Geoffrey Rush PER TORNATORE..italian dream quando arrivato a Roma dormivo su un materasso…


INTERVISTA COMPLETA DA IL MESSAGGERO. GLORIA SATTA .

ROMA – «Roma non mi ha mai deluso. E’ per questo che da quasi trent’anni vivo qui, felice, e certe volte ho l’impressione di essere ancora nella mia Bagheria», sorride Giuseppe Tornatore, 55 anni, il più internazionale dei registi italiani. Un Oscar vinto nel ’90 per «Nuovo Cinema Paradiso», la nomination per «L’uomo delle stelle», Tornatore si prepara a girare un nuovo film: «The best offer», la migliore offerta, prodotto da Paco Cinematografica e ambientato tra Londra, Praga e il Sud Tirolo, dove da febbraio verrà ricostruita la città di Vienna. Il protagonista dovrebbe essere il premio Oscar Geoffrey Rush («Shining», «Il discorso del re»).
Per un gioco del destino, lo studio romano di Tornatore, nel cuore dei Parioli, è a pochi metri dall’antico quartier generale di Franco Cristaldi, il produttore che nel ’90 portò all’Oscar l’allora giovanissimo autore di «Nuovo Cinema Paradiso». Stanze ampie e luminose, libri, locandine e film catalogati nel massimo ordine, un proiettore antidiluviano all’entrata e mille cimeli della Sicilia, compresa la targa dell’accelerato per Bagheria: la storia di Tornatore, classico emigrante del Sud che ha fatto fortuna lontano da casa, è scritta anche in questo spazio accogliente ed elegante. Un luogo in cui il senso di appartenenza e il rispetto delle radici s’intrecciano con l’amore incondizionato del regista per Roma, la città che ha nutrito e continua a nutrire la sua ispirazione ma che tuttavia, altro scherzo del destino, non è mai stata protagonista dei suoi film.

 

Una scelta o una coincidenza?
«Un puro caso. In verità un soggetto ambientato a Roma lo scrissi negli anni Novanta: Il viaggiatore indiscreto. Lo portai a Cecchi Gori, ma non se ne fece niente. Ce l’ho ancora nel cassetto e oggi sarebbe attualissimo, non è escluso che un giorno decida di tirarlo fuori…».

 

Ricorda la prima volta che venne a Roma?

 
 «E chi la dimentica: 2 agosto 1976. Dopo 12 ore di treno dalla Sicilia sbarcai in città per iniziare il servizio militare come trasmettitore. Avevo fatto carte false per salire a Roma. Il ministero mi aveva destinato a Palermo e io rinunciai in cambio della Capitale. Ricordo ancora la faccia stupita del colonnello: ma come, c’è gente che si venderebbe la sorella per fare il soldato a due passi da casa e tu invece vuoi andare lontano…».


 Perché ci teneva tanto a venire a Roma?

 «Per entrare al Centro Sperimentale. Il mio sogno da quando avevo quindici anni. E siccome la famiglia non disponeva di grandi mezzi, l’unico espediente per venire a Roma era la naja. Così mi arruolai appena finita la maturità. E dalla Cecchignola, tutte le mie libere uscite avevano un’unica destinazione: via Tuscolana, Centro Sperimentale. Speravo di entrare l’anno successivo, invece il bando fu sospeso e io, finito il servizio militare, me ne tornai a Bagheria. Ma tra il ’77 e l’82 collaboravo con la tv e salivo a Roma spesso».


 Inizi bohémien?
 

«Bohémien e un po’ maliconici. Dividevo con alcuni amici un appartamentino all’imbocco del Raccordo anulare. Materasso per terra, pasti consumati da solo in una trattoria sulla Prenestina. Mangiavo a forfeit, tra una portata e l’altra aggiornavo il mio diario e vedevo un sacco di cose interessanti. E’ nato in quel risorante di periferia il soggetto di Stanno tutti bene».
Come andò?
«Continuavo a imbattermi in un vecchio umile ma fiero che mangiava da solo, con una valigia ai piedi del tavolo. Chi è?, chiesi al cameriere, che mi rispose: pare uno che viaggia. Quella risposta tanto vaga scatenò la mia fantasia e cominciai immaginare dove quel vecchio andasse, e perché…Nacque così il film che poi avrebbe interpretato Mastroianni».

 

Quando si è stabilito a Roma definitivamente?

«Nell’84, dopo aver conosciuto Goffredo Lombardo sul set di Cento giorni a Palermo, il film sul generale Dalla Chiesa del quale ero produttore esecutivo. Mi fece il contratto per Il camorrista. Vivere a Roma: si avverava il mio sogno. Cambiai subito residenza e da allora ho sempre votato nella Capitale. Lombardo mi anticipò i soldi per comprare un piccolo appartamento vicino al Vaticano. E’ lì che, dopo la separazione dalla Titanus e l’incontro con Cristaldi, ho scritto Nuovo Cinema Paradiso e ho festeggiato l’Oscar con tutto il quartiere. Ce l’ho ancora, quella casetta, è il simbolo del mio successo».
Frequentava in quegli anni la Roma euforica e un po’ sbruffona dei cinematografari?
«Come no! E mi pareva di vivere in permanenza dentro un film di Fellini. C’era tutto un mondo fatto di tecnici del set che parlavano in romanesco, circolavano aneddoti, leggende metropolitane su questo o quel regista, sugli attori…Era un universo dal quale io, proveniente dalla Sicilia, ero irrimediabilmente attratto e divertito».

 

E’ vero che allora i film di mettevano in piedi al ristorante, firmando i contratti sul tovagliolo?

«Si, è vero. E il mondo del cinema era discontinuo. Prima che uscisse Nuovo Cinema Paradiso, il mio telefono squillava in continuazione. Ero il nuovo regista del momento e ricevevo molte offerte. Poi il film esce nelle sale ed è un fiasco totale, non fa una lira. Spariti tutti».

Poi, con Cristaldi, lei rimonta il film e ottiene l’Oscar…

«Prima di partire per Los Angeles, Fellini mi disse: ti auguro di vincere, ma stai attento perché Cristaldi vorrà tenersi la statuetta. Così in teatro, mentre andavamo verso il palco a ritirare il premio, dissi a Franco: se parli prima di me, gli dissi, io tengo l’Oscar, se invece mi dai la precedenza lo conserverai tu. Lui volle ringraziare per primo e si mangiò tutto il tempo a disposizione lasciandomi solo lo spazio per dire Excuse me, intendevo scusarmi per il mio cattivo inglese. Il più breve discorso della storia…In compenso la statuetta è a casa mia».

 

Quali sono i difetti di Roma che lei non perdona?

«Il traffico. Devastante. Non capisco perché dall’Aventino dove abito ai Parioli dove lavoro impiego dieci minuti ad agosto e un’ora e mezza nel resto dell’anno».
E’ una città provinciale, la nostra?

«Il mondo del cinema lo è sicuramente. Dopo l’Oscar ho avuto l’impressione di essere tornato a Bagheria, dove tutto avveniva sotto gli occhi di tutti. Qualunque cosa io faccia a Roma, si viene a sapere dopo cinque minuti. Incontri, cene, contatti. Alla faccia della privacy».

 

In che misura, a Roma, la politica interferisce con il cinema?

«Quando sono sbarcato nella Capitale, la politica nazionale la conoscevo da lontano. E a Roma ho capito molte cose della Sicilia. Mi piaceva incontrare Pio La Torre a Trastevere, o fare visita a Macaluso, a Botteghe Oscure…Andavo al cinema a vedere Il Flauto magico e tre file dietro di me c’era Aldo Moro. Potevi incrociare per strada Berlinguer e ricordo un incontro in pasticceria con Cossiga…oggi la politica ha perso le figure carismatiche e parecchi punti».

 

Roma è una città generosa?

«Sì, soprattutto con i forestieri. Come mi diceva Fellini, Roma è una cortigiana che si dà a tutti con gioia. Qui ho sempre riscontrato la tendenza a sdrammatizzare, la certezza di trovare una soluzione. La filosofia dei romani è riassumibile in una frase: semo tanti, c’avemo un sacco de problemi ma quarcosa se ’nventeremo…Alla fine funziona».

I commenti sono chiusi.