INTERVISTA A TONI SERVILLO
“Come è stato coinvolto in questo nuovo progetto con Paolo Sorrentino?”
“Esattamente come le altre volte: quando Paolo sta pensando a un certo film in cui ha intenzione di coinvolgermi non mi avvisa mai in anticipo. Improvvisamente mi chiama e mi chiede se voglio leggere una sua nuova storia in cui vorrebbe che io interpretassi un certo personaggio. Il sodalizio che ci lega è molto saldo ed è segnato da una stima reciproca e profonda ma pur essendo molto amici e pur vedendoci con una discreta frequenza, io e Paolo preferiamo mantenere tra noi qualcosa di inspiegabile e misterioso che alimenta il fatto che per quattro film ognuno dei due abbia sentito la necessità dell’altro e che lui abbia voluto fortemente che i personaggi che di volta in volta inventava fossero testimoniati in scena da me”.
“Che cosa vi accomuna?”
“Io e Paolo tendiamo entrambi ad evitare l’identificazione con un certo personaggio ma essendo io l’attore che ha lavorato più spesso con lui penso che scelga la mia faccia per rispecchiare in me anche alcune parti di se stesso: nel viso, nel corpo, negli atteggiamenti, nel modo di guardare il mondo. Credo che se esiste tra noi un tratto comune possa rivelarsi nell’approccio ironico e malinconico, nel saper sorridere delle cose che a volte hanno un risvolto amaro, lì dove per pudore si stenta a commuoversi fino in fondo. E poi nutriamo una vera e propria passione comune per il lavoro, per un tipo di mestiere artigianale che ci coinvolge “sul campo” in maniera indefessa e quasi ossessiva e che si traduce in una dedizione costante e meticolosa.
“Come si è accostato al lavoro sul suo personaggio e sul film in generale?”
“La grande bellezza è l’opera più complessa di Sorrentino, un affresco molto ampio e articolato in cui il protagonista, il disincantato intellettuale Jep Gambardella, mostra facce e atteggiamenti diversi e presta orecchio ai tanti mondi e persone che incontra in un vero e proprio viaggio nei vari luoghi della capitale oltre che a ritroso nel tempo, nella propria memoria. Jep è uno scrittore imprigionato da tempo in un’impasse creativa. Diversi anni prima era stato l’autore di un romanzo di successo ma da allora non è riuscito più a scrivere un libro: l’intero film rappresenta una ricerca, a volte esplicita e a volte meno, delle ragioni che hanno portato a questo blocco della sua ispirazione”.
“Che cosa le è piaciuto di Jep Gambardella?”
“Non mi piace mai parlare di identificazione. Quando si interpreta un certo ruolo c’è sempre qualcosa di se stessi, ma a me interessa scoprirlo in maniera intima e segreta. Di Gambardella mi ha incuriosito e turbato il cinismo sentimentale, la tendenza a dissipare il proprio talento di scrittore, dove per dissipare si intende il separare le cose e fare in modo che poi separandole vadano distruggendosi da sole. Il suo, in fondo, è un tentativo di autodifesa, il modo di stare a galla di chi ne ha viste tante e che oppone alla “piena” del sentimento un cinismo che lo tiene a freno. Tra i modelli di riferimento c’è anche il suo essere napoletano, il suo incarnare un uomo capace di appassionarsi ma anche di ritrarsi da questa passione, come solo i napoletani, in maniera speciale, sanno fare. Un personaggio simile permette di raccontare il presente, diventa una sorta di Virgilio nella Roma di oggi: città eterna e simbolo emblematico di difficoltà e contraddizioni, una città che lui attraversata con il passo felpato del “flaneur”.
“Quale tipo di Roma viene mostrata?”
“Se Paolo Sorrentino fosse stato un regista greco avrebbe pensato ad un film su Atene. Paolo ha scelto di ambientare il suo film nella Roma di oggi, simbolo dell’attuale crisi dell’Occidente, una città con una complessa storia millenaria. Si avverte la potenza affascinante ed inquietante delle rovine e del passato, di un’intera civiltà raccontata sul precipizio di un burrone; Roma è descritta spesso con tinte surreali, più barocca del barocco stesso che esprime, un luogo bellissimo, di una bellezza che ferisce e può uccidere. “La grande bellezza” raccoglie interrogativi, angosce, perplessità, paure e sgomento del presente, calando il mio e gli altri personaggi nell’atmosfera sopra le righe di vari ambienti artistico-modaioli ma anche delle bellezze architettoniche romane. La politica è stata volutamente evitata, forse perché ne avevamo parlato a sufficienza ne “Il divo”. E’ una Roma molto “sorrentiniana”, con momenti di schietta e lucida osservazione della realtà – penso ad esempio alla felicità del racconto di certe lunghe scene di conversazione sulle terrazze d’estate – una Roma polimorfa raccontata attraverso toni ed ambienti diversi. Una città che può essere surreale e barocca ma che viene descritta lucidamente così come è e come la cronaca la restituisce attraverso l’occhio particolare del regista che la racconta”.
“Che tipo di persone e di personaggi vengono descritti in scena?”
“In un’atmosfera perennemente carnevalesca e inquietante, Jep Gambardella incontra un’ umanità molto varia, forse gli unici due personaggi che sente davvero vicini, schietti, diretti e senza maschere, sono Ramona e Romano, rispettivamente interpretati da Sabrina Ferilli e Carlo Verdone, scelti a mio parere da Paolo perché, per motivi diversi, sono due attori che esprimono magnificamente un’anima profonda di Roma: entrambi hanno rappresentato per me due incontri piacevoli, intensi e profondi che mi sono stati di grande aiuto per il mio lavoro per la profonda umanità sia dei personaggi che degli interpreti. Ma oltre a questi due grandi attori Sorrentino si è affidato a tanti straordinari interpreti di provatissima esperienza teatrale, tutti cavalli di razza su cui ha scommesso organizzando la gara in cui poi è il cavallo che deve correre. Paolo fin dalla fase della sceneggiatura ha sempre molto chiari i volti, gli atteggiamenti, le personalità dei personaggi elaborati dalla sua fantasia e immagina che corrispondano a un certo attore perché possiede determinate caratteristiche, è come se facesse a tutti i suoi interpreti un regalo costringendoli però ad una forte assunzione di responsabilità. Ripensando ai momenti delle riprese che sono state molto faticose e complesse conservo un ricordo molto piacevole dei momenti in cui ho avuto l’opportunità di recitare con tanti eccellenti colleghi in un’atmosfera di entusiasmo specie durante le grandi scene di massa che Paolo ha diretto come un esperto comandante, sapendo benissimo quali manovre scegliere per portare in porto la sua nave”.