“IN ANOTHER COUNTRY” Intervista regista e diario Isabelle Huppert

“IN ANOTHER COUNTRY” un film scritto e diretto da HONG SANG-SOO con  Isabelle Huppert,  YU JUN-SANG, JUNG YU-MI

Trama

Una giovane studentessa di cinema e la madre giungono nella piccola Mohang (Corea), in riva al mare. La ragazza, un po’ annoiata dal quel luogo isolato e lontano, comincia a fantasticare e a inventarsi, scrivendole, delle storie che prenderanno la forma di una bizzarra e vivace sceneggiatura. Come già in altre occasioni, Hong Sang-soo lavora e gioca sulla struttura del suo cinema, costruendo un film nel film, tra divertissement e allegra, intelligente, riflessione teorica. Lasciandosi ispirare e guidare con libertà e leggerezza, il regista celebra le vaghezze, gli imprevisti e le bizzarrie che sono insiti nel processo di scrittura e confeziona un film brillante, originale e lieve. Per fare un film Hong Sang-soo sceglie prima di tutto il luogo. Solo successivamente riempie la location prescelta con una storia e dei personaggi ispirati dal luogo stesso. Questo avviene anche, e soprattutto, nel caso di In Another Country. Isabelle Huppert ha accettato di recitare nel film praticamente a scatola chiusa, dopo un pranzo con il regista. L’attrice, che poi ha tenuto un diario sul set, racconta di come non sapesse quasi niente della sceneggiatura (e nemmeno del soggetto) perfino una volta arrivata in Corea! Il regista consegnava i dialoghi la mattina, solo poco tempo prima che si cominciasse a girare, se non addirittura durante il giorno stesso. Hong, del resto, si ispira molto alle improvvisazioni degli attori e coglie, a loro insaputa, numerosi dettagli quotidiani che vengono poi re-inseriti nei film.

 

Intervista con Hong Sang-soo

Come ha incontrato Isabelle Huppert?

 

Tutto è cominciato durante una retrospettiva dei miei film alla Cinémathèque française. Ho incontrato Isabelle Huppert in quell’occasione, durante un pranzo. Più tardi è venuta a Seul e ho letto sui giornali che le sarebbe piaciuto lavorare con qualche regista coreano, tra i quali c’ero anch’io. L’ho chiamata, ci siamo incontrati per un pranzo informale. Dovevo girare poco tempo dopo, senza la minima idea di quello di cui il film avrebbe parlato. Le ho chiesto se era disposta ad unirsi a noi, ha accettato. È una delle mie attrici preferite e questo mi ha dato il coraggio di contattarla. È abbastanza difficile girare con uno straniero, anche per la barriera linguistica. Ma ho interpretato tutto questo come un segno del destino.

 

In Another Country ha il colore dei capelli di Isabelle Huppert: è un film rossiccio, con colori molto saturi, molto arancione. Si tratta di colori abituali nel suo cinema? Si tratta sicuramente di un effetto del mio inconscio… In genere faccio delle scelte molto chiare, per le inquadrature per esempio, ma non cerco sempre di capire il perché di questa scelta. Preferiscio rimanga nel fondo della mia coscienza.

 

 

Sceglie anche i luoghi incosciamente? Per esempio, la scena in cui Isabelle Huppert deve decidere se seguire o meno la freccia che le indica la direzione. Ho visto il faro, la freccia per terra. Non sapevo ancora che uso ne avrei fatto, ma sapevo che quegli elementi sarebbero stati al centro del film. La stessa cosa per il luogo in cui Isabelle Huppert vede le capre. La precisione o piuttosto il senso del dettaglio per me è primordiale. Bisognava che fosse quel luogo e non un altro. Quando scelgo gli attori, la prima volta che li vedo scorgo un certo numero di informazioni che li concernono. È questa fusione di percezione e di intuito a proposito degli attori, e d’altra parte dei dettagli trovati nei luoghi, che mi fanno decidere per quel luogo e non per un altro in cui girare. È un’alchimia un po’ bizzarra e indefinibile ad ispirarmi. Ciò che è bello è che tutto parte dal caso. Il caso di trovare quei luoghi, quegli attori. Non capisco mai quello che mi spinge ad amare un luogo. Quella strada con quella freccia, è banale, si potrebbe perfino non notarla. Eppure mi ricordo che aveva immediatamente attirato il mio sguardo. Come se fosse stata una cosa che non aspettava altro che essere notata da qualcuno.

Nell’inquadratura di lei sulla spiaggia che guarda l’orizzonte, quell’orizzonte è in qualche modo respingente, come se fosse la fine del paesaggio. Vi è qualcosa di quasi tragico, come se i personaggi non potessero uscire dai luoghi che attraversano e fossero continuamente obbligati a ritornarci. Verso la fine, è suggerita anche l’idea del suicidio. Infatti si può anche interpretarla così. Ma ancora una volta non è voluto. Mi ricordo di essermi detto che quello che volevo raccontare sarebbe stato difficile da esprimere. Sono molto sorpreso quando alcuni spettatori arrivano a stanare nel mio film cose inconsce. Quando guardiamo il mare, abbiamo di fronte l’orizzonte che si apre. Ma mi piace questo modo di vedere i personaggi, come dei topi di laboratorio che vanno a sbattere contro un muro. Questo genere di paradosso mi interessa.

Forse si ha quest’impressione perché è sempre ripresa di spalle. Non si capisce mai quello che pensa. [Sorriso malizioso di Hong Sang-soo che annuisce ma non dirà altro]

 

Tutto questo sembra tragico, ma tutto il film è molto divertente. Forse è uno dei suoi film più leggeri. All’inizio non sapevo esattamente che tipo di film volevo realizzare. Tutte le scelte sono ancora una volta il risultato del caso, per me è una cosa molto importante. Al punto che si possono dare interpretazioni differenti. Niente è fissato. Il mio film può essere visto come più o meno comico, o più o meno tragico, in funzione del vostro stato d’animo del momento.

 

Tutto questo sembra tragico, ma tutto il film è molto divertente. Forse è uno dei suoi film più leggeri. All’inizio non sapevo esattamente che tipo di film volevo realizzare. Tutte le scelte sono ancora una volta il risultato del caso, per me è una cosa molto importante. Al punto che si possono dare interpretazioni differenti. Niente è fissato. Il mio film può essere visto come più o meno comico, o più o meno tragico, in funzione del vostro stato d’animo del momento.

Ma quando dirige gli attori, date loro delle indicazioni precise in modo che la loro interpretazione si colori di comico o di tragico? Questo, comunque, non si trasmette mai con la parola. Ho una rapporto di fiducia con gli attori. Quello che cerco è un’alchimia indefinibile tra loro e me. Scrivo spesso i dialoghi in funzione dell’impressione che ho avuto durante l’incontro con loro. Quest’incontro è fondamentale nel mio processo di scrittura. Scrivo dei dialoghi che possano assimilare naturalmente, senza che questo sembri forzato. Se mi sembra che suoni bene, mi accontento di dire “Motore!”. A volte mi capita di chiedere di equilibrare un po’, ma è molto raro.

 

Isabelle Huppert che fa la capra: da chi dei due è venuta quest’idea? Durante i sopralluoghi ho visto delle capre e ho fatto la stessa cosa che fa Isabelle. È una cosa che esprime bene la noia, credo

 

Durante una conferenza stampa, un giornalista le ha chiesto quando la smetterà di fare dei cortometraggi. L’osservazione era idiota. Nondimeno, da dove viene la sua ossessione per la ripetizione o per l’aggrovigliarsi di storie brevi? Nella vita ho un’incresciosa tendenza a notare le similitudini e le differenze, le ripetizioni che ci succedono ogni giorno. Ne ho tratto una concezione della vita che mi libera dall’obbligo di fare grandi interpretazioni o grandi narrazioni a messaggio. A causa della nostra educazione, siamo portati a vedere le cose, la nostra vita, ciò che ci circonda, in modo lineare. Pensiamo in maniera cronologica, come si pensa la Storia. È una sorta di riflesso. Quello che è interessante, è ciò che rompe completamente questa propensione alla cronologia. Permette di liberarsi dallo sguardo sul mondo sempre identico e previsto

 

A Cannes, In Another Country spiccava sui numerosi film zavorrati dal modo di ostentare le loro intenzioni, dal loro “voler dire”. Lei direbbe che con la ripetizione c’è qualcosa di utopico nel modo di reinventare le cose, anche se in fin dei conti il reale è sempre un po’ deludente? Per esempio, alla fine, la ragazza non viene mai baciata! Grazie! Sottoscrivo completamente quello che ha detto. Sa, l’interpretazione della vita dipende solo da noi. E la società cerca spesso di dominarci forzandoci a interpretare le cose in questa o in quest’altra maniera. Quando ero più giovane volevo riuscire in una vita coronata da soldi e da grandi successi. Poi mi sono accorto che quella vita non era conforme ai miei desideri profondi, che non era una buona cornice per me. Ho cercato un’interpretazione personale della vita, della mia propria vita. È importante che questa interpretazione non sia la stessa per tutti. È la stessa cosa con i film e con i modi di narrazione che utilizzo. Credo che la pesantezza di certe intenzioni e di certe descrizioni ci stanchino di una vita che, in realtà, non è così tragica. Basta poco per vedere la vita sotto un aspetto allegro. Ma con l’ideologia che domina il cinema attuale, questa allegria finisce a pezzi e resta solo un’angoscia di cui non si sa più che fare. Per finire non è certo che si riesca a vedere veramente quel che abbiamo davanti agli occhi.

 

Nel film ci sono molte cattive interpretazioni o incomprensioni legate al linguaggio, per esempio attraverso l’uso dell’inglese (come sulla parola “lighthouse”). Ma è la stessa cosa in tutti i suoi film, con dei personaggi coreani. In The Day He Arrives, per esempio, un personaggio afferma che basta dire a una ragazza che ha una qualità e il suo contrario perchè si riconosca immediatamente e cada nella trappola. Noi, umani, siamo limitati dalla lingua. Dobbiamo trovare altre strade per comunicare. Credo che non dobbiamo essere ossessionati dalla lingua. Siamo talmente dipendenti dalla lingua che diventiamo subito tesi per paura di non essere capiti. Sono seduto davanti a lei per un incontro e mi dico che devo assolutamente riuscire in questo incontro ed essere comprensibile, altrimenti sarà compromettente per i miei prossimi film. Costruisco una narrazione che mi stacca un po’ dalla realtà. Ma quando vado al fondo di questa narrazione e tolgo ad uno ad uno gli strati rappresentati da questa paura, mi dico che, alla fine, la situazione è più semplice di quel che sembrava. Il mio film, per esempio, potrebbe essere riassunto con una sorta di proverbio: “Viviamo una sola vita, dunque se questa vita la manchiamo siamo fregati”. Ma soprattutto, se mi rilasso un po’, posso finalmente trovare il tempo per scoprire come siete, scorgo la gente che passa dietro la tenda, riesco finalmente a provare delle sensazioni piuttosto che essere ossessionato da questa intervista.

 

Hong Sang-soo

 

Nato nel 1960, Hong Sang-soo ha studiato cinema alla Chung-Ang University, al California College of Arts and Crafts di Los Angeles e al School of the Art Institute di Chicago. Dopo aver passato qualche mese a Parigi per studiare alla Cinémathèque Française, è rientrato in Corea, dove ha trovato lavoro nella Seoul Broadcasting Station. Nel 1996 esce il suo primo lungometraggio, The Day a Pig Fell Into the Well, che ottiene uno straordinario successo di critica in patria e all’estero e lo impone come uno dei più importanti registi coreani. Solo due anni dopo, il suo The Power of Kangwon Province, girato in bianco e nero, viene presentato al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard e viene premiato con la menzione speciale della giuria. Hong insegna anche sceneggiatura alla Korean National University of Arts e nel 2004 fonda la propria casa di produzione Jeonwonsa. Molti suoi film ricordano, per l’esplorazione dell’alienazione urbana contemporanea, il lavoro dei registi taiwanesi Edward Yang e Tsai Ming-Liang, ma lo innervano di una lieve e ambigua ironia, per la quale è spesso stato accostato a due grandi maestri come Eric Rohmer e Luis Buñuel. Tematicamente Hong si è a lungo concentrato sulle relazioni umane, viste alla luce di una pervasiva solitudine, dell’impossibilità e della rassegnazione nel comunicare, della meccanicità dei rapporti (in particolar modo di quelli sessuali). Il suo lavoro ha un senso di giocosità che lo porta a condurre un’indagine penetrante della società contemporanea con delle immagini che sono apparentemente prive di ogni calcolo intellettuale.

 
Il diario di Isabelle Huppert

IN TERRA STRANIERA di Isabelle Huppert 1 – Sono sull’aereo per Seul, dove mi aspetta Hong Sang-soo. Al mio arrivo, andremo in quella stazione balneare a quattro ore di strada di Seul, dove gireremo per 15 giorni. Ho già incontrato Hong tre volte. La prima volta brevemente, in compagnia di Claire Denis poi, più a lungo durante una cena organizzata alla Cinémathèque. Alla fine, durante un pranzo a Seul, mi ha subito detto che generalmente, per fare un film, sceglieva prima di tutto il luogo. Ha scelto quindi questa stazione balneare. È stato durante quello stesso pranzo che mi ha proposto di recitare nel suo prossimo film. Ho accettato subito. Senza sapere di cosa si trattava. Mi è piaciuto che me lo abbia proposto in quel modo, che mi abbia parlato della location prima della storia. Tutto questo era di buon augurio. 2 – Eccomi arrivata in questo posto molto strano. Una piccola stazione balneare, cioè piuttosto un villaggio di pescatori completamente perduto. Una pensione in cui le camere sono come degli chalet di montagna in legno. Abbastanza rudimentali. C’è la televisione ma non ho nemmeno guardato se c’erano i canali stranieri. Abbiamo cenato in un piccolo ristorante lì vicino, accanto ad un piccolo porto, dove non c’era praticamente anima viva, in un posto totalmente fuori mano. Abbiamo cenato con tutta la troupe che è più numerosa di quello che immaginavo. Si sono presentati tutti e per finire ognuno è ritornato nella sua camera. È un posto molto strano ma tutto sembra molto ben organizzato. Non so ancora assolutamente niente della sceneggiatura e nemmeno del soggetto. Vedo solo che per ora ci sono due attrici e un attore. E mi piace non sapere niente. È piuttosto eccitante. Meno si sa e meno si ha voglia di sapere. Il principio di base di quest’avventura è scoprire le cose giorno dopo giorno. Ciò non mi impedisce però di fare qualche domandina. “Dove si trova il set? A che ora giriamo?”, cose così. Mi piace l’idea di essere nell’ignoranza più totale. Hong scrive lo script di notte, da quello che ho capito. Già durante il tragitto che abbiamo fatto insieme in macchina prendeva molti appunti. Ci consegna quello che lui chiama lo script, cioè la sceneggiatura, al mattino verso le otto, lo impariamo, ci prepariamo, poi giriamo a cominciare dalle dieci, dieci e mezza. Per ora è tutto quello che so. Domani vedremo i costumi, faremo un po’ di prove di ripresa. Si inizierà a girare solo il giorno seguente.. 11 3 – Questa mattina c’è stata una piccola cerimonia per allontanare gli spiriti cattivi dal set. Tutti si inchinano davanti a un tavolo pieno di offerte, frutta, piccoli piatti, dolci e una testa di pesce con un biglietto dentro. Abitualmente si utilizza una testa di maiale, ma non ce n’erano, allora hanno messo un pesce. E poi tutti, gruppo dopo gruppo – gli addetti alle luci, quelli al suono, gli attori, etc. – si inchinano, e bevono un sorso di makkoli, una specie di saké coreano, assai delizioso tra l’altro. Ho appena provato i costumi. Ha scelto una sorta di camicetta totalmente informe che ho preso così all’ultimo momento e che avevo recuperato sul set di Captive (Brillante Mendoza) nelle Filippine. Ho deciso di dargli fiducia. E poi un paio di jeans, un paio di infradito. All’inizio aveva scelto un paio di sandali arancio e, infine, a scelto delle infradito beige. Quello sarà il primo costume. Poi ha scelto alcune foto che gli avevo portato da Parigi. Voleva delle mie foto in riva al mare, quando ero molto più giovane. Poi delle foto di famiglia con i miei figli. Per ora aspetto. Tra poco sarà ora di pranzo. Poi faremo un test di ripresa. Gli ho chiesto di poter vedere i miei test. Mi ha detto “va bene, sul monitor”, ma dal momento che è piccolissimo, spero di riuscire lo stesso a vedere qualcosa. 4 – Vado a dormire. Domani sarà il primo giorno di ripresa. Oggi abbiamo fatto delle prove. Soprattutto delle improvvisazioni, delle piccole scene molto divertenti che mi danno l’impressione che il mio personaggio sia un po’ ossessivo. In particolare una scena con Junsang, l’attore che ha già recitato in Ha ha ha, dentro una tenda – una piccola tenda che d’altra parte ha deciso di regalarmi perché quando si getta si apre miracolosamente. Hong si è piazzato all’interno di questa piccola tenda ed è incredibile vedere in che modo utilizza gli oggetti. Questa piccola tenda sembra un’inquadratura. Ad un tratto la mia testa appare all’entrata della tenda in cui Jun-sang suona la chitarra. Dice di avere scritto una canzone per me e io non la smetto di fargli domande sulla tenda. Sono solo improvvisazioni ma mi sono chiesta se avrebbe utilizzato quelle piccole scene perché le trovavo niente male. Credo di non avere mai girato con una squadra così leggera (NDR. poco invadente), non mi sono mai resa conto dei suoi benefici. C’è una tale leggerezza che le cose si fanno con facilità, con ancora maggiore leggerezza del solito. Poi siamo andati a cena. Si mangia sempre. I coreani mangiano sempre, ovunque. Non avevamo ancora finito il pranzo che già sul set circolava della frutta. Dopo ha voluto che ci trovassimo io, Jun-sang, So-ri e Yumi nella mia camera per una chiacchierata. Poi ci risiamo. Abbiamo bevuto della birra, avevano portato pasticcini, panini, insomma tanta roba da mangiare. E poi, una mezz’ora dopo, alle 19.00, siamo andati a cena. Questo pomeriggio avevo iniziato a leggere un libro su Hong Sang-soo scritto da un cinefilo coreano. Dentro c’è un testo di Claire Denis in cui dice che si tratta di un “cinema del confinamento”. In ogni modo è vero, a cominciare dai luoghi… Perché qui, per essere confinati si è confinati. Da due giorni a questa parte, da quando siamo arrivati, si ha l’impressione di essere in una balla di cotone. Non c’è un raggio di sole, non c’è anima viva. È tutto vuoto, tranne due, tre uomini che cucinano e che mangiano nel ristorante. D’altra parte si mangia molto, molto bene. È speciale perché a colazione, abbiamo cominciato con del porridge alle ostriche e spinaci, ma ho deciso che mangerò solo cucina coreana. Hong Sangsoo, per accogliermi, mi aveva dato due libri di Gide, uno di questi era Isabelle, e poi un libro di memorie di Buñuel, Dei miei sospiri estremi, che ho cominciato a leggere e che mi sembra fantastico. Mi addormenterò, spero, leggendolo. Domani giorno G 1. 12 5 – Ieri, era il primo giorno di lavorazione. Hong consegna i dialoghi il mattino solo poco tempo prima che si cominci a girare. In genere li imparo all’ultimo momento ma c’è veramente poco tempo. L’assistente è venuta a tradurmi i dialoghi e le situazioni perché ci sono molte scene in cui gli attori parlano tra di loro in coreano. Dovrò cercare di identificare le parole per poter intervenire in quei dialoghi. Non è sempre facile. Abbiamo girato cinque scene, una scena in un parcheggio, una scena su una spiaggia, una scena in un piccolo supermercato, una scena nell’hotel dove alloggiamo e poi un’ultima scena in una camera, che si trovava tra l’altro proprio accanto alla mia. Hong è molto meticoloso e fa molti, molti ciak, un numero enorme. Questa mattina piove a dirotto. Non so come faremo a girare. Tutto va molto velocemente, tutto è molto facile. La truccatrice e la parrucchiera sono molto brave, anche se sono alla loro prima esperienza in un film. Le ho incontrate al mio arrivo a Seul, in un salone di bellezza. Mi sono meravigliata di trovarle lì. La sera, abbiamo cenato di nuovo tutti assieme. Era il compleanno di Moon So-ri. Le cene, i pranzi, qui sono rapidi, tutti mangiano in un modo molto particolare. Sono molto concentrati su quello che si mangia, dunque ci sono pochi scambi e poca conversazione. Si fa in fretta, e una volta finito, tutti si alzano e se ne vanno. Ieri, Hong ci ha dato dei dettagli sulle nostre rispettive situazioni nel film. Io sono una documentarista famosa che va in Corea perché è stata invitata, da un documentarista che ha incontrato a Berlino per una conferenza. Lui la invita a fare un breve soggiorno in riva al mare assieme a sua moglie incinta. A un certo punto c’è una scena abbastanza divertente dove lui mi dice: “Ti ricordi del nostro bacio?” E mi fa capire che si era trattato solo di un bacio perché ora sua moglie è incinta. Dunque, la situazione che si viene a creare tra di noi è un po’ ambigua, mentre io appena mi ricordo di lui. Ecco, questa era un po’ l’ossatura delle scene e il tenore dei nostri personaggi. 6 – Sono le venti e trenta. Seconda giornata di lavorazione. Domenica. Una giornata molto, molto piena. Grande quantità di scene, di testi da imparare. Ora giriamo l’ultima scena. Ci troviamo su un terrazzino di una camera. Mi sono alzata alle sette. Abbiamo cominciato a girare alle undici perché prima Hong Sang-soo non aveva le pagine della sceneggiatura. Non abbiamo pranzato e abbiamo girato tutto il giorno. Hanno portato sul set della patate bollite dei piccoli piatti di minestra e del caffè. Poi è cominciato a piovere a catinelle e ci siamo dovuti fermare. Hong ha deciso che saremmo andati a cena e che, se avesse smesso di piovere avremmo girato quella scena di notte perché era meglio girarla nella continuità. Abbiamo girato in una spiaggia, sulla strada, un po’ ovunque e io c’ero in ogni inquadratura. Una scena era particolarmente deliziosa, dentro una tenda con un finale piuttosto improvvisato: ci siamo messi a cantare io e Jun-sang. Credo che sia un po’ l’attore feticcio di Hong Sang-soo. È un po’ farsesco, è anche un attore di music-hall. È molto, molto gentile. Canta e balla. E lì, sotto la tenda, ha improvvisato una canzoncina. Lo aveva fatto anche durante le prove. In realtà, Hong si è ispirato interamente alle nostre improvvisazioni. Coglie dei dettagli: a un certo punto fa dire a un attore che dormo come un neonato. È quello che mi aveva detto sulla strada da Seul: “In macchina dormivi come un neonato”. 7 – Oggi ho visitato un tempio, il tempio di Nesosa con Moon So-ri e Jun-sang. La donna che gestiva il caffè era la madre o la zia di un calciatore famosissimo, ha riconosciuto Jun-sang, anche lui è molto famoso in Corea. Si sono scambiati degli autografi. Poi sono andata in piscina con Jun-sang. C’è una specie di improbabile parco acquatico vicino all’hotel. 13 8 – È un po’ di tempo che non scrivo sul mio diario. Non è così semplice. Abbiamo delle giornate molto lunghe. Ci si alza all’alba. Non abbiamo orari. Si lavora e basta. Abbiamo iniziato a girare la seconda storia. Hong l’altro giorno mi ha spiegato che i personaggi del film sono allo stesso tempo gli stessi e diversi. Tutto è giocato sulle similitudini. Per esempio, nella prima storia incontro una capra e parlo con lei imitandola e, nella seconda storia, rifaccio la stessa cosa. Mi fa incontrare gli stessi personaggi, per esempio il bagnino, e ci diciamo pressappoco le stesse cose. Intravvedo quello che vorrà dire nel film. A volte le situazioni nella vita si ripetono allo stesso modo, all’infinito. Mi ero immaginata che il secondo personaggio avrebbe avuto i capelli lunghi e sciolti ma ha voluto che mi facessi una coda di cavallo abbastanza stretta. Da un aspetto piuttosto divertente perché nel film sono spesso ripresa mentre cammino sola per strada. Mi riprende spesso in marcia, un po’ persa. Con questo abito rosso e questa coda di cavallo che dondola a destra e a sinistra al ritmo della camminata. Non ho ancora visto com’ero illuminata. È la prima volta che sono così fiduciosa. Un po’ per fiducia, un po’ per stanchezza. C’è qualcosa di abbastanza resistente in Hong Sang-soo. Tende a mantenere il controllo e il potere su tutto quello che fa. Cosa che non mi dispiace ma, allo stesso tempo, avrei voluto verificare un po’ la luce su un altro schermo diverso da quel combo minuscolo. Ma tendo a dargli fiducia, perché quello che vedo è piuttosto bello. C’è questa luce aureolata, un po’ filtrata che ritroviamo in molti suoi film. Una luce poco trapuntata. L’altro ieri mi ha detto: “Se vuoi ti faccio vedere i tuoi primissimi piani sul grande schermo”. E per finire non gliel’ho più richiesto e ovviamente non me lo ha più proposto. Di sera, dalla mia camera che si trova accanto alla sua, ho sentito attraverso il muro che stava visionando quello che avevamo girato, perché d’un tratto, ho sentito la mia voce che imitava la capra. Avrei potuto chiamarlo ma ero troppo stanca e non ne avevo il coraggio. 9 – Non dimenticherò mai il fatto che sto leggendo Dei miei sospiri estremi di Buñuel mentre sono in Corea a girare un film con Hong Sang-soo. Leggendo questo libro trovo qualche richiamo. Buñuel parla della poesia, dei racconti senza capo né coda, delle fughe poetiche e irrazionali nei film senza alcuna spiegazione psicologica e, evidentemente, siamo nel cuore del cinema di Hong Sang-soo, in cui d’un tratto salta fuori una capra a cui parlo. Non c’è un perché. Mi ha detto a proposito di una certa parte della seconda storia: “Ma questo, capisci, è un sogno”. Mi era sfuggito, che quella determinata parte fosse un sogno più di un’altra… Buñuel descrive nel suo libro il suo amore per i sogni e le immagini insolite messe sullo schermo senza una spiegazione, segnate dal suo trascorso surrealista. È divertente leggere questo ora, perché c’è qualcosa di assolutamente surrealista nel cinema di Hong Sang-soo, nell’avventura che sto vivendo e in questo film, con le sue tre storie e i tre personaggi differenti che incarno in situazioni che si ripetono. Mi chiedo per esempio se mi farà parlare con la capra una terza volta nella terza storia. 10 – Ieri non abbiamo cenato. Abbiamo pranzato alle 16.00, a grande velocità – io morivo di fame. Avevo iniziato a mangiare un po’ prima approfittando del fatto che si girava nel ristorante. Mi sono innervosita perché ho notato che riprendeva più l’attore di me. Va bene. Credo che a lui piaccia filmare gli attori e identificarsi nel personaggio maschile. L’altro ieri sera, abbiamo cenato in un piccolo ristorante lì vicino. Hong ha suonato la chitarra. Sembra che sappia un po’ suonare, non è niente male. Era molto bello. 14 Passando da una storia all’altra, troviamo sempre gli stessi personaggi e gli stessi elementi, come il faro che cerco nelle prime due storie. Anche la tenda, dove il bagnino m’invita nella prima storia e dove mi canta una canzone che ha composto per me. Nella seconda storia perdo il mio cellulare che il bagnino ritrova. Ci sono dei riferimenti visivi attorno ai quali si articolano le storie: la tenda, il faro, l’ombrello, etc. Attorno a tutto questo costruisce delle situazioni in cui gli oggetti giocano un ruolo differente. Tutto cambia e nulla cambia. Forse è questo che vuole dire. Vedremo. Vedremo più avanti cosa vuol dire, quando vedremo il film. 11 – Oggi è una strana giornata. Non si gira. Piove a catinelle. Ha piovuto tutta la notte, a dirotto. Aspetto che passi la giornata. Abbiamo finito di girare la seconda storia e ora sta scrivendo la terza. Ieri sera siamo andati a mangiare dei granchi in un ristorante con due attrici, Yumi e Moon So-ri, e i due manager delle due attrici. È strano, qui tutti gli attori hanno una macchina nuova di zecca, delle grosse 4×4, e hanno tutti il loro manager, e tutto questo assegnato dalle società per le quali lavorano. Darò questa idea a Bertrand de Labbé! È incredibile che per film così piccoli e modesti, ogni attore abbia il suo manager e la sua macchina. Siamo rientrati e lì, di colpo, Hong Sang-soo ha chiesto che facessimo quel famoso gioco che avevamo già fatto a Seul con lui, Jun-sang e il compositore della musica che era lì anche ieri sera. Il gioco consiste nel fare delle domande strane e rispondere subito. E lì, tutti mi facevano delle domande. “Chi sposeresti dei membri della squadra?” Ho subito detto il direttore della fotografia; il direttore della fotografia è sempre il più importante per un’attrice. E ogni volta che uno fa una domanda, deve bere. In realtà, è un gioco che consiste nel far bere e a terminare la serata ubriachi fradici. Ma non è durato a lungo. Dopo di che ha voluto assolutamente che cantassi delle canzoni di Edith Piaf. Credo voglia farmi cantare nel film. 12 – Mi piace la storia dei costumi. Per la prima storia ho una camicia che viene dalle Filippine, degli orecchini che vengono dalla Cina, delle infradito che vengono dal Brasile e il resto da Parigi, per esempio la borsa arancione, di un colore molto bello, che conferisce tutta la sua forza poetica all’insieme. E mi piace la storia di quegli orecchini, che ho rischiato di perdere non so più quante volte e che ho comperato in una piccola strada turistica di Pechino. Le infradito brasiliane che avevo comperato vicino al mio hotel di Sao Paulo mentre recitavo in Quartett. E poi questa camicia filippina, che tra l’altro non ho indossato in Captive, che faceva parte di una serie di costumi ammucchiati per me. È la camicetta blu che Hong aveva scelto. Il secondo costume, è un abito rosso che viene da Las Vegas, degli orecchini color turchese che si sposano benissimo con l’abito color corallo che avevo comperato a Madrid – non in Spagna ma una piccolissima città del Nuovo Messico -, durante un viaggio che ho fatto con i miei figli, l’anno scorso negli Stati Uniti. Le scarpe sono delle piccole Louboutin che ho recuperato sul set di My Little Princess di Eva Ionesco, delle scarpe in satin con un piccolo nodo sopra. Le sono piaciute. E poi una borsa di cuoio che viene da Sao Paulo – avevo idea che le sarebbe piaciuta. Dunque: primo costume: Filippine, Francia, Cina per gli orecchini e Sao Paulo per le infradito. Secondo costume: Las Vegas, Nuovo Messico, Parigi per le scarpette e di nuovo Sao Paulo per la borsa! Mi piace molto questa storia allo stesso tempo geografica e temporale dei costumi. Mi piace anche molto l’idea che le cose abbiano l’aria molto dettagliata, molto preparata mentre in fondo tutto questo è solo il risultato del caso. 15 13 – È incredibile! Ieri abbiamo girato tutto il giorno fino all’una e mezza del mattino e ora ci svegliano alle quattro e mezza, tre ore dopo. Sono sfinita. Abbiamo girato una scena di barbecue che è come una replica della scena di barbecue che abbiamo già girato precedentemente. Penso che il film sarà finito prima di quanto credessi. Infatti, la seconda storia dura sei giorni. Gira veramente molto alla svelta e fa molti ciak. 14 – Abbiamo appena finito di girare una lunghissima scena. È mercoledì. Ieri ero sul punto di crollare per una scena che abbiamo ripetuto e interpretato non so quante volte. Una scena in cui sono di fronte a un monaco interpretato da un filosofo molto famoso, a quanto pare, qui in Corea, che si chiama Kim Young-oak. È specializzato nello studio di testi antichi e parla correntemente il greco, il latino, l’egiziano antico, il copto. È anche un personaggio mediatico perché ha avuto un programma televisivo, credo di divulgazione della filosofia. Sembra che il programma sia stato interrotto per ragioni politiche, ma dovrebbe riprendere. È anche sceneggiatore del film di Im Kwon-taek Ebbro di donne e di pittura. È un uomo abbastanza vanitoso che si incipria ad ogni ripresa. Ha voluto incontrare Hong dopo aver visto Ha ha ha. Hong, allora, ha avuto l’idea di proporgli questo ruolo. Ma la scena era lunghissima. C’erano molti dialoghi e finirla è stato un inferno. Alla fine del pomeriggio, Hong ha detto che la luce non era più buona. Dunque bisognava ricominciare. Abbiamo finito di girare alle 19.00 e abbiamo ricominciato alle 9.00. Abbiamo fatto non so più quanti ciak tra le volte in cui sbagliava lui, le volte in cui suonava il cellulare dell’attrice nella sua borsa e le volte in cui mi sono sbagliata io quando ho dimenticato due battute importanti. Spero che la sequenza venga bene comunque. Ho la sensazione che presto arriveremo alla fine perché corrono voci – è una troupe molto piccola – che riguardano sempre questa famosa sceneggiatura, oggetto di tutti gli interrogativi, di tutte le attese, di tutte le sorprese, la voce sarebbe che stiamo girando le ultime pagine della sceneggiatura. Ci sarà un’altra scena sulla strada con la piccola cameriera interpretata da Yumi, sempre intorno all’ombrello, dopo, di nuovo, la ricerca del faro e, per finire, una grande scena d’amore sotto la tenda con il bagnino, e sembrerebbe che sia finita. Oggi è mercoledì e non so se avremo il tempo di girare tutto questo oggi. Tanto più che ha deciso di girare nuovamente una piccola scena sulla strada con Yumi in cui questa vuole comperarmi un sandwich al tonno, replica di un’altra scena. Ogni scena riposa su un principio di ripetizione: la tenda, il sandwich, il barbecue si ripetono in modo diverso da una scena all’altra. 15 – Non so se ho commentato tutto quello che è successo l’altro ieri. Ci siamo ritrovati alle 7.00, nel fango e sotto la pioggia, in quella spiaggia, di fronte all’albergo. Tutto iniziava con la scena del barbecue, sempre sotto la pioggia e con il vento. Poi siamo andati a dormire, poi ci hanno svegliato alle quattro per andare avanti con quella scena completamente demenziale in cui il documentarista vuole baciarmi. Sua moglie, incinta, diventa isterica e urla a suo marito prima che arrivi la mia amica anziana. Abbiamo girato fino a mezzogiorno perché Jun-sang doveva andare di corsa a Seul per girare una serie televisiva. E alla sera, Moon So-ri è venuta a salutarmi perché lasciava il set. Partorirà tra quindici giorni. Questo per dire quanto siano particolari i ritmi di lavorazione. A volte non si gira per due giorni, a volte si gira per 24 ore. 16 Mi viene in mente quel che disse Godard, quella volta che si era rotta la macchina da presa sul set di Passion e che lui stesso non voleva più andare avanti: “Conta anche il mio desiderio”. È una frase che non ho mai dimenticato. Come se alla fine, quando si fanno i film, fossimo legati ad ogni sorta di imperativi, il suono, la luce, ma si dimentichi l’essenziale. Il più delle volte, non si tiene conto dei desideri degli attori per quel che riguarda l’interpretazione. Si dice “Svelti, si gira!”, mentre per quanto riguarda suono e luce si aspetta a lungo, ma gli attori a volte hanno appena il tempo di fare un ritocco al trucco. Quando Godard disse quella frase, voleva esprimere questo: Conta anche il mio desiderio, e non solo quella della nuvola che passa quando vuole o della macchina che passa quando non deve. E penso che Hong Sang-soo, da come organizza il lavoro e da come si svolgono le cose, tenga conto prima di tutto del suo desiderio, del suo bisogno o della sua disponibilità. La sceneggiatura arriva quando decide lui che arrivi. Ieri, per esempio, sebbene mi fossi alzata molto presto, abbiamo ricevuto la sceneggiatura solo a mezzogiorno. All’inizio, quando mi ha detto che avrebbe scelto questo posto, mi era piaciuta l’idea di costruire la storia a partire dal luogo. È un piccolo villaggio ma funziona anche come un grande studio. Ci si sposta in un modo incredibilmente rapido; per andare dall’albergo alla spiaggia si impiegano quattro minuti. Quindi tutto è estremamente semplice. Dove ci vorrebbero due ore, qui bastano quindici minuti. Si capisce come riesca a fare i film in 15 giorni. In cambio si prende tutto il tempo che vuole per le scene e può fare molti ciak, come nel caso della scena interminabile con il monaco. Stavo male perché mi ero dimenticata due frasi in una ripresa che era eccezionalmente buona, ovviamente, è sempre così. Ma altrimenti era abbastanza difficile. Come mantenere la fluidità, l’energia? Avevo già notato che quando si fanno moltissimi ciak, d’un tratto, arrivati alla trentesima, si ritrova una naturalezza che alle volte, man mano, si era persa. Le cose tendono a solidificarsi. 16 – Ecco, è finito, sto facendo le valigie. Sono un po’ triste di partire perché mi ero legata a questo posto che è così tranquillo. E queste camerette sono molto piacevoli, molto semplici, con il cucinino, il ballatoio che dà sul mare, tutto questo è molto rilassante. Mi sono anche chiesta perché non rimanere un giorno in più, ma credo si tratti di un momento di malinconia e di nostalgia perché sto partendo. Sono quasi le sette e stiamo per fare questa foto con il costume numero 3 per il manifesto. Poi vuole che facciamo delle cose buffe con Jun-sang, il suo caro Jun-sang che sembra voler portare su un piatto d’argento. Bisogna dire che è molto gentile, ma sembra essere molto sedotto da lui, voglio dire sul piano artistico, sembra che lo apprezzi molto. L’altro giorno, dopo cena, aveva comperato dei piccoli fuochi d’artificio che agitavamo nel buio, ora vuol fare la stessa cosa e farci fare delle piccole cose del genere. È un finale che non finisce mai di finire. Facciamo foto e film per la promozione tutto il pomeriggio dopo aver girato quei piccoli remake. Hong non era presente. Era occupato a scrivere il cortometraggio che girerà con Yumi, Jun-sang e l’attrice che interpreta la mia amica nella terza storia. 17 – Ecco, è finito. Sono rientrata. La giornata di ieri era tutta dedicata a fare foto sulla strada, davanti all’albergo e sulla spiaggia, con Jun-sang; foto che forse serviranno per il manifesto. Ho fatto il bagno. Volevo assolutamente fare il bagno una volta prima di partire e non lasciare la Corea prima di aver fatto una nuotata. Mi hanno ripreso da lontano mentre nuotavo con Jun-sang. Poi ho organizzato un piccolo rinfresco. La produttrice Tchoy era andata a comperare dello champagne e del makkoli. 17 Ho saputo in quell’occasione che esiste del makkoli alla fragola e alla clementina. Poi ha comperato dei dolci, tutto nello stesso posto in cui avevamo fatto la cerimonia religiosa all’inizio del film. Assumeva dunque un carattere un po’ solenne. Tutto questo era allo stesso tempo molto delicato, molto modesto, molto carino e un po’ commovente. Dopo aver dormito due ore mi sono alzata alle 2 e 30 e sono andata a prendere il mio volo alle 9 a Seul. I manager di Jun-sang e di Yumi mi hanno accompagnata con Stéphanie. Sono un po’ frastornata, lo confesso. Era talmente incredibile quella situazione, talmente corta e densa. Penso con nostalgia a dov’ero alloggiata. Quella camera era molto tranquilla. Lì, leggere era gradevole, non fare null’altro che guardare il paesaggio, il mare. Non c’era musica ma non ne sentivo la mancanza. Non c’era né musica, né televisione. Mi sono divertita a guardare i film che Moon So-ri e suo marito mi hanno portato. Altrimenti non facevo nient’altro che leggere. Non so se un giorno ritornerò sulla spiaggia di Muang nella contea di Buan. Sono piena di ammirazione. Per i suoi film Hong Sang-soo ha fatto delle scelte deliberate e molto sofisticate. Quello che vuol dire e come ha voglia di dirlo si esprime sicuramente meglio in questo modo piuttosto che in un modo più classico e con un altro budget. Mi ha detto: “Capisci, altrimenti bisognerebbe aspettare che arrivino i soldi, ci vuole troppo tempo, mi secca”. È incredibile. Mi ricorda come girava Godard. Non c’era sceneggiatura, ci consegnava le scene il mattino. Anche Godard si serviva degli attori ma lo faceva in un modo più imposto, come si danno i compiti per le vacanze. Mentre Hong si nutriva dei gesti che osservava, delle frasi che dicevo, senza che me ne accorgessi. Ha utilizzato varie volte delle piccole cose per la sua scrittura che ha colto nella realtà… Per esempio quando, nel tempio dove abbiamo girato, ho scritto quella cosa sulla pietra. Una scena che ha ripreso tale quale. Sono probabilmente le ragazze che mi accompagnavano che glielo hanno riferito. “Ho le mie spie” mi ha risposto.

 

 

Hong Sang-soo in tredici film

The Day a Pig Fell into the Well, 1996 Le avventure sentimentali e velleitarie di

due uomini e di due donne di Seul, raccontate da quattro punti di vista. Hong Sang-soo

stabilisce il suo stile: Osservazione insolita della quotidianità, sguardo allo stesso tempo

empatico e bizzarro sul successo sociale, l’amore, la seduzione e la gelosia, rete segreta di

rapporti tra i diversi racconti.

The Power of Kangwon Province, 1998 Una ragazza va in vacanza con alcune

amiche in una regione montagnosa per dimenticare la fine di un rapporto con il suo

professore universitario. Anche quest’ultimo si reca nello stesso posto con un amico e per gli

stessi motivi. I tormenti delle pene d’amore e della consolazione di donne e di uomini,

attraverso due viaggi simultanei, ma mostrati in due episodi successivi. Come il film

seguente, The Power of Kangwon Province sarà presentato a Cannes (Un certain regard),

ma per vederlo da noi [in Francia] bisognerà aspettare l’uscita contemporanea nel 2003 dei

suoi tre primi lavori.

Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, 2000 La rivalità sessuale di due ex

compagni di liceo, un regista indipendente e un gallerista arricchito, che amano la stessa

ragazza, l’assistente del regista. Come in Tropical Malady che uscirà quattro anni dopo, il film

è brutalmente tagliato a metà per ripetere la stessa storia ma con un punto di vista più

crudele. Incastonato in un bianco e nero magnifico, il più impressionante e rigoroso dei primi

HSS, è allo stesso tempo sensibile e lucido sulla forza libidica e sulla creazione.

Turning Gate, 2002 Un attore in declino va a trovare un suo amico scrittore. Lì, non sa

che fare dell’amica del suo amico che gli ha messo gli occhi addosso. Nel viaggio di ritorno,

sul treno, sarà lui a soccombere al fascino di una sconosciuta che seguirà fino a

innamorarsene perdutamente. Con questa favola reversibile sulle trappole dell’amore, HSS

attua pienamente il suo stile: allo stesso tempo divertente, triviale, struggente e erotico.

Woman Is the Future of Man, 2004 La rimpatriata di due vecchi amici, un

professore di arti plastiche e un regista squattrinato, che ricordano una donna che entrambi

hanno amato e che quindi decidono di andare alla sua ricerca. HSS è ormai un regista

riconosciuto (prima selezione in competizione a Cannes, coproduzione francese con MK2) e

dipinge la sua narrazione con tinte di nostalgia vaporosa.

Tale of Cinema, 2005 Sdoppiamento della finzione a tutti i livelli, o come lo spettatore

di un dramma (sull’orgoglio, l’amore e il suicidio) finisce per rivivere alcuni aspetti della storia

che ha appena visto al cinema. È uno dei film più ludici di HSS sulle infinite porosità tra la

vita e la settima arte e uno dei più tragici sull’atonia, quasi fatale, abitata dai suoi protagonisti.

Evento estetico! Hong Sang-soo ha il coraggio di utilizzare la figura più criticata dal buon

gusto internazionale: lo zoom, che diventerà il suo nuovo marchio di fabbrica.

6

Woman on the Beach, 2006 In una stazione balneare dove si è recato per finire una

sceneggiatura, un regista si innamora di una giovane compositrice che sparisce dopo aver

ceduto alle sue avances. Incontra in seguito un’altra donna ma i ricordi della precedente

rimangono sempre vivi. Questo dittico, più rifinito e più vivace dei precedenti, è bagnato da

una bella luce di mezza stagione.

Night and Day, 2008 Due mesi d’estate nella vita di un giovane pittore coreano

costretto a rimanere a Parigi per sfuggire a un arresto nel suo paese (lo sciagurato si era

fatto una canna). Presentato sotto forma di diario, questo Signe du lion degli anni 2000

coniuga i conflitti sentimentali (dilemma tra due ragazze e una terza, la sua compagna, al

telefono da Seul) con uno studio comportamentale sull’esilio forzato, arricchito da episodi

tragicomici e da “cose viste” nel quattordicesimo arrondissement.

Like You Know It All, 2009 HSS prosegue la sua galleria di eroi-artisti che alzano il

gomito per compensare la loro mancanza di ispirazione. Qui, ad essere narrate, sono le

avventure mondane e sentimentali di un regista, preso tra la giuria di un festival, la conferenza

in una scuola di cinema e una rimpatriata con un vecchio professore e la sua giovane moglie di

cui, a sua volta, si innamora. Una combinazione di comicità, romanticismo e di acidità.

Ha ha ha, 2010 Due amici, un regista che vorrebbe andare in Canada e un critico,

bevono e parlano del loro amore estivo senza rendersi conto che stanno parlando della

stessa ragazza. HSS avvia qui una fase più minimalista, leggi “spoglia” del suo cinema

(scene di bevute limitate a poche foto in bianco e nero, dialoghi off). Che non significa che

sia più arida. È perfino l’opposto, tanto il racconto, apparentemente semplice, prepara

biforcazioni inattese verso il romantico o il burlesco.

Oki’s Movie, 2010 Per la prima volta in HSS, il suo eroe tipo, il regista, non è un uomo

velleitario, ma una giovane fiduciosa soprannominata Oki. È attorno a lei che si intrecciano

quattro storie sulla gelosia e sulle complicazioni amorose e che mettono in scena uomini più

anziani ma non per questo più decisi. Girato in una decina di giorni, questo film quasi

improvvisato sprigiona una densità particolare da una sovrapposizione quasi selvaggia dei

suoi quattro frammenti, producendo delle eco più ambigue di quanto sembra.

The Day He Arrives, 2011 Dopo Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, HSS ritorna

al bianco e nero invernale per dipingere alcuni giorni di vagabondaggio di un regista di

passaggio a Seul. Girato in tempo record (sette giorni), è una miniatura delicata e spassosa

sull’amore e sull’amnesia affettiva.

In Another Country, 2012 Tre Isabelle Huppert. Tre passeggiate al faro. Tre

 

variazioni sulla seduzione in spiaggia, collegate in un’infinità di sfumature e di risvolti. E tre

 

buone ragioni per ammirare la grandezza di Hong Sang-soo

Un pensiero su ““IN ANOTHER COUNTRY” Intervista regista e diario Isabelle Huppert

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