28/11 STILL LIFE – note di produzione

 

sinossi

Diligente e premuroso, il solitario John May è un impiegato del Comune incaricato di trovare il parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine. Quando il reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica, John dedica tutti i suoi sforzi al suo ultimo caso, che lo porterà a compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla vita.

note di produzione

STILL LIFE è il secondo lungometraggio diretto da Uberto Pasolini. Produttore di successo di film quali Full Monty ‐ Squattrinati organizzati e Palookaville, Pasolini esordisce nella regia cinematografica con il film elogiato dalla critica Machan ‐ La vera storia di una falsa squadra. Commedia di buoni sentimenti su un gruppo di singalesi che si finge una squadra di pallamano per riuscire ad entrare in Germania quando viene respinta la loro richiesta di visto, Machan ha avuto una lunga vita nei festival internazionali di cinema, conquistando numerosi premi della giuria e del pubblico. Anche STILL LIFE si ispira a persone e fatti reali. Quando lesse di uomini e donne il cui lavoro è organizzare il funerale di persone che muoiono senza lasciare nessuno dietro di sé, Pasolini riconobbe nella loro professione qualcosa di profondo e al tempo stesso di universale. “Rimasi colpito dal pensiero di tante tombe solitarie e di tante funzioni funebri deserte”, spiega. “È un’immagine molto forte. Mi sono messo a riflettere sulla solitudine e sulla morte e sul significato dell’appartenenza a una comunità e di come la consuetudine del buon vicinato sia ormai scomparsa per molti di noi. Mentre scrivevo la sceneggiatura mi sono sentito in colpa di non conoscere i miei vicini di casa e la mia comunità locale. E per la prima volta sono andato alla festa di strada del mio quartiere, sentendo il desiderio di partecipare a quel piccolo tentativo di creare un legame tra vicini”. Il senso della mancanza di impegno nei confronti della comunità ha alimentato riflessioni più profonde sulla società contemporanea. “Cosa stiamo dicendo del valore che la società attribuisce alla vita dei singoli individui? Come è possibile che tante persone siano dimenticate e muoiano sole?”, continua il cineasta. “La qualità della nostra società si giudica dal valore che assegna ai suoi membri più deboli e chi è più debole di un morto? Il modo in cui trattiamo i defunti è un riflesso del modo in cui la nostra società tratta i vivi. E nella società occidentale a quanto pare è molto facile dimenticare come si onorano i morti. Sono profondamente convinto che il riconoscimento della vita passata di ciascun individuo sia fondamentale per una società che voglia definirsi civile”. Pasolini ha intessuto queste idee in un film su un funzionario comunale di mezza età, John May, il cui ultimo incarico prima di essere licenziato per esubero consiste nell’organizzare il funerale di un uomo morto in solitudine in un appartamento dirimpetto al suo. Fermamente deciso a rendere il suo ultimo lavoro un successo, John May si mette in viaggio in tutto il paese alla ricerca dei parenti e degli amici del defunto. Nel corso del tragitto, incontra la figlia abbandonata dell’uomo che gli prospetta la possibilità di un futuro di amore e compagnia. La forza della passione di Uberto Pasolini per la storia e i temi trattati gli hanno reso impossibile cedere le redini creative a qualcun altro e dunque, come con Machan, ha deciso di dirigere e scrivere personalmente il film. “Con STILL LIFE, sapevo di voler realizzare un film statico, proprio come allude il titolo. I miei riferimenti visivi sono stati i film di Ozu, con le loro immagini di vita quotidiana di grande quiete e al tempo stesso di immensa potenza”. Dirigere un cast inglese è stata un’esperienza nuova. “Quando ho realizzato Machan, ho avuto uno straordinario cast di attori singalesi che ho diretto con l’aiuto di un interprete e dunque ho lavorato più attraverso le tonalità che attraverso la lingua. Per STILL LIFE, ho avuto a disposizione molto meno tempo per provare con gli attori e un piano di lavorazione molto più serrato e inoltre parlavo la stessa lingua del cast quindi il mio investimento emotivo nelle singole parole era più intenso. Fortunatamente, grazie al talento degli attori con cui ho lavorato, sono riuscito a tirar fuori dagli interpreti gli stessi toni, inflessioni ed enfasi che avevo in mente scrivendo la sceneggiatura”.   Il cast è guidato da Eddie Marsan, indiscutibilmente uno dei migliori attori caratteristi inglesi, il cui talento è stato riconosciuto da registi acclamati in tutto il mondo e molto diversi tra loro, quali Martin Scorsese, Steven Spielberg, Mike Leigh e JJ Abrams. Pasolini ha scritto il personaggio di John May, il meticoloso e coscienzioso funzionario comunale addetto ai funerali dei morti in solitudine, pensando a Marsan, assolutamente convinto che sarebbe stato in grado di far emergere le complessità del personaggio nella staticità della recitazione. “La solitudine di John May è intrinseca al film, ma lui non ha percezione del proprio isolamento, non si rende conto che esiste un altro modo di vivere”, afferma Pasolini. “Abbiamo la tendenza a dare per scontato che se noi la pensiamo in un certo modo anche tutti gli altri la pensano allo stesso modo e nel caso della solitudine e dell’isolamento proiettiamo le nostre paure sulle persone che ci circondano. Ci sono persone la cui vita privata appare vuota, che tuttavia hanno un’autosufficienza emotiva e si sentono realizzati in altri ambiti della propria esistenza, per esempio nel lavoro. Di per sé, la vita di John May è piena, piena delle esistenze dimenticate a cui lui si dedica. E benché possiamo non voler vivere la nostra vita nella “immobilità”, è importante che non ci sentiamo lontani da lui. E, ovviamente, proviamo un grande piacere quando, nel corso del film, John inizia ad aprirsi e sperimenta nuovi piatti, si reca in luoghi che non aveva mai visitato, divide una bottiglia con due senzatetto… La maestria e l’umanità di Eddie hanno portato verità nelle azioni e nei piccoli cambiamenti che segnano la vita di John May”. Per Marsan, è stata la sensibilità della sceneggiatura a essere una potente fonte di ispirazione. “È un affascinante e splendido studio sulla mortalità, sulla solitudine e sull’importanza di condividere la propria vita”, dichiara. “La sceneggiatura di Uberto è estremamente profonda e toccante. Si fonda con grande sincerità sui temi della vita e della morte, della famiglia e della comunità. È scritta davvero con il cuore ed è questo che la rende unica. Ed è la ragione per cui ho voluto rappresentarla”. Il personaggio di John May presentava una serie di sfide singolari per Marsan sul piano della recitazione. “Sapevo che esistono dei funzionari addetti ai funerali, ma non avevo idea di quanto potessero essere solitari o eccentrici”, continua l’attore. “Lavorano da soli e già questo è piuttosto inconsueto. Eppure sentivo che, malgrado conduca una sua vita solitaria, John May non è solo. È un tipo alquanto singolare, non esprime molte emozioni, quindi era essenziale che io mostrassi i suoi pensieri. È un individuo molto introverso e non è facile interpretarlo perché devi capire che cosa prova e poi non esprimerlo. Ma è questo che lo rende un bel personaggio: è complesso e vero, più di uno che parla con il cuore in mano. È molto coscienzioso, si sente rassicurato e prova piacere nell’occuparsi delle questioni di questi defunti. Ha una vita molto strutturata e quando perde il lavoro viene privato del rifugio che costituiva la sua occupazione ed è costretto ad affrontare la vita a viso aperto. E quando inizia a indagare nel passato del suo vicino di casa morto, comincia ad aprirsi proprio perché quel morto era molto vicino a lui, era il suo dirimpettaio, e l’appartamento a soqquadro di Billy Stoke è l’immagine speculare dell’appartamento di John May, così come la vita disordinata di Billy è l’immagine speculare dell’esistenza ordinata di John e John assume consapevolezza della propria mortalità. La sua ricerca nella vita di Billy lo porta a compiere un viaggio sia psicologico che geografico. E la vita gli dà uno schiaffo in faccia”. Accanto a Marsan nel ruolo di Kelly c’è Joanne Froggatt. Conosciuta oggi soprattutto per il personaggio di Anna nella serie televisiva di grande successo Downton Abbey, Joanne Froggatt ha catturato l’attenzione di Uberto Pasolini con la sua pluripremiata interpretazione nel film per la televisione In Our Name, in cui veste i panni di una soldatessa che lotta per tornare alla vita civile. “Per il personaggio di Kelly, la figlia del defunto, ho cercato un’attrice in grado di coniugare una vulnerabilità ferita con un senso di ottimismo e di speranza”, dichiara Pasolini. “Nella sua brillante interpretazione in In Our Name, Joanne ha dato prova di forza e fragilità in un personaggio completamente credibile”.   Joanne Froggatt considera Kelly una donna carina e normale. “Ha subito molte ferite in passato e ha sofferto l’abbandono del padre, motivo per cui ha costruito la sua vita intorno ai cani. È un tipo solitario, ma poi conosce John May con cui inizia a costruire un’amicizia”. È stata l’originalità della sceneggiatura di Uberto Pasolini a conquistare Joanne. “L’ho trovata una storia molto insolita e questo mi ha subito attratta perché non mi capita spesso di leggerne. È un racconto molto tenero che tratta di un tema interessante a cui non avevo mai pensato e di cui non avevo mai letto. E quando ho saputo che Eddie avrebbe interpretato il protagonista, il mio desiderio è cresciuto ancora di più perché sono una sua grande ammiratrice”. “Il film tocca una moltitudine di temi, ma in sostanza parla della vita, di come ci relazioniamo con le altre persone e dello sconforto di un’esistenza solitaria”, continua Joanne. “C’è una tristezza di fondo, ma c’è anche un autentico calore: due estranei possono costruire un legame grazie alla comprensione reciproca e a determinate situazioni. Viene spontaneo immaginare che Kelly e John si sosterranno l’un l’altro e che tra loro inizi un bellissimo rapporto”. Joanne Froggatt è anche una fervida sostenitrice del cinema indipendente. “Tengo molto al fatto che film come questi continuino ad essere realizzati”, spiega. “Uberto ha scritto, diretto e prodotto il film e ha potuto avere una visione artistica globale. È stato meraviglioso lavorare a un progetto capitanato da una persona così perché trasmette un grande entusiasmo e una grande passione che ti contagiano. Uberto ha un profondo senso della storia emotiva dei personaggi e una forte sensibilità per gli ambienti. Sono gli ingredienti più belli per certi aspetti. È stato un vero atto di amore.”. Lavorare con Eddie Marsan ha risposto a tutte le aspettative di Joanne. “Eddie è sempre brillante”, commenta. “È uno dei migliori attori inglesi in attività. Imprime sempre un’impronta diversa a un progetto, ha una grande originalità e un reale senso dell’autenticità. È molto interessante osservarlo: ti senti completamente attratto da quello che fa in ogni momento. Sono quindi stata felicissima di lavorare con lui”. Per Uberto Pasolini è stato un piacere lavorare sia con Eddie sia con Joanne: “Sul set abbiamo affinato molti dettagli ed è stato possibile farlo perché Eddie e Joanne sono due attori straordinari. E immensamente pazienti!”. Dopo aver trascorso diversi mesi alla ricerca degli ambienti dove collocare il personaggio di John May e aver quindi anche fatto visita alle case di persone decedute di recente con veri funzionari comunali, Uberto Pasolini ha iniziato le riprese nel maggio 2012, girando in esterni in tutta Londra e nell’Inghilterra sudorientale. La troupe dei suoi collaboratori dietro la macchina da presa comprende il direttore della fotografia Stefano Falivene, la scenografa Lisa Marie Hall, la costumista Pam Downe e i montatori Tracy Granger e Gavin Buckley. “Il set è stato molto tranquillo”, sostiene Pasolini. “Non sono mai dovuto scendere a compromessi. Considerando il budget relativamente ridotto, è stato un film piuttosto complesso, con numerosi ambienti in parti diverse del paese. Ma siamo riusciti a ottenere il risultato auspicato perché non abbiamo avuto pretese assurde. Ho avuto un grande direttore di produzione e tutti i miei collaboratori sapevano perfettamente come fare un film con un piccolo budget”. Le indicazioni date da Uberto al direttore della fotografia Stefano Falivene sono state chiare: la macchina da presa deve restare ferma, il mondo ordinato e il mondo esterno deve essere visti e percepiti dal punto di vista di John May. “Ho deciso di evitare le inquadrature di quinta di John May dalla prospettiva di tutti gli altri personaggi con cui interagisce, perché volevo che il pubblico stabilisse con lui un rapporto il più personale possibile. Quindi abbiamo girato sempre dall’angolazione di John e mai da quella di qualcun altro. Solo dopo che incontra Kelly adottiamo la prospettiva di un altro personaggio. Nelle scene con Kelly abbiamo introdotto delle quinte elogiative e poi segue l’inquadratura a tre in mezzo primo piano con i due ubriachi fuori dalla chiesa.   A quel punto a livello fotografico John è connesso con altre persone come non lo era mai stato prima nel film. Sono piccole sottigliezze che tuttavia mi hanno aiutato a decidere dove posizionare la macchina da presa”. Insieme alla scenografa Lisa Marie Hall e alla costumista Pam Downe, Pasolini ha deciso la gamma cromatica del film. “Il film è in parte un percorso di risveglio dei sensi e dunque abbiamo deciso di desaturare il colore all’inizio e di introdurre gradatamente le varie tonalità. Per questo motivo nella prima parte del film ci sono pochissimi colori e prevalgono i grigi, i blu e i marroni pastello e monotoni e mano a mano che la storia procede si inseriscono altri colori. Per quanto riguarda i set, ci sono molte simmetrie tra alcuni degli alloggi che John visita e il suo, per esempio le linee ordinate della biancheria e delle bottiglie nella casa della donna del gatto all’inizio del film sono simili alle linee rette e alla nitidezza del suo appartamento”. Le riprese si sono concluse alla fine di giugno del 2012. È stato grazie al talento dei suoi collaboratori artistici e dei suoi attori che Pasolini è riuscito a realizzare le sue ambizioni creative. “Sono fierissimo dell’interpretazione di Eddie Marsan”, dichiara. “Tutti sanno che è un attore straordinario, ma non aveva mai avuto occasione di fare il protagonista in un lungometraggio. Sono felice di averlo avuto nel ruolo principale del mio film”.   

 

 

 

UBERTO PASOLINI STILL LIFE è il secondo lungometraggio diretto da Uberto Pasolini dopo il suo film di esordio acclamato dalla critica, Machan – La vera storia di una falsa squadra, uscito nel 2008 dopo aver vinto svariati premi in numerosi festival internazionali di cinema, tra cui la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, il Brussels Film Festival e il Palm Beach Film Festival. Pasolini ha iniziato a lavorare nel cinema nel 1983 sul set del film Urla del silenzio in Tailandia, e nel 1994 è diventato produttore indipendente fondando la Redwave Films. Il primo film che ha prodotto è stato Palookaville, interpretato da Vincent Gallo e diretto da Alan Taylor. Successivamente Pasolini ha prodotto Full Monty ‐ Squattrinati organizzati, film che ha incassato oltre 250 milioni di dollari in tutto il mondo e che resta, a tutt’oggi, il film inglese tratto da una sceneggiatura originale di maggiore successo al botteghino del Regno Unito. Tra gli innumerevoli premi internazionali, è stato candidato come Miglior Film agli Oscar del 1998 e vinse il BAFTA per Miglior Fiilm nel 1997. Pasolini ha anche prodotto Bel Ami ‐ Storia di un seduttore, interpretato da Robert Pattinson, Uma Thurman, Christina Ricci e Kristin Scott Thomas, Con la testa tra le stelle, scritto dall’acclamato sceneggiatore televisivo William Ivory, e I vestiti nuovi dell’imperatore, interpretato da Ian Holm.

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