LIGABUE ALL’ADRIANO Michele Anselmi per “il Secolo XIX”
Sostiene Ligabue che il complimento più gradito riguarda il suo pubblico. «Luciano, tu hai il più bel pubblico di tutti» gli hanno detto un giorno; e lui: «Basta guardarlo, è un dato di fatto». C’è da augurarsi che la contesa tra Liga e Vasco non si trasferisca anche su questo terreno, diciamo, estetico-antropologico. Già troppe se ne sono dette i due. Ricordate? Per il rocker di Zocca il collega di Correggio sarebbe «un bicchiere di talento in un mare di presunzione». Meglio allora confrontarsi al cinema, ramo documentari biografici. “Questa storia qua”, il toccante film su Blasco passato a Venezia, purtroppo ha incassato appena 800 mila euro. Meritava di più. Magari andrà meglio a “Ligabue Campovolo – Il film 3D”, che Medusa spedisce nelle sale il 7 dicembre in 300 copie, nella speranza di fare il pieno proprio di quel pubblico “meraviglioso”, al quale nel frattempo è stato dato in pasto un triplo cd contenente l’intero concertone tenuto il 16 luglio scorso di fronte a 120 mila spettatori più tre inediti.
L’operazione di marketing è potente, ramificata, sinergica; quindi non sorprende che ieri sera Ligabue abbia voluto lanciare il primo film-concerto tridimensionale, pure mixato negli studi di George Lucas, senza badare a spese. Cioè con una fragorosa anteprima multipla al romano cinema Adriano, tre sale occupate per l’occasione, in modo da ospitare gli oltre 450 ragazzi, rigorosamente iscritti al mitico fan-club bar Mario, arrivati nella capitale su un Frecciarossa partito da Milano. La freccia, come si sa, s’addice molto a Ligabue, nel suo arco diventa quasi una metafora dell’esistenza, anche a non ricordare che “RadioFreccia” fu il suo primo film da regista.
Clima elettrico all’Adriano, non a caso lo storico cinema dove si esibirono i Beatles il 27 giugno 1965. Circondato dai musicisti di Campovolo e da una discreta schiera di amici, tra i quali Gino & Michele e Domenico Procacci, Liga ha “benedetto” le tre proiezioni, sala per sala, un po’ come fa Christian De Sica sotto Natale con i cine-panettoni. Del resto, cresciuto tra le sezioni del Pci e i romanzi di Tondelli, il rocker cinquantenne che si professa cattocomunista pentito ha imparato a smussare certi angoli. Si mostra saggio, filosofeggia poco, ricorda nelle interviste che «i duelli piacciono soprattutto ai media, in musica non c’è un traguardo da tagliare prima», invoca un Dio non vendicatore «con un gran bel gilet seduto al bar a bere qualcosa con me».
Inutile dire che i fan sono tutti con lui, per lui. Visto che il meglio deve ancora venire, irrompono nel multiplex con fragoroso entusiasmo, un po’ storditi dal viaggio e dal profumo di evento. Sono giovani, ventenni, belli, si sentono parte di una vasta tribù del rock, sono qui per rinnovare in qualche modo il rito officiato a Campovolo, forse pure per riconoscersi tra la folla nelle immagini. Per dire: pur di unirsi ai suoi compagni di fede, la romana Sara ha speso 56 euro per arrivare in treno fino a Bologna e da lì ridiscendere sul Frecciarossa. «Il giorno in cui Ligabue smette di cantare io smetto di vivere» esagera, ma certo è una giornata che non dimenticherà. Anche lei, come tutte le altre ragazze, durante il viaggio s’è presa la sua porzione di baci dall’idolo vestito di jeans dalla testa ai piedi (ma quei capelli sembrano un po’ ritoccati nel colore).
«Cercavamo un modo diverso per documentare Campovolo, non ci interessava fare il solito dvd. Al di là delle riprese del concerto, mi piacerebbe che il film raccontasse la mia storia» azzarda il cantante presentando i due registi, Christian Biondani e Marco Salom.
Pompato dallo slogan «A volte le magie succedono», a tratti affiora il rischio del monumento, specie quando l’amico-manager Claudio Maioli gorgheggia: «Lui chiude i concerti dando speranza. E se un sognatore trova spazio in cui sognare, be’, dopo il sogno, cazzo, lo vai ad alimentare». Detto fatto. In un crescendo pazzesco, tutti in piedi con gli occhialini 3D a cantare a squarciagola le canzoni che rimbalzavano dallo schermo, i ragazzi hanno trasformato il film in un altro concerto. Mentre la parte diciamo “privata”, con i tre amici d’infanzia Marco, Paolo e Massimo che intrecciano con Liga memorie e battute restituendo quel mondo di provincia, è piaciuta agli spettatori più stagionati. Davvero pochi, in verità.