17 Ottobre “Two Mothers” di Anne Fontaine con: Naomi Watts, Robin Wright ; genere: sentimentale ; naz.: Francia. BIM
SINOSSI
Inseparabili fin da bambine, Lil e Roz vivono in perfetta simbiosi con i loro figli, due ragazzi dalla grazia singolare che sembrano quasi un’estensione delle madri. I mariti sono assenti. Inspiegabilmente, e tuttavia come piegandosi all’inevitabile, le due donne si avvicinano una al figlio dell’altra, in una relazione che si fa subito passionale.
Al riparo dallo sguardo degli estranei, in un paradiso balneare quasi soprannaturale, il quartetto vivrà una storia fuori dall’ordinario fino a quando l’età non metterà fine al disordine. Almeno apparentemente…
INCONTRO CON ANNE FONTAINE
Com’è nata l’idea di adattare il racconto di Doris Lessing?
Un giorno si è presentato da me Dominique Besnehard con l’edizione francese di “Le nonne”. «E’ un soggetto adatto a te», mi ha detto. Sono rimasta subito colpita dal quartetto neo-incestuoso. Mi sembrava che offrisse la possibilità di andare oltre il tradizionale tema del triangolo, che è una delle ossessioni ricorrenti nei miei film. Mi sono messa al lavoro con l’idea di trarne un adattamento ambientato in Francia.
Ma poi alla fine ne ha tratto un adattamento in inglese. Come mai?
Dopo qualche mese passato a scrivere, ho capito che non avrebbe funzionato. In Francia – fa parte della nostra cultura – facciamo fatica a non rendere esplicite le cose, cadiamo facilmente nella trappola della spiegazione psicologica, cosa assolutamente da evitare per “Le nonne”. E poi sentivo dentro di me che questa storia avrebbe dovuto svolgersi in un ambiente dalla bellezza straordinaria. Nel racconto di Doris Lessing è davvero molto presente l’idea di un paradiso perduto: non riuscivo a immaginare di poter trasporre questo Eden a Biarritz o a Belle Ile. E non riuscivo a immaginare neanche delle attrici francesi in grado di trasmettere la sensualità dei due personaggi femminili. E’ stato a quel punto che Philippe Carcassonne, d’accordo con Dominique Besnehard, mi ha suggerito di girare il film in inglese, perché così i personaggi e le loro situazioni avrebbero funzionato meglio.
Cosa le ha fatto prendere la decisione?
Soprattutto il fatto che attrici di grande prestigio mi avessero manifestato subito il loro interesse. Queste reazioni positive mi hanno incoraggiata ad andare in quella direzione.
Perché ha scelto di girare in Australia?
Oltre che per i suoi paesaggi magnifici, perché l’Australia evoca qualcosa di universale e senza tempo. Non si sa mai con esattezza dove ci si trovi (questo vale in particolare per gli stranieri), né in che epoca. D’altronde la nostra direttrice casting a Sydney, Nikki Barrett, dice giustamente: «Non è un Paese vero e proprio, ma una realtà parallela…». Ma l’Australia è anche un luogo veramente selvaggio, ed era chiaro che la natura dovesse partecipare della sensualità dei personaggi. Il mio incontro con Doris Lessing ha dato ragione a questa ipotesi.
Ci racconti del vostro incontro.
Un giorno mi sono ritrovata da lei nella sua piccola casa di Londra. E’ stato abbastanza sconvolgente incontrare un’icona della letteratura in quelle circostanze: Doris Lessing è una donna molto particolare, piena di ardore; che non somiglia affatto alla vecchia signora inglese che ci si potrebbe aspettare di incontrare. La prima cosa che mi ha detto salutandomi è stata: «So? (E allora?)».
Cosa ha appreso da questo incontro?
Ero particolarmente curiosa di sapere da dove avesse avuto origine il racconto; non sapevo si trattasse di una storia vera. E questa informazione mi ha fatto da guida per tutto il film. Nel corso di tre o quattro notti trascorse a bere (è nota la passione di Doris Lessing per le notti trascorse nei bar), un giovane australiano, amico dei due protagonisti della storia, le aveva raccontato per filo e per segno la loro storia d’amore con le rispettive madri. Come le due donne fossero cresciute insieme in un rapporto quasi omosessuale; come avessero continuato ad avere questo tipo di rapporto con i figli. Doris insisteva molto sull’invidia che il ragazzo provava nei confronti dei suoi due amici: era convinto che le relazioni che avevano vissuto fossero idilliache.
Ascoltandola mi sono sentita incoraggiata nel mio intento: riuscire a far provare allo spettatore lo stesso stato d’animo di quel giovane australiano. Che si sentisse talmente coinvolto dalla storia da andare oltre la questione morale. Incantandolo, avvolgendolo in un’atmosfera quasi soprannaturale, facendo in modo che tutto fosse quasi troppo bello. Dar vita ad una leggera anestesia perché, un po’ alla volta, togliendo uno strato dopo l’altro, emergesse la sensazione di solitudine provata dalle due donne, qualcosa di doloroso che si disintegra.
Dal punto di vista del meccanismo, si trattava di un modo più perverso per rendere più facile l’accesso alla storia. Lasciare alla storia tutte le sue chance, compresa quella di irritare le persone suscettibili su questi argomenti. Il soggetto di Two Mothers non nasce per rassicurare, non è certo questo il suo scopo.
C’è qualche altra cosa su cui Doris Lessing ha fatto luce?
Sapevo che il film non poteva avere lo stesso finale del racconto: le nuore che scoprono delle lettere scritte dai loro mariti alle amanti. E poi che succede? Non si sa… Ho chiesto a Doris le ragioni di questo finale, che personalmente trovo appassionante sul piano letterario ma un po’ frustrante al cinema… «Perché vuole a tutti costi un finale?», mi ha risposto.
E’ stato in quel momento che ho avuto l’idea di rompere la simmetria tra le coppie e lasciare alcune questioni aperte. Penso che sia nello stile di Doris Lessing: si finisce su qualcosa di sbagliato; le nuore partono e a noi non dispiace per niente. Lo spettatore stesso si pone in una situazione di anormalità. Dice a se stesso: «Purché le vecchie restino coi giovani!» Era fondamentale mantenere la supremazia del quartetto.
Ha firmato la sceneggiatura di Two Mothers con Christopher Hampton, con il quale aveva già lavorato per Coco avant Chanel.
Conosco Christopher da diciassette anni, mi sento molto a mio agio con lui. Questo genere di complicità era fondamentale per lavorare ad una sceneggiatura in una lingua che padroneggio poco.
Pur restando molto fedeli al romanzo, avete fatto un grosso lavoro di adattamento.
Il romanzo di Doris Lessing è molto breve e il testo è in fin dei conti poco descrittivo. Bisognava dare corpo ai personaggi.
Avete anche modificato la cronologia del racconto.
Era indispensabile. Sarebbe stato davvero un peccato sapere fin dal principio, come succede nel libro, che Lil e Roz, le due amiche d’infanzia, diventeranno ciascuna l’amante del figlio dell’altra. E ci sembrava ancora più assurdo mostrarle da nonne, lasciando credere che apparentemente tutto è rientrato nell’ordine, mentre si scopre che non è affatto così.
Dal punto di vista della scrittura, qual è stata la difficoltà maggiore che avete incontrato?
Superare l’aspetto teorico del libro. E riuscire a rendere protagonista il quartetto, mettendo in scena la seconda storia d’amore, quella tra Lil e Tom. Perché, in fondo, la la prima storia è abbastanza classica: una donna va a letto con il figlio della sua migliore amica. Ma a partire dal momento in cui le cose si sdoppiano, come in un gioco di specchi (due amiche, due figli, ecc …), la cosa si fa inusuale, e disturbante: si tocca il tema della famiglia, della normalità.
Se avessi lasciato passare troppo tempo tra l’inizio delle due relazioni non avrebbe funzionato. Se ne avessi lasciato troppo poco mi sarei scontrata con i problemi relativi alla verosimiglianza. Bisognava individuare un intervallo di tempo giusto in cui la storia della seconda coppia prima di partire resta latente, mantenendo però una concatenazione tra gli eventi abbastanza irrazionale da non permettere di distinguere nell’attrazione che spinge Lil verso Tom quanta parte abbia la vendetta e quanta il desiderio.
Ultima difficoltà: creare delle differenze tra i quattro protagonisti. Nel libro si somigliano di più. A un certo punto non si riesce quasi più a distinguere chi è chi.
La scena del primo bacio tra Roz e Ian è davvero formidabile.
Non poteva trattarsi di un normale bacio. Volevo che fosse molto lungo e con delle pause. In modo che Robin Wright (Roz) riuscisse ad esprimere contemporaneamente il desiderio, l’impulso di ritrarsi, lo sgomento e il piacere. Il suo viso si intuisce nell’oscurità, si riescono a leggere i suoi pensieri: è cosciente di oltrepassare un limite, esita a fare marcia indietro, e alla fine si lascia andare.
Anche la scena in cui Tom e Lil fanno l’amore per la prima volta è sorprendente.
Lui scivola di notte nel letto di lei, lei non si muove, non c’è alcun contatto erotico tra loro. Ed è solo la mattina dopo, a causa di un gesto di Tom, che Lil prende l’iniziativa e si avvicina a lui. Riflettendoci, il meccanismo è pazzesco: Lil deve superare lo choc di aver saputo che la sua migliore amica è andata a letto con suo figlio e subito dopo si rende conto che lei farà lo stesso.
In fin dei conti queste due donne fanno tutto tranne che andare a letto insieme.
Anche se, in maniera traslata, è proprio quello che fanno. Cosa che non impedisce loro di preferire passare per lesbiche agli occhi della società nella quale loro si evolvono…una società, un ambiente che peraltro ho scelto di proposito di porre al di fuori del tempo per renedere il messaggio più universale; usare il racconto come un’allegoria.
Quello che mi affascina è il loro coraggio. Cercano di fermarsi, non ci riescono e, tacitamente, decidono di continuare. E’ anche una cosa rara in una situazione così riuscire a riconoscere, come fa Lil, di non essere mai stata tanto felice in tutta la sua vita. In questo c’è tutto lo spirito di Doris Lessing: il suo disprezzo per la famiglia, il suo gusto per la trasgressione.
La stessa omosessualità latente è presente nei due ragazzi.
In Two Mothers è dappertutto. Vedo i due ragazzi un po’ come due fratelli. Anche quando litigano violentemente sulla spiaggia, si vede come si riavvicinino immediatamente. Quello che ha fatto male all’altro cura la sua ‘vittima’. Anche tra loro tutto avviene senza bisogno di parole. Non parlano mai della loro situazione amorosa. In fondo riproducono, senza dirlo, la storia delle loro madri. E’ solo nel momento in cui Tom introduce nello spazio affettivo del quartetto una giovane donna, che Ian esprime il suo disappunto e intraprende una strada diversa. Da quel momento il film cambia tono. Si avverte la sensazione che il paradiso comincia ad oscurarsi.
C’è una bellissima sequenza nella quale, dopo la partenza di Tom che è andato a Sidney per qualche giorno, il personaggio di Naomi Watts si guarda allo specchio.
E’ la sequenza in cui Lil scivola in una fragilità nuova, e che determina in un certo senso il suo comportamento nei confronti di Tom… Ed è stata la stessa Naomi ad insistere che la macchina da presa riprendesse da molto vicino l’esame che lei fa del suo volto, la sua preoccupazione, senza trucco e sotto una luce cruda. Improvvisamente scopre i segni dell’età e riesce, senza cadere nel pathos, a comunicarci la vertigine del tempo. L’idea del paradiso perduto è per me centrale perché è una metafora della vita. Come Lil e Roz, sappiamo tutti benissimo che le cose non durano in eterno. Ma nonostante tutti i segnali di avvertimento socio-culturali, loro scelgono di non frenare. Mi piace l’idea che l’intensità l’abbia vinta sul tempo. Mi affascina vedere persone che scelgono di non seguire le regole, assumersi il rischio di andare avanti verso l’inesprimibile.
In questo c’è tutto il suo cinema: lei ha sempre avuto a cuore la trasgressione.
E’ vero che in Two Mothers sono presenti temi che ho già affrontato, sia in Nettoyage à sec (Dry Cleaning), che in Nathalie… Mi piacciono le storie d’amore anomale, le storie ambigue: danno spessore e profondità ai personaggi e servono ad illuminare lo spettatore, a spingerlo a conoscere se stesso – spero senza prediche… Nella nostra vita, in cui tutto è molto programmato, il cinema resta lo spazio che ci permette di esplorare le nostre zone d’ombra!
Nel caso di Two Mothers non siamo lontani dall’incesto.
E’ un incesto traslato, e questo cambia tutto. E’ più sottile, fuori dall’ambito del veramente proibito. Tom non è il figlio di Lil, Ian non lo è di Roz. In un certo senso è più perverso, proprio perché siamo fuori dal tradizionale tabu letterario.
Il film è molto sensuale. Si ha davvero la sensazione che la macchina da presa sia sospesa tra l’acqua e la terra.
Serve a creare una sensazione di piacere. Io adoro l’acqua, il mare…Ho sempre pensato che fosse molto erotico vedere uscire dall’acqua la spalla di una donna (o di un uomo). La natura australiana contribuisce ad accentuare questa sensualità. Si ha la sensazione di essere alla fine del mondo, immersi in un ambiente estremo, stregato e, a volte, quasi irreale. E’ uno dei protagonisti a pieno titolo del film. E poi c’è il pontile, un luogo ricorrente dove, fin dall’infanzia, e quindi innocentemente, i corpi si incontrano.
Dopo Coco avant Chanel è tornata a lavorare per la seconda volta con Christophe Beaucarne.
E’ un’unione che ha per me qualcosa di liberatorio. Christophe dà sempre la priorità al senso del film e della storia rispetto a tutto il resto. E il suo talento nel lavorare con la luce naturale era particolarmente prezioso viste le condizioni in cui giravamo, perché perfino la maggior parte degli interni si raccordavano all’esterno, al mare, al sole… senza essere mai troppo estetizzante.
Two Mothers è uno degli utlimi film ad essere stato girato in 35mm e in formato scope.
In Australia i tecnici ci guardavano come se fossimo dei matusa. Ma sarebbe stato impossibile rendere allo stesso modo in digitale la grana della pelle!
Naomi Watts e Robin Wright sono straordinarie nel film. Come le ha scelte?
Dovevo creare una coppia, avevo bisogno che le due donne apparissero gemelle, pur essendo molto diverse: Roz è una specie di generalessa; Lil è più fragile, meno cerebrale. Fin dal nostro incontro Doris Lessing mi aveva messa in guardia: «Non scelga attrici troppo vecchie! Il lato sensuale della storia rischierebbe di cadere nel sordido». Era di nuovo un’indicazione a cercare la bellezza.
Ho quasi subito spedito un primo trattamento della sceneggiatura a Naomi Watts che si è detta entusiasta. Sapeva che avevo lavorato con Isabelle Huppert, che lei conosce molto bene, e ho sentito che si fidava di me. E’ stata Julianne Moore che per prima mi ha parlato di Robin Wright. Adoro questa attrice ma ci ho messo un po’ a decidermi. Fino a quel momento Robin aveva interpretato solo ruoli da vittima e temevo il suo lato malinconico. Nel suo romanzo Doris Lessing insiste molto sul fatto che il personaggio di Roz lotti continuamente contro la malinconia. Sarei stata in grado di condurla verso qualcosa di più solare? A complicare le cose ci si è messo il fatto che altre grandi attrici si erano dette interessate al film. E’ stato il casting più lungo e difficile mai fatto.
Le ha fatto fare dei provini?
Sì. Ho lavorato esattamente come faccio in Francia. Robin e Naomi dovevano sembrare due sorelle, pur continuando ad esprimere due personalità molto distinte, e sprigionare l’omosessualità latente dei due personaggi. Abbiamo poi fatto delle prove trucco per l’invecchiamento: bisognava che si vedesse sul loro volto il tempo che passa ma senza fare ricorso ad effetti speciali. Volevo che rimanesse una cosa molto discreta, che i loro visi continuassero ad essere veri.
E per quanto riguarda James Frecheville e Xavier Samuel, i due attori australiani che interpretano Tom e Ian?
Anche in questo caso il processo è stato abbastanza lungo. Prima di tutto perché non è tanto facile trovare dei ‘figli’ per due donne come quelle… Robin e Naomi, oltre alle loro evidenti qualità di attrici, hanno una bellezza fisica fuori dall’ordinario. Non è un caso che la macchina da presa le ami così tanto… Per cui i loro ‘ragazzi’ dovevano avere una certa presenza fisica, in grado di esercitare un fascino immediato. D’altra parte si tratta di un elemento sottolineato dalla stessa Doris Lessing: le allusioni alle caratteristiche ‘divine’ di Ian e Tom, per quanto fatte in un tono semi-scherzoso, sono tratte direttamente dal libro. E la trasgressione centrale del racconto si nutre dell’effetto dei ‘figli specchio delle madri’: Roz cede a Ian perché, tra le altre cose, somiglia a Lil, perché è bello e attraente come lei. Idem per l’altra ‘coppia’… Inoltre era indispensabile che avessero anche loro temperamenti molto diversi. James è più istintivo, Xavier più cerebrale. Avevo notato il primo in Animal Kingdom, nel quale interpreta un ragazzo preso in trappola da una famiglia di criminali. Xavier Samuel ha molta esperienza: come si sa ha lavorato in Twilight. Ho lavorato molto con loro durante le riprese – gli attori anglosassoni hanno un po’ la tendenza ad andare sopra le righe quando recitano. Ma sono rimasta stupita dalla preparazione che hanno quando arrivano sul set: non ho mai visto in Francia nessuno investire tanto nella preparazione.
Ci parli delle riprese in Australia.
Ho provato una sensazione di libertà che non provavo da tanto. Improvvisamente ci si trova in mezzo ad una squadra di ottanta persone che non sempre capiscono quello che dici, così come tu non capisci sempre quello che ti dicono loro. Non è quella sorta di mocrocosmo che conosci a memoria, non ti senti sotto osservazione. Un altro paese, un’altra cultura: mi è piaciuto molto perdere ogni punto di riferimento. E’ stato come ritrovare una certa freschezza; molto stimolante.
Ho scoperto anche il rapporto particolare che c’è tra la lingua inglese e il cinema. Un rapporto molto sensuale, per niente psicologico o analitico. D’altra parte il mio prossimo film, Gemma Bovery, tratto dal fumetto di Posy Simmonds sarà una coproduzione franco-inglese.
A PROPOSITO DI DORIS LESSING
Doris Lessing ha 86 anni quando «Le Nonne» viene pubblicato in Francia. Non ha ancora ricevuto il premio Nobel (siamo nel 2005, e il premio arriverà solo nel 2007, dopo anni di attesa), ma è ancora scorretta e sfrontata e il suo romanzo, che l’editore francese Flammarion ha preferito scorporare dai quattro che compongono l’edizione inglese tanto gli è sembrato particolare, fa salire la temperatura sulle spiagge francesi.
Niente suspense dunque, ma una lenta e tranquilla immersione nelle acque apparentemente limpide di questi amori fuori dalla norma. In uno stile così puro che il sole che splende nel cielo dei suoi protagonisti sembra riflettervi i suoi raggi. Doris Lessing ci spinge a condividere l’intimità solare, sconcertante e talvolta dolorosa dei due personaggi femminili. Amiche fin da bambine – «Abitavano, scrive la Lessing, in due case che si trovavano una di fronte all’altra in una strada che scendeva al mare, non lontano dalla lingua di terra che ospitava il Baxter’s, un luogo bohémien» -, sposate alla stessa età e ben presto madri di – «due ragazzini biondi, adorabili, che sembravano fratelli» -. Le due donne condividono tutto: bellezza, confort, soldi, un impiego soddisfacente, Narcisi in fiore che si beano del proprio riflesso.
In questo paradiso balneare in cui la spiaggia, il sole e i prodotti della terra danno il ritmo all’esistenza, i bambini diventano presto adulti, giovani dei dalla bellezza quasi soprannaturale, prolungando un meraviglioso ordine delle cose da cui i mariti assenti- uno morto, l’altro lontano – sono esclusi. Una bolla di felicità pura che nessuno si sognerebbe mai di infrangere.
Vento contrario, le protagoniste lo affrontano fino a decidere insieme, quando arriva il momento, di mettere fine all’idillio. Non ci riusciranno. Matrigne perfette e nonne perfette all’apparenza, ma sempre appassionatamente trasgressive. Perché in questa folle storia l’amore è più forte, e gli amanti non cessano di amare.
In Francia, nell’umidità estiva che accoglie la nuova opera della Lessing, le reazioni non sono tutte entusiaste. Alcune critiche denunciano l’amore soffocante delle due madri: «Un miracolo di cattiveria amorale», scrive una giornalista a proposito delle due eroine di cui denuncia l’egoismo sfrenato; «Personaggi poco avvincenti», è la critica di un’altra. Ma la vecchia, indegna signora ha molti più ammiratori dalla sua parte e sa difendere le sue posizioni come nessun altro: «Anziché scrivere un romanzo sull’impossibilità dell’amore», ironizza questa femminista in anticipo sui tempi che detesta più di ogni altra cosa tutte coloro che si appropriano di questa etichetta, «ho voluto raccontare a partire da una storia vera come e perché un amore può durare dieci anni, cosa che mi sembra già un buon risultato. Vi si contesta il mio gusto per la provocazione. Che provocazione? Mi sono semplicemente ispirata ad una storia nella quale potevo identificarmi chiedendomi cosa avrei potuto farne. Alcune persone insistono sul lato ‘disgustoso’ del mio romanzo, ma non capisco questa tendenza al voyerismo. Questo tema non rappresenta certo una novità in Francia. Pensateci: Colette a suo tempo aveva già raccontato la stessa storia».
Lei stessa nel 1995 si era già misurata con il tema degli amori tardivi: in «Amare, ancora», anticipando in letteratura le donne che hanno storie con uomini più giovani, Doris Lessing vi metteva in scena una donna matura che ritrovava il piacere della tenerezza grazie a due relazioni appassionate con uomini molto più giovani di lei.
La sua infanzia in Africa del Sud, i profumi penetranti e ammalianti della flora rhodesiana? In tutta la sua opera, composta da oltre sessanta titoli- romanzi, saggi, poesie e pièce teatrali- si avverte una febbre sensuale e libertaria che niente potrebbe spegnere. «In realtà», insiste Doris Lessing, «non sopportiamo di essere liberi, l’uomo ama le sue catene e se quelle vecchie si spezzano si affretta a forgiarne di nuove; Il problema è che gli uomini hanno bisogno di rigidità, di dogmi, di ideologie, sono sempre i più stupidi, e anche il ‘politicamente corretto’ non è altro che una macchina che si autoalimenta per sradicare intelligenza e creatività. Con questi schemi radicati nella testa, non ci resta allora che chiederci tristemente: quando riusciremo a vincere questa spaventosa tirannia – se mai ci riusciremo- cosa prenderà il suo posto?». A 93 anni, nella sua casa nascosta nel quertiere di West Hampstead a Londra, circondata dai suoi libri, da innumerevoli puzzles e da un gatto dal pelo impressionante, la vecchia signora che ama descriversi come ‘figlia poco civilizzata delle colonie’ poco si dedica ancora a trovare una risposta. Dalla pubblicazione di «Le Nonne» ha già pubblicato cinque nuove opere.