BLOOD STORY TUTTE LE CURIOSITA’ SUL FILM
NOTE DI PRODUZIONE
Blood Story si distingue dagli altri film di vampiri perché è un horror da brivido e allo stesso tempo una profonda riflessione sul difficile, talvolta doloroso, passaggio verso l’età adulta. Il film è tratto dal best seller svedese di John Ajvide Lindqvist Låt den Rätte Komma In (Lasciami entrare) ed è il remake dell’omonimo horror vincitore nel 2008 del Premio Founders come miglior film al Tribeca Film Festival di New York.
Poco dopo la fortunata uscita di Cloverfield nel 2008, al regista Matt Reeves fu chiesto di riadattare il libro in una sceneggiatura per un film in lingua inglese da ambientare negli Stati Uniti. “La storia mi aveva davvero colpito – racconta Reeves -. Lo scrittore Lindqvist e Tomas Alfredson, regista dell’originale film svedese, erano riusciti a creare un’efficace metafora del tumulto dell’adolescenza”. Quando la Hammer Films ne acquisì i diritti, Reeves fu ancora più determinato a partecipare al progetto. “Ero entusiasta all’idea che fosse la storica Hammer a produrre questo film”.
Dopo aver letto il romanzo, Reeves decise di scrivere a Lindqvist. “Gli dissi che ero molto colpito dalla storia, non solo perché era grande nel suo genere, ma anche perché mi ricordava la mia infanzia”. Con grande sorpresa di Reeves, anche Lindqvist conosceva il suo lavoro. “Aveva visto Cloverfield – racconta il regista – e disse che lo aveva colpito il taglio nuovo che avevo dato ad una storia vecchia. Era ciò che egli stesso aveva cercato di fare con Lasciami entrare quindi, quando gli dissi che avevo intenzione di farne una versione americana, ne fu entusiasta. Ma ancor di più lo fu quando gli raccontai della mia personale reazione alla storia. Lasciami entrare è in parte la storia della sua infanzia ed io ero esattamente sulla stessa frequenza. Sapevo che ci doveva essere un modo per cogliere l’essenza di questa storia e trasportarla nel contesto americano che ben conoscevo”.
Come prima cosa Reeves decise di ambientare la vicenda in una piccola città tra le montagne del New Mexico pur rimando fedele a gran parte della trama del romanzo. “Ad un certo punto, qualcuno suggerì di aumentare l’età dei bambini – racconta il regista – ma secondo me questo avrebbe rovinato la storia perché quello specifico momento della loro vita ne è il tema centrale. Si racconta quanto sia dura per un dodicenne non avere amici ed essere vittima di bullismo; si racconta l’innocenza e la scoperta, in quell’età, del contrasto tra luce e tenebre. Il mio obiettivo principale – continua Reeves – era trovare i modi per trasferire la storia dalla Svezia degli anni ‘80 all’America degli anni ‘80, l’America di Reagan. La Guerra Fredda era ancora all’apice quando il Presidente Usa pronunciò il famoso discorso sull’Impero del Male col quale spiegava al Paese che il male era qualcosa che viveva all’esterno: i sovietici erano il male e noi, in quanto americani, eravamo il bene. Ho pensato come avrebbe potuto essere per un ragazzo di dodici anni come Owen crescere in quel contesto? Credo fosse fortemente disorientante”.
Nonostante la storia contenesse elementi sovrannaturali, Reeves volle fin da subito far sì che le emozioni fossero più realistiche possibili. “Credo sia questo a rendere diversa la storia – dice Reeves – non è il solito fantasy di vampiri, ma una storia con la quale, spero, la gente possa davvero entrare in sintonia”.
DIETRO LE SCENE DI BLOOD STORY
Matt Reeves aveva pensato inizialmente di ambientare il film in Colorado. Cercava una scenografia indimenticabile, un posto che rendesse appieno le atmosfere degli anni ’80 con un paesaggio innevato e desolato. Poi ha scoperto Los Alamos nel New Mexico. “All’inizio pensai: il deserto del New Mexico? Non può funzionare. Poi venni a sapere che è deserto ad alta quota, ci nevica lassù. In effetti, per trasferire la storia in un paesaggio americano, il New Mexico era perfetto”.
Città di circa 18.000 abitanti, situata 100 miglia a nord di Albuquerque, Los Alamos ospita l’omonimo National Laboratory, famoso in tutto il mondo. Sembra una normale piccola città, ma è stata fondata durante la Seconda Guerra Mondiale come sito super segreto per i dipendenti del Progetto Manhattan per lo sviluppo delle prime armi nucleari. Reeves sapeva che Drew Goddard, autore di Cloverfield, era cresciuto a Los Alamos. Goddard ha aiutato il regista a capire a fondo il profilo unico di questa comunità, che si pensa abbia il quoziente intellettivo più alto di tutto il paese, per l’elevato numero di scienziati che vi hanno vissuto. Ha anche il più alto numero di chiese pro capite e Reeves non crede sia un caso. Reeves si è affidato al direttore della fotografia Greig Fraser: tra i suoi ultimi lavori Bright Star di Jane Campion e Ragazzi miei di Scott Hicks. “Quello che mi ha colpito alla prima lettura di Blood Story, è l’atmosfera fortemente cupa e sinistra che Matt aveva creato – ricorda Fraser -. E come incastonata in questa cupa atmosfera, ecco una bellissima storia d’amore. La sfida per noi era creare elementi visivi di complemento, che non avessero mai il sopravvento sulla storia. Mentre giravamo, abbiamo cercato in tutti i modi di pensare che non stavamo girando un film genre, ma un film ambientato in un periodo storico ben preciso, con ragazzini al centro della storia”.
Reeves ha lavorato con lo scenografo Ford Wheeler per inserire nella trama elementi visivi ispirati allo spirito scientifico della città. Per esempio, nel mondo segreto in cui evade, Owen ha una parete coperta da un murale lunare e oggetti di esplorazione spaziale sparsi per la stanza. “Una cosa che ricordo molto bene di quel periodo, è la centralità dell’argomento shuttle” dice il regista. “Quando io e Ford abbiamo parlato di come dovesse essere la stanza di Owen, abbiamo pensato che quel murale sulla parete, con Kodi seduto li e la sua figura solitaria che si staglia contro la luna, fosse una giusta metafora della sua solitudine e allo stesso tempo del suo forte desiderio di fuga”.
Anziché attingere dai consolidati cliché visivi dei vari film di vampiri, Reeves ha chiesto a Andrew Clement, supervisore degli effetti speciali, di creare per i due ragazzi un look che fosse ispirato ai problemi reali che affrontano gli adolescenti. “Matt voleva ricreare tutto quello che accade in quel periodo della vita” spiega Clement. “Matt la chiamava adolescenza andata male” dice Brad Parker, supervisore degli effetti visivi. “Quando Abby ha fame, le torna l’acne, diventa pallida, ha la pelle grassa e l’aspetto malaticcio. È come se lottasse contro la trasformazione”.
COME TROVARE GLI ATTORI GIUSTI
La carica emotiva del film si deve tutta ai protagonisti pre-adolescenti: i produttori sapevano che l’alchimia tra Abby e Owen sarebbe stata fondamentale. Sapevano anche che sarebbe stato molto difficile trovare attori dell’età giusta in grado di interpretare personaggi così ricchi di sfumature. ”Nel film originale svedese, i due ragazzini sono meravigliosi e il loro rapporto straordinario e forte – dice Reeves -. Ero dell’idea che se non avessimo trovato attori altrettanto capaci, non avremmo dovuto fare il film. Questa è una storia per molti aspetti adulta, nella quale le complessità emotive del rapporto sono molto mature”.
La ricerca è stata intensa e si è svolta in tre continenti. Per otto mesi il regista ha incontrato giovani attori a New York, Los Angeles, Londra, in Australia e in Nuova Zelanda. Reeves sapeva che non sarebbe stato facile trovare un bambino capace di gestire gli aspetti emotivi del personaggio di Owen. “Quando alla fine scopre chi è Abby per lui è terrificante – osserva Reeves – lo manda completamente in tilt e rimane del tutto disorientato. Come può un dodicenne interpretare tutto questo?”. Ma quando Kodi Smit-McPhee, 13 anni, è arrivato al provino, il regista ha saputo subito di aver trovato l’attore giusto. “Kodi entrò e lesse quella scena – racconta Reeves -. La interpretò come fosse realtà, in modo molto penetrante. Quando finì di leggere ero già convinto che fosse lui quello giusto. E per la prima volta ero anche convinto che dovevamo e potevamo fare il film. Lui era semplicemente straordinario”.
Smit-McPhee proviene da una famiglia di attori e lavora da anni nel cinema e in televisione, sia negli Stati Uniti che in Australia, il suo paese nativo. Nonostante la giovane età ha una vasta esperienza che lo ha aiutato a trovare la chiave giusta per l’interpretazione del suo personaggio. “Owen è costretto ad essere un solitario, proprio come lo era il ragazzo che ho interpretato in The Road – dice Smit-McPhee – è figlio di un madre single che beve troppo e a scuola è vittima di bullismo”. “Quasi tutti i personaggi che ho interpretato li ho preparati con mio padre – racconta il giovane interprete -, fa l’attore da 20 anni e mi ha insegnato che per scene semplici posso anche entrare e uscire dal personaggio, ma quando si girano scene intense, devo stare nel personaggio tutto il giorno, non c’é altro modo. Questo è un film ricco di emotività, specialmente per Owen”. Quest’ultimo si è rivelato un soggetto interessante da esplorare. Tra le stranezze del personaggio, c’è la passione per i serial killer. “Fa un po’ accapponare la pelle – continua Smit-McPhee – e sceglie di tenere nascosta questa sua passione, anche se non avere qualcosa da condividere con gli altri ragazzi lo rende ancora più solitario. Per questo, quando nel suo condominio si trasferisce una nuova ragazza, nonostante la sua stranezza, decide di volerle essere amico, per il bisogno di avere qualcuno con cui parlare. Poi, proprio quando diventano amici per la pelle, lui scopre che lei è un vampiro”.
Una volta scelto Smit-McPhee rimaneva da trovare un’attrice da mettere al suo fianco e in grado di ricreare la giusta alchimia. Chloe Moretz, 12 anni, è già comparsa in molti film importanti, tra cui 500 giorni insieme e Kick-Ass, ma Reeves non l’aveva mai vista prima del casting. “Tutto quello che sapevo di Chloe era che ha una qualità straordinaria – dice -. Può essere forte, come sa chi ha visto Kick-Ass, ed allo stesso tempo estremamente vulnerabile. Quello che colpisce di lei è proprio questo mix tra umanità e un imbattibile spirito di sopravvivenza”.
“Abby ha 12 anni ma li ha da almeno 250 anni – osserva Reeves -. Non è una donna di 250 anni che ne dimostra 12. Abby ha 12 anni in eterno. Ha tutta l’innocenza di una ragazzina ed ha anche uno spirito primitivo, difficile da contenere. La sua situazione è molto difficile”. Durante il lavoro con Chloe Moretz per definire il suo personaggio, Reeves le ha mostrato una serie di foto scattate dall’artista fotografa Mary Ellen Mark. Illustravano una famiglia senzatetto con una bambina dodicenne. “Dietro al suo atteggiamento di sfida, si nascondeva una persona ferita proprio come Abby, che ha visto cose con cui nessun dodicenne dovrebbe mai avere a che fare. Abby è forte, ma d’altra parte certe esperienze l’hanno davvero ferita”. Questo ultimo aspetto del personaggio, forse il più difficile, dice il regista, è quello che ha consentito a Abby di sopravvivere a qualunque costo. “Chloe si è semplicemente lasciata andare”.
Il ruolo richiedeva alla Moretz di scavare ancora più in profondità di quanto avesse mai fatto prima. Non doveva solo “interpretare” un vampiro, ma ritrarre la realtà della sua esistenza e tutte le sue difficoltà. “È stato bello per me scoprire questo personaggio oscuro, profondo, ma estremamente dolce – spiega la giovane attrice -. Abby sembra una ragazza normale ma dentro di sé ha una persona che non riesce a controllare. Porta il peso di essere un vampiro senza mai aver avuto scelta”. Anche se le esperienze della loro vita sono ben diverse, tra i due ragazzi, solitari ed emarginati, nasce presto un legame. “Abby come Owen non è mai riuscita ad avere tanti amici – dice la Moretz -. Ho la sensazione che una parte di lei riesca a capire esattamente cosa passa Owen. Non può parlare con nessuno di se stessa e della sua vita, perché se gli altri scoprissero chi è veramente scapperebbero. L’unica altra persona a cui è vicina è il padre. Lui l’ama a tal punto da uccidere per lei. E anche Owen ha bisogno di qualcuno che lo ami per quello che è”.
Abby è accompagnata da un tutore, un vecchio stanco che sembra essere suo padre. Reeves aveva apprezzato l’interpretazione di Richard Jenkins ne L’ospite inatteso, che nel 2009 gli è valsa una nomination all’Oscar come miglior attore, e aveva capito che sarebbe stato perfetto per il ruolo. Il Padre, come è definito nel copione, ha passato tutta la vita a proteggere Abby e a prendersi cura di lei. “Ha una strana esistenza – dice l’attore – non ha relazioni sociali con nessun’altro, oltre Abby, ed esce per procurarsi ciò che le serve per sopravvivere. Le sue azioni sono depravate, ma lui non agisce per depravazione, lo fa per amore. Si prende cura di lei da decenni e credo sia stanco. Rappresenta l’aspetto spiacevole dell’immortalità – continua -. La vita eterna è uno degli aspetti allettanti dell’essere vampiro, ma è anche una maledizione”. Questo ruolo è stato impegnativo dal punto di vista fisico per Jenkins più di tutti i precedenti, al punto di imporgli una inquietante trasformazione. “Ora ho iniziato a leggere i copioni e a chiedermi: sono fisicamente in grado di farlo? Posso trascinare una persona nella neve, buttarla in acqua e affogarla? In questo film sono caduto dentro a un buco, rotolato giù da una collina, ma sono rimasto tutto intero”.
SUGGESTIVA ED EVOCATIVA: LA MUSICA DI BLOOD STORY
La musica di Blood Story doveva assolvere a due funzioni: le musiche originali, per le quali si è affidato al compositore Michael Giacchino (premio Oscar per le musiche del film d’animazione Up), dovevano impostare il tenue tono emotivo del film, mentre le canzoni della colonna sonora, scelte con l’aiuto del famoso consulente musicale George Drakoulias, dovevano contribuire a evocare l’ambientazione anni ’80. Il regista aveva in mente uno sfondo musicale inquietante che potesse suggerire talvolta paura e desolazione, talvolta tenerezza e romanticismo. “Il lavoro svolto in passato da Micheal per la colonna sonora di Lost mi faceva credere che avrebbe creato trasmesso grande suspense” dice Reeves.
Reeves e Giacchino hanno in comune la passione per il leggendario compositore Bernard Herrman, autore di musiche originali per decine di film tra i quali vari thriller di Hitchcock, come Intrigo Internazionale e Psycho. “Sono questi film che mi tenevano con il fiato sospeso quando ero bambino – dice il regista -. Volevo che le musiche avessero quello stesso spirito”. Anche Giacchino sottolinea la semplicità dei personaggi: “Mi ha toccato la loro innocenza nelle difficili situazioni che vivono – dice -. È un film di vampiri, ma è anche un film sull’adolescenza che racconta di due bambini alle prese con situazioni familiari difficili. Come compositore mi sono lasciato trasportare da questa travolgente tristezza”.
Le canzoni della colonna sonora sono prese dalla pop music anni ’80 e collocano chiaramente l’azione nell’America di Reagan. “Abbiamo usato canzoni che secondo noi avrebbero rievocato quel periodo – dice Reeves -. La nostra idea era di ricreare quei tempi in modo piacevole ed accurato, senza eccedere nel fanatismo o nel cattivo gusto”. In definitiva ogni canzone serve per sottolineare la forza della storia di Blood Story, che secondo Reeves risiede proprio nel mistero e nell’ambiguità.
LA HAMMER
Fondata nel 1934, la leggendaria casa cinematografica horror Hammer Films ha prodotto una lunga serie di film di successo, tra i quali Dracula, La maschera di Frankenstein, L’astronave atomica del Dottor Quartermass. Acquisito da Media Exclusive Group, l’amato marchio inglese è stato rinnovato nel 2010 e ritorna in azione con Blood Story, sua prima produzione dopo oltre 30 anni.
Simon Oaked, vice presidente di Exclusive Media Group e presidente e CEO della Hammer Films dice: “Siamo entusiasti di riproporre la Hammer con un grande film come Blood Story. Questo film ben rappresenta l’identità moderna della Hammer Films come la casa cinematografica dello Smart Horror: film forti, di stile, stimolanti che portano il pubblico ad abbandonare i confini della routine e della sicurezza.
Il libro da cui è tratto Blood Story aveva già suscitato l’attenzione della Hammer nel 2007. L’interesse si è rafforzato dopo la visione di alcuni spezzoni del film svedese, all’epoca in fase di post-produzione. Simon Oakes commenta così: ”Le prime voci su questo film erano che fosse meraviglioso, quindi ci assicurammo di essere tra i primi a entrare in contatto con i produttori e da li siamo riusciti a battere la concorrenza e aggiudicarci i diritti. Sentimmo subito che si trattava di una storia da raccontare ad un pubblico più ampio, per questo l’abbiamo voluta”.
SINOSSI
BLOOD STORY è un avvincente horror scritto e diretto da Matt Reeves (Cloverfield). Tratto dal best seller Lasciami entrare di John Ajvide Lindqvist e remake dell’omonimo horror svedese, il film racconta la storia di un’amicizia: quella tra la dodicenne Abby (CHLOE MORETZ) e il suo coetaneo Owen (KODI SMIT-MCPHEE). Timido e schivo con i suoi compagni di scuola, il ragazzino stringe un forte legame con la nuova giovane vicina di casa, ma non può fare a meno di notare che Abby è diversa da chiunque altro. Quello che non sa è che dietro quella ragazza dall’aspetto innocente si cela un vampiro.
Blood Story è il primo film della Hammer Films ad uscire dopo oltre 30 anni e segna il ritorno della leggendaria casa cinematografica inglese di horror.
CAST ARTISTICO
CHLOE GRACE MORETZ (Abby) ha iniziato la carriera nello spettacolo all’età di 5 anni a New York come modella in varie campagne pubblicitarie su stampa e televisione. A sei anni si è trasferita con la famiglia a Los Angeles, dove ha ottenuto una parte nella serie della CBS The Guardian. Il primo ruolo importante è arrivato subito dopo con il film The Heart of the Beholder, poi ha avuto una parte di rilievo nel remake di Michael Bay The Amityville Horror, per il quale è stata accolta dalla critica in modo molto positivo.
Di recente l’abbiamo vista in Kick-Ass, film d’azione riadattato dall’omonimo fumetto di Mark Millar, nel ruolo di Hit Girl, una crudele e sboccata 11enne che fa squadra con il padre (Nicolas Cage) nella lotta al crimine. Il film è stato accolto con forte entusiasmo dalla critica e Teen Vogue ha definito Chloe la migliore attrice in erba.
Nel 2010 è stata tra gli interpreti di Diary of a Wimpy Kid, adattamento televisivo delle popolari storie per bambini di Jeff Kinney, e ha girato due film uno dopo l’altro. Prima The Fields, diretto da Ami Mann, un thriller psicologico ispirato a fatti realmente accaduti in una piccola cittadina della Pennsylvania nel 1973, e poi ha iniziato le riprese di Hugo Cabret di Martin Scorsese. Nel film, con Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen e Asa Butterfield, racconta la storia di un orfano 12 enne che vive in una stazione ferroviaria di Parigi. Primo film in 3D di Scorsese la cui uscita è prevista per dicembre 2011.
Di recente abbiamo visto la Moretz anche nella commedia romantica 500 giorni insieme, con Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel, in Not Forgotten, con Paz Vega e Simon Baker, in The Eye, con Jessica Alba, in The Third Nail, Big Momma’s House 2 con Martin Lawrence e The Children. Sul piccolo schermo, la Moretz è comparsa nella serie televisiva Dirty Sexy Money, è stata guest star nelle serie My Name is Earl e Desperate Housewives e ha prestato la voce al personaggio di Darby nella serie di cartoni animati della Disney I miei amici Tigro e Pooh.
CAST TECNICO
MATT REEVES (sceneggiatore e regista) è emerso nel 2008 per la regia dell’acclamato Cloverfield, horror del genere science fiction. Il film, realizzato con un budget modesto, ha stabilito un record d’incassi nazionale per un film di gennaio, totalizzando al livello mondiale oltre 175 milioni di dollari di incassi.
Prima di questo, lo sceneggiatore, regista e produttore era noto come uno degli ideatori della popolare serie televisiva “Felicity”, con la vincitrice del Golden Globe Award® Keri Russell. Reeves ha fatto da produttore esecutivo con J.J. Abrams, partner e co-ideatore. Nel corso delle 4 stagioni ha diretto vari episodi, compreso quello pilota per la WB.
Il debutto di Reeves regista in un film importante è stato con la commedia dark Tre Amici, un matrimonio e un funerale, con Gwyneth Paltrow, David Schwimmer e Barbara Hershey. Reevs ha sviluppato la sceneggiatura con Jason Katims, co-autore, attraverso il Sundance Institute di Robert Redford. Nel 1999 Reeves è stato co-autore e co-produttore di The Yards, con Mark Wahlberg, Joaquin Phoenix e Charlize Theron, acclamato dalla critica.
Il primo lavoro di Reeves ad imporsi all’attenzione dell’industria cinematografica fu il cortometraggio “Mr. Petrified Forrest”, realizzato subito dopo aver completato gli studi presso la prestigiosa scuola cinematografica USC. Esordì a Hollywood nel 1995 quando la Warner Bros acquistò una sceneggiatura da lui scritta al college con il compagno Richard Hatem, diventato poi Trappola sulle Montagne Rocciose.
Per il piccolo schermo Reeves ha diretto gli episodi pilota di “Gideon’s Crossing” e “Miracles” per la ABC, “Conviction” per la NBC e alcuni episodi di “Homicide: Life on the Street” della NBC e di “Relativity” della ABC.
Tra i suoi prossimi progetti, la sceneggiatura, regia e produzione di un thriller indipendente, il film drammatico The Invisible Woman, per la GreeneStreet Films di Gotham. Reeves vive a Los Angeles con la moglie.