5 brevi domande a Carlo Verdone interprete de “La grande bellezza”
di Sergio Fabi
I
D) Tu sei stato in assoluto la persona che ha fotografato e raccontato meglio l’uomo socialmente emarginato ma felice e orgoglioso di esserlo e
sempre speranzoso di un possibile riscatto. Secondo te anche nella realtà è così : “il boro” che strilla e sbraita cercando di farsi sentire spera di avere una sua collocazione nella vita dei “Vip”?
C.V.) Non so più cosa sia essere un VIP. Oggi ci sono tante celebrità, chiamiamole così. Ma nessun vero autorevole protagonista. La massa è sempre più massa. Nel senso che per esagerare tutti finiscono per assomigliare a tutti.
Nei tatuaggi, nel taglio dei capelli, in tanti accessori, nello stesso tipo di phone o di semplici applicazioni per il tuo iphone. Tutti uguali a tutti. Una volta era l’unicità a fare la differenza. Oggi è tutto livellato al fine di poter dire: avete visto, pure io sono dei vostri. Ho le stesse cose vostre. Faccio parte del vostro gruppo. La penso come voi e mi diverto come voi. E diventa il trionfo del banale. Mi ha molto colpito la forte squadra del Borussia Dortmund: nessuno seguiva alcuna moda nel taglio dei capelli. Nessuno aveva un tatuaggio. Sembrava una squadra anni 50′. E sono i più forti. Questo per dirti invece che l’assoluta normalità può stupire.
II
D) Nel film “La grande bellezza” il “chiacchiericcio e il rumore” genera un girone di dannati senza sosta portando inevitabilmente solitudine e incapacità di apprezzare qualsiasi cosa, così come nella nostra società dove tutto deve essere veloce. Perché secondo te la gente ha bisogno di circondarsi del caos, di falsi amici virtuali per sentirsi considerato?
C.V.) Credo che Sorrentino abbia fatto un grande affresco sulla solitudine umana della nostra epoca. Roma è solo una metafora, una scenografia meravigliosa dove davanti a questa “Grande Bellezza” recita un’umanità smarrita.
Senza ideali, senza progetti, senza etica. Sono tutti spaventati dalla solitudine al punto che si muovono in moto perpetuo nel nulla del caos per sentirsi con gli altri. Ma in realtà gli altri non ci sono, c’è solo una massa di persone nelle quali ti confondi, ti ingolfi, ci sbatti. Trovi tante conoscenze, ma nessun vero amico. Da qui il voler attirare l’attenzione su di sé al fine di essere, per un paio d’ore, un protagonista. Ma il vero
dramma è che questa umanità non è in grado nemmeno di star bene con se stessa. E quindi quando si muove porta sempre il peso della propria insoddisfazione.
III
D) Molti “fenomeni” della tv sono arrivati al cinema, quanto si è contaminato un mezzo amato dalla gente come il cinema delle commedie diventato eccessivamente popolare e ultimamente troppo pieno di gag e poco di contenuti?
C.V.) Alcuni fenomeni della tv si sono rivelati delle sorprese. Ma altri hanno livellato verso il basso la qualità del cinema. Ma qui la colpa non è loro.
E’ dei registi. Dei produttori che hanno intravisto la possibilità di avere un personaggio di successo in una semplice celebrità televisiva. Una celebrità che dovrebbe catturare un pubblico di giovani (il pubblico più mutevole in assoluto).
La verità è un’altra: il pubblico italiano ha scarso interesse a vedere o sostenere reali novità. Non le richiede. Anzi le fugge. Da qui il noioso ripetersi di spettacoli o film o storie già visti e rivisti. Nessun azzardo. Questo è il frutto di una cattiva educazione allo “stupore” della novità valida.
IV
D) Ti è venuta voglia in tutte quelle notti passate non dietro la macchina ma davanti, di dire (pur sempre con modestia) : “io l’avrei girata così”?
C.V.) Mai. Da registi come Paolo si impara molto. In Italia ce ne saranno 5 o 6. Ce li dobbiamo tenere stretti.
V
D) Nel film impossibile non notare l’immagine di un uomo allo sbando e alla ricerca di una compagnia femminile. Secondo te gli uomini di oggi non
riescono più a conquistare una donna, accettano ogni umiliazione pur di continuare ad averla vicino?
C.V.) Il problema riguarda, secondo me, entrambi i sessi. Ci sono uomini perdenti pronti a tutto. E ci sono donne sconfitte pronte a tutto pur di non perdere l’unione. Sono categorie che fanno molta tenerezza alla fine. Perché non hanno il dono dell’autorevolezza o del coraggio di troncare e ricominciare. Sono persone che vanno aiutate a riflettere con lucidità.