episodio su Sky Atlantic HD (in contemporanea su Sky Cinema 1 HD) e prosegue con un episodio tutti i martedì alle 21.10 su Sky Atlantic HD. La serie è disponibile anche su Sky On Demand e su Sky Go.
“Speciale Gomorra – La Serie” martedì 29 aprile alle 22.05 Sky Atlantic HD propone l’intervista esclusiva a Roberto Saviano in versione integrale e il backstage sulla realizzazione della serie con interviste ai protagonisti
Note di Stefano Sollima, Supervisione Artistica
Sono sempre stato convinto che la pellicola assorba non soltanto la luce, i costumi, le scene, i personaggi che le metti davanti, ma anche le vibrazioni dei luoghi, le emozioni delle persone che sono dietro alla macchina da presa, la tensione del momento. Tutto resterà impresso nel fotogramma aggiungendo un tocco di imprevedibile magia al risultato finale. Questa certezza mi ha confortato anche nei momenti più delicati e incerti della lunghissima lavorazione di Gomorra – La Serie, nel complesso due anni di lavoro. Tutti i nostri sforzi, tutte le nostre esperienze, sarebbero rimaste fissate nei fotogrammi.
L’ambizione di noi registi, Francesca Comencini, Claudio Cupellini ed io, di Sky, della produzione Cattleya, di Fandango è stata fin dall’inizio quella di realizzare una serie che per contenuti e confezione potesse competere con i prodotti internazionali di nuova serialità, mantenendo però una cifra di stile propriamente italiana: l’attenzione al vero. L’estremo realismo delle storie e delle ambientazioni sarebbero state esaltate da una messa in scena rigorosa e spettacolare, come in un avvincente racconto di genere con, però, un’attenzione maniacale alla verità e all’approfondimento psicologico dei personaggi.
Il racconto realistico, brutale e sconvolgente di un Sistema di narcotrafficanti, ovvero dell’altra faccia del capitalismo, perché lo stato di illegalità di una merce non la rende più sgradita o meno legittima, solo più remunerativa. Quindi la droga, il suo approvvigionamento, la sua distribuzione e il denaro ricavatone dalla vendita che viene riciclato e rimesso in circolo nel tessuto economico legale.
Il punto di vista del racconto non poteva che essere interno all’organizzazione criminale, il Sistema del narcotraffico sarebbe stato svelato dai suoi stessi affiliati, dai suoi stessi meccanismi di funzionamento. L’approccio etico al racconto, però, è stato estremamente rigoroso e deciso. Se i meccanismi di narrazione appassioneranno lo spettatore e lo inchioderanno, la verità sottostante gli consentirà di mantenere una visione non contaminata. Nessuno vedrà nei personaggi della serie altro da quello che sono. Nessuna identificazione e meno che mai emulazione. Semmai conoscenza e consapevolezza.
L’affresco, che cominciava a prendere forma con la scrittura, non poteva che essere realizzato proprio in quei quartieri dove le nostre storie erano ambientate e ovviamente il compito non si presentava di certo facile, poiché avremmo dovuto gestire le riprese di un vero e proprio kolossal in un quartiere che si presentava difficile, nel quale avremmo dovuto far breccia nella naturale e giustificata diffidenza degli abitanti. L’essenziale componente realistica del progetto però richiedeva una vera e propria immersione proprio in quei luoghi, e, così, abbiamo cominciato il viaggio, con entusiasmo, curiosità e anche un pizzico di timore.
Il primo incontro con il territorio di Scampia non è stato certo semplice, però è stato estremamente istintivo e naturale il metodo di approccio. Ovviamente non saremmo mai scesi a patti con il Sistema, ne avremmo usato la prepotenza, facendoci scortare dalla Polizia, molto semplicemente avremmo parlato alla gente, agli abitanti dei luoghi dove avevamo deciso di svolgere il nostro racconto. Avremmo provato a vincere la loro iniziale e comprensibile diffidenza cercando di raccontargli il nostro progetto, chiedendogli di aiutarci a renderlo ancora più aderente alla realtà, più rispettoso della verità.
Abbiamo così cominciato un rapporto di collaborazione con il territorio che ha naturalmente implicato difficoltà e complicazioni produttive impreviste, ma enormemente arricchito il progetto, sfrondandolo di tutte le imprecisioni e semplificazioni in cui eravamo prevedibilmente incorsi, arricchendolo di quell’imprevedibile originalità che spesso solo la realtà riesce a suggerire.
Molte persone, molte associazioni locali, hanno sposato il progetto, hanno partecipato attivamente alle riprese, ci hanno difeso e protetto, ci hanno fatto sentire a casa, alcune sono rimaste ancora diffidenti, altre apertamente ostili. Forse meglio così, in fondo, io per primo diffido dei progetti, delle idee, delle parole che mettono d’accordo tutti.
L’unica certezza è che tutto di questo complesso e meraviglioso viaggio che abbiamo affrontato è rimasto impresso nei fotogrammi di Gomorra – La serie. Nulla è andato perso.
Note di Stefano Bises, Story Editor
La scrittura di Gomorra – La Serie, ha avuto bisogno di più di due anni di lavoro per arrivare alla stesura definitiva dei copioni dei dodici episodi che la compongono. Il primo passo è stato selezionare il materiale narrativo dall’enorme patrimonio di storie e personaggi contenuti nel libro di Roberto Saviano.
L’universo su cui ci siamo concentrati maggiormente Stefano Sollima, Leonardo Fasoli, Ludovica Rampoldi, Giovanni Bianconi e naturalmente Roberto Saviano, con i quali ho condiviso tutti i passaggi di costruzione della serie, è stato l’universo criminale che opera, tra le altre, nelle zone di Scampia-Secondigliano. Universo che tecnicamente non si potrebbe definire camorristico, perché più che di camorra, a differenza dei casalesi o dei clan cittadini di Napoli, si tratta di imprenditoria criminale legata quasi esclusivamente al traffico e al commercio di droga.
Ci ha colpiti la struttura di potere, l’organizzazione meticolosa, efficiente, di quella che è stata definita per lungo tempo la più grande piazza di spaccio d’Europa, un supermarket della droga dove è possibile reperire qualsiasi tipo di stupefacente e in qualsiasi quantità, dalla singola dose al “pacco” da un chilo. Così come ci ha colpiti il territorio, l’architettura dei caseggiati, perfettamente funzionali all’impianto e allo sviluppo del commercio di stupefacenti, difficilmente penetrabili sia per le forze dell’ordine che per la concorrenza criminale. Tanto che la decisione di ambientare a Scampia-Secondigliano la nostra storia l’abbiamo presa dopo un lungo sopralluogo.
La storia ricalca sostanzialmente, attualizzata, la prima faida di Scampia raccontata da Saviano in Gomorra. Vicenda che noi abbiamo ricostruito sviluppando la parabola di un clan egemone che perde l’equilibrio, diventa più fragile e subisce l’attacco degli avversari.
La costruzione classica in tre atti si ritrova non solo all’interno dei singoli episodi, ma si distende su tutto l’arco della serie che si sviluppa in tre fasi di racconto seguendo il passaggio di mano del comando del clan: dal boss alla moglie e da questa al figlio. La guerra e il destino del clan è la nostra linea orizzontale, quella che corre lungo tutta la serie, le tappe che la scandiscono costituiscono la trama di ogni singolo episodio.
Al di là di alcune licenze narrative, ci siamo ispirati a fatti e personaggi reali e abbiamo voluto riprodurre fedelmente le dinamiche e le tecniche autentiche di tutto ciò che è raccontato, cercando di conservare nel farlo l’ispirazione e lo sguardo di Saviano su un mondo complesso, violento, di un’umanità dolorosa, evitando al tempo stesso moralismi e mitizzazioni.
Autentico è il racconto di come si allestisce una piazza di spaccio, di come si organizza e si compie un omicidio, di come sia la vita di un boss in carcere o il funerale di un affiliato, di quali siano i meccanismi di riciclaggio. Tanto che la scrittura si è perfezionata progressivamente durante la lavorazione della serie attraverso lo scambio con la regia, direttamente impegnata sul campo, per cercare di correggere approssimazioni o imprecisioni del racconto.
Il realismo ci ha vincolato anche nell’uso del linguaggio: non un italiano napoletanizzato, ma il dialetto, appunto, autentico. Scelta che ci ha costretti a usare sostanzialmente un’altra lingua, un’altra costruzione delle frasi e a trovare al tempo stesso delle chiavi, delle parole chiaramente leggibili, alle quali ancorare la comprensibilità dei dialoghi. Sappiamo di chiedere un “sacrificio” allo spettatore, ma la lingua, come i costumi, i luoghi, i personaggi, è uno degli ingredienti fondamentali di credibilità del racconto che, oltre al talento di chi ci ha lavorato, fa di Gomorra – La Serie, crediamo, un prodotto fuori dall’ordinario.
Intervista a Roberto Saviano
Dal libro, al film, alla serie: la terza vita di Gomorra. Quanto c’è di realtà e quanto di fiction? Perché un racconto seriale?
Perché mi sono reso conto che erano rimaste fuori tantissime storie, e che una serie avrebbe potuto raccontarle. L’impero delle organizzazioni criminali, la conflittualità, le contraddizioni, c’erano tantissime storie che non potevano essere compresse nell’ora e mezzo di un film, ma non semplicemente per mancanza di tempo, perché dovevano sedimentare anche nello spettatore. Devi entrare in un mondo “altro” e riconoscere che poi è il tuo mondo. La serie ti porta la curiosità e la voglia di tornare a quelle storie, quel tempo di compensazione inizia a farti entrare in quel contesto. All’inizio, lo senti strano, lontano, soprattutto se non sei nato lì. Poi, nelle varie puntate, riconosci che quella grammatica è anche nella tua vita, che quel modo di ragionare non è di una belva criminale, ma quello è il modo di ragionare di un amministratore delegato. Non è così tanto un altro mondo. La grandezza della serie è anche questa, ti dà il tempo e la possibilità di interagire con lo spazio cinematografico e televisivo.
Nulla di quello che si racconta è costruito dalla fantasia. E’ assemblato, montato dalla fantasia. Ma è tutto preso da fatti reali. I personaggi sono ispirati a persone reali, ma non sono costruiti nel rapporto uno a uno, in scala. Ognuno di loro è l’insieme di diversi personaggi, così come ogni storia è mischiata ad altre storie, magari di clan avversi o clan di altri territori. E’ come se avessimo costruito una sorta di summa: ogni personaggio è la somma delle vite di tanti affiliati.
Qual è l’aspetto di questo adattamento a cui tenevi maggiormente? Che “garanzie” hai chiesto in fase di sviluppo del progetto?
La garanzia che ho chiesto agli sceneggiatori, allo stesso Sollima, è stata soltanto una, che hanno condiviso tutti: noi raccontiamo i meccanismi della realtà, non la semplifichiamo, non la traduciamo neanche. Non indichiamo soluzioni. Noi dobbiamo raccontare. La garanzia che ho chiesto è stata soltanto questa.
Dal momento in cui si è deciso di stare dentro questo metodo – ovvero raccontare la ferocia ma allo stesso tempo la stupidità, non rendendo nulla epico, ma neanche temendo di mostrare qualcosa che in qualche modo attrae – dal momento in cui ho capito che questa era anche la volontà dei produttori, degli sceneggiatori, del regista, ho immediatamente riconosciuto il mio progetto.
Raccontare questo tipo di realtà, anche se all’interno di una fiction, può provocare meccanismi emulativi?
Credo che guardare Gomorra e poi emulare le gesta dei personaggi sia profondamente improbabile. Ma per una ragione: quei fatti già avvengono. Guardare alle serie televisive come ad un “ufficio stampa del male” è uno sguardo un po’ superficiale. Possono al massimo dare spunti a chi ha già scelto di essere un criminale. Si torna sempre al punto di partenza: alla realtà che ha fatto fare una scelta del genere. Il film non può mai essere un’educazione al crimine. La realtà è già oltre, non è la fiction che può indurre qualcuno a intraprendere la strada del crimine nella vita. La materia su cui intervenire è quella realtà, non il film che la racconta. In Gomorra – La Serie , noi raccontiamo la realtà così com’è. E’ la nostra finzione, perché ovviamente la serie è una finzione, fatta da attori, non è un documentario.
L’elemento di prudenza è semplicemente nel descrivere con rigore quella realtà. Non nel togliere cose, perché altrimenti un ragazzo potrebbe imitare quel gesto. Questo è l’unico modo per evitare maschere epiche, esaltazioni. Quelle avvengono quando i personaggi non riesci a descriverli e hai bisogno di “doparli”, renderli carismatici, affascinanti. Il carisma e il fascino ci sono, perché sono uomini di potere, ma sono descritti dai loro gesti. La realtà non la voglio spiegare, non voglio dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. E’ ovvio che poi ne emerge un giudizio.
Ho la sensazione che non si possano amare questi personaggi, perché sono raccontati così come sono, quindi con tutto l’apporto violento delle loro contraddizioni. Non sono uomini visti semplicemente nel loro momento trionfante o quando vengono ammazzati – perché in genere il cinema tende a vedere solo questi due momenti – ma sono visti nella miseria quotidiana, nell’inferno delle loro vite. Io mi sono immaginato uno spettatore, che guardando tutto questo non sente di vivere solo un’esperienza di intrattenimento, di appassionarsi a dei personaggi, ma che senta di più, che senta di conoscere qualcosa in più. Magari quelle storie lo hanno incuriosito, attratto, affascinato. E proprio perché ne è rimasto affascinato, ora che le conosce può avere una posizione su quelle storie, può capire quali sono gli strumenti per combattere, per valutare meglio i discorsi di un politico su questi temi, può farsi una sua idea su un processo, su che cos’è questa nuova ricchezza che sta arrivando, che non è figlia di un’attività imprenditoriale…
Pensi che raccontare questi personaggi anche nel loro quotidiano possa renderli meno negativi, meno distanti?
Il fatto che anche i criminali che raccontiamo abbiano un lato “umano” non è che Ii renda uomini “giusti”. O che giustifichi quello che fanno. Abbiamo voluto mostrare anche questo nella serie. E’ giusto che allo spettatore venga il pensiero che magari un uomo così, non poteva che agire così, essendo nato in quel territorio. Ma allo stesso tempo, ti rende anche chiaro che si è trovato davanti a una possibilità, a una scelta.
Perché girare proprio a Scampia? Quanto importante è stato girare qui e non in altri luoghi?
Girare a Scampia era fondamentale, perché Scampia è protagonista, è un attore, non è una quinta che puoi ricostruire. È l’elemento documentaristico, scenico, è il DNA della serie. Quei palazzi, quelle scale, quel cielo, sono protagonisti. Non era possibile ricostruirli, perché è come prendere un sosia invece dell’attore. Quel territorio ti entra dentro. Quel cemento è una scelta politica, è una descrizione geopolitica del paese, non è solo ghetto, è anche la dimostrazione di una resistenza. In quelle case c’è vita, ci sono ancora sorrisi, bambini, tanti bambini. C’è gioco. E’ la dimostrazione che quella è una miniera, da cui si estraggono soldi, una miniera in cui si muore. È vita. Quindi la sfida era stare lì, raccontare quello.
Avresti voluto andare sul set?
Avrei voluto, ma è stato impossibile per varie ragioni. Non ultima, che la mia presenza in quei territori è un problema. Ho preferito lasciare serena la troupe, di poter lavorare senza di me. Anzi, quasi garantendo che non sarei andato sul set.
Alcuni ti hanno accusato di aver diffamato quei territori, di aver diffuso un’immagine negativa di Scampia. Cosa ne pensi?
Centinaia di morti ammazzati per via della faida. Un’organizzazione violentissima e con capacità internazionali. Voti comprati. La più grande piazza di spaccio del mondo occidentale. E io sarei colui che diffama quel territorio? Quindi diffama quel territorio non chi fa quel tipo di azioni, ma chi le racconta? Perché in fondo se non le raccontassimo, non sarebbero percepite e quindi sarebbe più facile affrontarle? Mi sembra un’aberrazione. Però, va detta una cosa: c’è una parte per bene di Scampia, che soffre nel vedere raccontare il proprio territorio solo con le pistole. A quella parte, io dico che queste storie, in realtà, portando attenzione su queste contraddizioni, portano risorse per affrontarle. E’ con questa parte con cui io mi voglio confrontare, perché è la parte per bene, è sana. E’ a loro che dico che non è pensabile credere che raccontare tutto ciò sia speculazione. Raccontare tutto ciò è una scelta. Può piacerti o no quello che si scrive, o quello che si gira, ma non è la scelta di raccontare il crimine che difende il crimine, anzi. Per quanto riguarda l’altra parte, invece, che mi accusa con compiacenza rispetto a certi poteri, da quella parte mi tengo lontano perché la accuso di omertà. Come si può affrontare tutto questo facendo finta che non esista? Non raccontiamo dei cartelli in Messico e quindi il narcotraffico non esiste?
Raccontare il male è scegliere di non tacere. Tu stesso ne hai parlato spesso in tv. Guardando indietro rifaresti questa scelta?
Non rinnego questa scelta. Tornando indietro farei le cose in maniera diversa, cercherei di proteggermi di più. L’Italia è un paese feroce. Una volta, anni fa, Enzo Biagi me lo disse: “Te la faranno pagare. Questo è un paese che non sopporta che siano raccontate delle cose arrivando a molti”. L’ho fatto perché è il mio lavoro. Sono orgoglioso di poter vivere del mio lavoro, orgoglioso di aver portato queste storie molto lontano. Di averle potute rendere accessibili. Anni importanti della mia vita sono stati devastati da questa situazione. Avrei dovuto provare a preservarmi. Ho molti rimpianti in questo senso, ma non rinnego nulla. Forse avrei potuto scegliere la via della fiction, forse avrei dovuto preservare la mia vita, non giocarla tutta sulla sfida. Invece mi sono bruciato la possibilità di vivere il mio quotidiano.