9 maggio “Sta per piovere” di Haider Rashi con Lorenzo Baglioni, Mohamed Hanifi, Giulia Rupi
NOTE DI REGIA
I TEMI DEL FILM
Sta Per Piovere affronta direttamente il tema del diritto negato della cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri, ma più nel profondo rappresenta, forse per la prima volta in un film italiano, la questione dell’identità delle seconde generazioni. E’ un tema che a me sta molto caro, che considero molto personale e che ha caratterizzato il mio lavoro da quando ho cominciato a fare cinema. Oltre alla storia e ai personaggi, un aspetto che considero fondamentale è la caratteristica che sta dietro all’operazione produttiva di questo film, essendo questo il primo film italiano che tratta questi temi, diretto da un regista di seconda generazione.
LE SECONDE GENERAZIONI IN ITALIA Le seconde generazioni possono essere la chiave del rinnovamento culturale e sociale a cui l’Italia aspira da molto tempo. In Italia le seconde generazioni vivono spesso ancora in un limbo, sia da un punto di vista legale che da un punto di vista culturale. Non sono ancora percepiti come cittadini del Paese nonostante ne siano parte integrante. Il problema è che il mondo intero si sta spostando – e si è già di fatti, spostato – verso il multiculturalismo. E’ una forza inarrestabile perché è la vera essenza dell’evoluzione e dello sviluppo umano. Le società devono dunque accettare ciò che è in realtà un processo naturale che sta avendo luogo in tutto il mondo. In alcuni Paesi si è addirittura arrivati all’annuncio di una fantomatica fine del multiculturalismo, ma credo che vi siano numerosi esempi capaci di smentire tali affermazioni. Fortunatamente in Italia, sta crescendo la consapevolezza della questione. Con le dovute differenze, stiamo attraversando ciò che Paesi come l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti hanno attraversato 30 o 40 anni fa. Improvvisamente ci siamo resi conto della presenza di una seconda generazione che si sente esclusa e bistrattata, che pretende diritti e sparge nuove idee sull’integrazione. E’ un momento storico di cui è bello far parte, ma è anche una battaglia sociale difficile in un Paese che, malgrado la sua grande storia di emigrazione, è ancora abbastanza chiuso culturalmente.
LA PERCEZIONE DELL’IMMIGRATO IN ITALIA Credo che, mentre le nuove generazioni sono riuscite ad accettare, a volte addirittura adottandolo come bandiera, il termine ‘immigrato’ abbia ancora un’accezione negativa. Da figlio di immigrati da fuori e da dentro – mia madre ha lasciato la Calabria da ragazza, trasferendosi a Firenze, dove sono nato – associo la parola ad un senso di dolore, di scoperta e di un nuovo futuro. A volte è necessario essere immigrati, ma questo processo porta con sé un bagaglio pesante di emozioni profonde impregnate di ricordi, nostalgia e a volte sensi di colpa. Non conosco nessuno la cui famiglia non sia stata toccata o cambiata, in qualche modo, dall’immigrazione. Il problema è che mentre riusciamo ad accettare che i nostri emigrino, è spesso ancora difficile accettare gli altri che immigrano nel nostro mondo. Per me è sempre stato normale vivere intorno a persone di diverse origini. Avere un nome arabo in Italia ha sempre avuto una connotazione bizzarra: ricevere continue domante riguardo a dove provenissi e perché il mio nome fosse ‘strano’ mi ha spesso infastidito, ma mi ci sono abituato. In un certo senso, crescere con origini miste mi ha dato l’opportunità di osservare il mio ambiente in maniera più obiettiva. Ma quando sono arrivato intorno ai vent’anni, qualcosa è cambiato, forse perché ho cominciato ad avere a che fare con il mondo arabo in modo più ravvicinato e profondo, improvvisamente mi sono trovato lacerato su dove avrei dovuto vivere o dove appartenevo, lacerato da ciò in cui avrei dovuto credere. E’ successo tutto nel momento in cui improvvisamente ciò che chiamiamo l’Occidente ha cominciato a scontrarsi frontalmente con il cosiddetto Oriente e a vedere il mondo arabo come un nemico. Ero lacerato, e lo sono tuttora, riguardo a ciò che considero giusto, riguardo alla mia morale, ciò che significa la parola ‘libertà’ e come è distorta a seconda di idee che appartengono a diverse culture e credenze religiose o politiche.
LA TRASPOSIZIONE IN FORMA CINEMATOGRAFICA Ho cercato di mantenere un profondo realismo nel film, sia dal punto di vista delle performance – guidate da una presenza fortissima del protagonista, Lorenzo Baglioni – che della fotografia e dello sguardo con cui abbiamo deciso di rappresentare Firenze. Da anni ho il desiderio di girare nella mia città e di rappresentarla non come una cartolina, come è stato spesso fatto, ma come una città vera e propria, la cui bellezza è uno dei tanti elementi che la contraddistinguono. Said è italiano, parla con un accento marcatamente fiorentino – come me, peraltro – e sarebbe difficile distinguerlo da qualsiasi altro italiano se non si sapesse il suo nome, ed è anche per questo motivo che ho scelto un attore puramente italiano per interpretare questo personaggio. Come molti di seconda generazione, ha un senso di dissacrazione del suo status e delle sue origini, un senso dell’umorismo che sfrutta i tanti luoghi comuni sugli immigrati. Said ignora allo stesso tempo molto dell’Algeria, suo Paese di origine, tanto che nel momento in cui gli si palesa davanti il rischio di doverci andare a vivere, ha il terrore di essere spedito in mezzo al deserto, mentre l’Algeria, per quanto composta in buona parte da deserto, è ben altro. Vi è anche un forte conflitto generazionale tra Said e suo padre, interpretato da Mohamed Hanifi, che prima di questo film non aveva mai recitato in vita sua. I due hanno vedute diverse riguardo a ciò che gli sta accadendo, a ciò che chiamano casa, alla religione e probabilmente molto altro, ma nel profondo c’è una grande amore, ed un profondo rispetto da parte di Said; un rispetto che si rifà più alla cultura araba che a quella italiana. Said è un personaggio con una forte morale, diverso dall’usuale rappresentazione che spesso è fatta in Europa dei giovani, degli stranieri o delle seconde generazioni; ricalca la falsariga dell’eroe classico, quello che diventa ‘martire’ all’interno della narrazione, che rimane fedele ai suoi principi e per cui il fine non giustifica i mezzi. E’ un tipo di personaggio che si è un po’ perso negli ultimi anni, specialmente in Italia. In termini stilistici, il cuore del mio lavoro è sempre l’attore, con cui c’è una grande preparazione sui personaggi, sui modi in cui loro possono legarsi ad essi e sulla scoperta di una libertà di fronte alla macchina da presa che gli permetta di sentirsi liberi ed investigare, in scene spesso improvvisate, i loro lati più profondi. Vi è anche un elemento di realismo magico che aiuta a rappresentare dei sentimenti, come la lacerazione che proviene dall’incapacità di identificarsi in un senso di appartenenza, o l’inquietudine ed i tumulti interiori che derivano dall’essere costretti ad abbandonare la propria casa, che sarebbe difficile rappresentare mantenendo un approccio puramente realistico. Considero i miei maestri Cassavetes, Antonioni, Scorsese, Rosi e Pontecorvo. Ognuno di loro – essenzialmente diversi, ma profondamente simili tra loro – mi ha cambiato e definito. Sino ad ora il tema centrale del mio lavoro è stato l’essere di origini miste e la continua ricerca del nodo di una questione la cui verità sta probabilmente nell’accettazione che appartenere a dei posti o a delle terre è un concetto che sta cambiando, e l’unica strada possibile è accettare l’ignoto che sta di fronte.
[Haider Rashid]
SINOSSI Said, un giovane sicuro ed ambizioso, nato e cresciuto in Italia da genitori algerini, studia e lavora come panettiere part-time. A seguito del suicidio del direttore della fabbrica in cui lavora Hamid, suo padre, la famiglia si trova di fronte alla lacerante realtà di non poter rinnovare il permesso di soggiorno, come fa puntualmente da trent’anni, e riceve un decreto di espulsione. La vita di Said prende improvvisamente una piega scura: l’Italia, il Paese che ha considerato sempre suo, appare ora come un muro di gomma che lo spinge a ‘tornare a casa’, in Algeria, luogo che lui non ha neanche mai visitato. Nel tentativo di trovare una soluzione, Said si appella agli avvocati, ai sindacati ed alla stampa, cercando di portare l’attenzione su un problema concreto e sempre più presente nella società italiana; questo percorso lo porterà attraverso i meandri di una burocrazia legislativa retrograda e alla riconsiderazione della sua identità – riflettendo su un dilemma profondo: rimanere in Italia clandestinamente o partire per l’Algeria con la sua famiglia, aiutandola a ricostruirsi una vita nel Paese che ha lasciato trent’anni fa?
LA PRODUZIONE Sta Per Piovere ha avuto un’evoluzione produttiva molto rapida, passando dallo sviluppo della sceneggiatura al completamento del film nello spazio di sei mesi. La sceneggiatura è stata scritta nel giugno 2012, contemporaneamente all’inizio del casting e del reclutamento della troupe, che è stata per la maggior parte composta da professionisti sotto i trent’anni. La scelta produttiva è stata quella di comporre una squadra leggera, in modo da poter procedere rapidamente durante la produzione. Il film è stato girato a Firenze, per sei settimane dalla metà di luglio 2012 e presentato in anteprima mondiale al Dubai International Film Festival nel dicembre 2012.
LA COLONNA SONORA La colonna sonora è stata registrata negli studi della Roehampton University di Londra e composta da Tom Donald, che ha composto una squadra di musicisti di grande talento creando una commistione di sonorità con contaminazioni arabe grazie ai flauti di Jon Le Champignon ed all’Oud di Stefanos Tsourelis. Come filo rosso della struttura musicale, Donald ha utilizzato il pianoforte, suonato da lui stesso, affidandosi a volte all’improvvisazione e la viola di Katja Lazavera, che mantiene una tensione profonda molto legata alle vicende del protagonista
BIOFILMOGRAFIE IL REGISTA – HAIDER RASHID Haider Rashid nasce a Firenze nel 1985 da padre iracheno e madre italiana. All’età di 19 anni si trasferisce a Londra per studiare cinema ma decide in seguito di abbandonare gli studi e continuare a lavorare sul campo con il documentario Between Two Lands che affronta le storie della seconda generazione di esiliati iracheni di Londra e con il lungometraggio Tangled Up in Blue la prima co-produzione italo-irachena, che ha scritto, prodotto e diretto e continua la sua ricerca della patria perduta attraverso la storia di un iracheno di seconda generazione. Il film è stato distribuito in sala in Gran Bretagna ed ha partecipato a oltre quindici festival internazionali, ottenendo I favori del pubblico e della critica e vincendo premi al Gulf Film Festival di Dubai ed all’I’ve Seen Films International Film Festival di Milano, la cui giuria era composta dagli attori Rutger Hauer e Miranda Richardson e dal regista Anton Corbjin. Il suo secondo lungometraggio, Silence: All Roads Lead to Music, segue un gruppo di musicisti internazionali durante la creazione del gruppo The Silence Project. Il film, definito dalla celebre rivista Variety come un lavoro “splendidamente e magistralmente costruito”, è stato presentato in anteprima mondiale al Dubai International Film Festival e più recentemente al Seattle International Film Festival. Sta Per Piovere è il suo terzo lungometraggio.
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