“Qualcuno da amare” di Abbas Kiarostami – curiosità

24 aprile   “Qualcuno da amare”  di Abbas Kiarostami
con Rin Takanashi, Tadashi Okuno

SINOSSI

Un anziano professore e una ragazza si incontrano a Tokyo. Lui la invita a casa sua, lei gli offre il suo corpo…

 

IL MIO INCONTRO CON ABBAS di Marin Karmitz

 

La prima volta che mi sono imbattuto in Abbas Kiarostami è stato quando mi proposero Close-Up all’inizio degli anni ‘90. Mi venne consegnato da uno dei suoi interpreti e subito rimasi colpito dal tema del film e dalla maestria con cui era stato realizzato. Chiesi di incontrare il regista. La storia di Close-Up è quella di un tipo che si spaccia per un importante regista chiamato Mohsen Makhmalbaf. Non avevo mai sentito parlare di lui, così chiesi “Chi è Makhmalbaf?”. L’attore mi rispose che si trattava di un famoso regista iraniano. Avavo chiesto di incontrare Abbas Kiarostami, e invece incontrai Mohsen Makhmalbaf, e cominciai a produrre i suoi film e quelli di sua figlia Samira (La mela) prima di riuscire finalmente ad entrare in contatto con Kiarostami. Close-Up ha rappresentato per me l’incontro con il cinema iraniano e, di conseguenza, con Mohsen Makhmalbaf, che mi ha poi presentato Abbas Kiarostami. Guardando Close-Up, mi sono innamorato di questo artista, proprio come mi era successo con Samuel Beckett, Alain Resnais, Krzysztof Kieslowski e Claude Chabrol, sebbene non sapessi assolutamente nulla di lui. Mi ero offerto immediatamente di produrre un suo film, ma lui mi aveva risposto di non aver bisogno di un produttore perché si produceva i suoi film da solo. Ma poi ha cominciato a raccontarmi delle storie. E mi sono reso subito conto che Abbas Kiarostami non è solo un cineasta, ma anche un narratore persiano di grande talento. Mentre mi raccontava una sua storia pensavo: “Ah, che film meraviglioso se ne potrebbe trarre!”, poi ancora una storia e io: “Ah, che altro fantastico film sarebbe!”. Mi accorgevo che mi stava studiando attentamente. Ogni volta che veniva a Parigi mi raccontava una nuova storia. E ogni volta gli chiedevo: “Quando faremo un film insieme?” E lui mi rispondeva ogni volta: “Non mi serve un produttore”. Pensavo alle sue storie come a dei doni, e, in cambio, gli raccontavo storie sul cinema. Così sono rimasto in disparte, mentre film come E la vita continua (1991), Sotto gli ulivi (1994) e altri uscivano senza che venissi mai coinvolto. Poi, quando Il sapore della ciliegia vinse la Palma d’oro nel 1997 Abbas Kiarostami cominciò ad essere corteggiato da numerosi produttori. Al suo ritorno a Parigi venne a trovarmi e mi disse: “Ci siamo. Adesso sono pronto a realizzare un film prodotto da te”.  All’epoca avevo ormai praticamente rinunciato all’idea, perciò quando venne da me provai una felicità indescrivibile. Gli chiesi a quale film avrebbe voluto che lavorassi. Lui cominciò a tirar fuori storie dalla sua collezione di tesori, studiando la mia reazione per ciascuna delle idee suggerite (una cosa che fa ancora oggi). Passò in rassegna una storia dopo l’altra fino a quella che veramente mi aveva fatto drizzare sulla sedia per ascoltare con maggior attenzione. E il primo film che abbiamo realizzato insieme è stato Il vento ci porterà via. Quando fai un film con qualcuno il rapporto con questa persona cambia. E’ stato durante la realizzazione di Dieci che ho capito il suo metodo di lavoro. Quando mi ha raccontato per la prima volta la sua idea per il film, Dieci era la storia di una psicanalista il cui marito passa delle informazioni su di lei alla polizia. La polizia arriva e le chiude lo studio. Lei arriva e scopre che hanno messo i sigilli all’ingresso e che c’è una lunga coda di pazienti in attesa. Così decide di continuare a trattare i suoi pazienti nella sua auto, mentre guida per tutta la città. Il risultato non è stato così diverso dalla storia che mi aveva raccontato inizialmente, ma l’idea è stata perfezionata, ridotta ai suoi elementi essenziali. Osservavo per capire come Abbas Kiarostami ci riuscisse. E quello che inizialmente non avevo colto era una tecnica estremamente interessante: la sua storia si evolve in modo molto simile al lavoro di alcuni pittori o scrittori: rifilando e eliminando il superfluo Abbas riesce ad arrivare al cuore della storia, alla verità essenziale e universale. Si tratta di una capacità molto importante, e molto rara. Abbas Kiarostami lascia sbocciare le sue idee come fiori ma mentre alcune appassiscono, altre fioriscono rigogliose. E’ stato intorno al 2002, dopo la realizzazione di Dieci, che ha accennato per la prima volta all’idea di ambientare un film in Giappone. Siccome non c’era alcuna sceneggiatura, gli ho proposto di riprenderlo con una videocamera mentre mi spiegava la storia. Parlava di alcuni conducenti di taxi e si svolgeva nell’arco di una notte a Tokyo. Recentemente, dopo che Qualcuno da amare è stato completato, ho riguardato le riprese che avevo fatto 8 anni fa. Nel filmino chiedevo a Kiarostami di mostrarmi le immagini preparatorie che aveva girato, e insieme le guardavamo sul televisore mentre lui le commentava. C’era l’idea per una scena in cui un taxi passa in una piazza circolare, girando attorno ad un’anziana signora. Tutti gli elementi di Qualcuno da amare c’erano già, ma in forma di appunti. Gli ci sono voluti 10 anni per trasformare quella storia in un’opera completa. Abbas Kiarostami ha sempre usato delle versioni di prova prima di iniziare le riprese vere e proprie dei film che gli ho prodotto. Per Copia conforme sono state realizzate due versioni preparatorie dell’intero film. Inizialmente il film è stato girato riprendendo solo gli ambienti, poi con delle controfigure, infine sono cominciate le riprese vere e proprie con gli attori. Queste versioni preparatorie possono essere paragonate agli schizzi di un artista, che guarda ad essi come ad un riferimento e ad un aiuto per raggiungere il risultato finale: il dipinto. Mi fa venire in mente anche lo scultore Giacometti, che lasciava il suo lavoro su una panca nel suo studio e poi decideva se tornare a lavorarci su, se lasciarlo lì, finirlo o buttarlo via. E’ un metodo che non avevo mai visto utilizzare da altri registi. Non mi è mai capitato di notare un parallelismo così evidente fra la realizzazione di un film e di una qualsiasi altra opera d’arte. Di norma nel cinema lavoriamo sulle sceneggiature, alle quali ovviamente apportiamo qualche modifica, ma cominciamo a girare relativamente subito. Talvolta un’idea o un soggetto possono richiedere un po’ più di tempo per essere sviluppati, ma non lavoriamo con dei “bozzetti”, almeno non come fa Kiarostami.  Questo metodo di lavoro rafforza il mio convincimento che il cinema può essere paragonato alla costruzione di un edificio. Mi aspetto che il regista fornisca i mattoni per costruire la casa. Non per completarla, ma per far sì che anche gli altri possano partecipare alla costruzione. Questo in sostanza è quello che mi aspetto dai registi. Alcuni di loro non sono in grado di fornire neanche un mattone, e arrivano perfino a disfare il lavoro in corso. Alcuni possono contribuire con dei sassolini, che è già qualcosa e serve almeno a dimostrare il loro desiderio di contribuire alla costruzione della casa. Ma non puoi costruire una casa da solo. E non puoi nemmeno fare affidamento solo su muri costruiti da altri. La mancanza di una visione collaborativa nel cinema, o in qualsiasi altra forma di espressione artistica, è segno di arroganza e supponenza. Il metodo di lavoro di Abbas Kiarostami nasce dall’idea di realizzare un’opera personale contribuendo alla realizzazione dell’opera cinematografica. All’epoca gli avevo chiesto perché volesse girare un film in Giappone e lui mi aveva risposto: “Perché se faccio un film in Giappone non sarò accusato di fare un film per gli occidentali. Girare un film in Giappone è come fare un film in Iran. Che gli attori parlino giapponese o persiano, i sottotitoli devono esserci”. Questa conversazione è un buon pretesto per introdurre un aspetto importante che riguarda il nostro rapporto: la lingua. Non il linguaggio ma la lingua in senso stretto. Io non parlo inglese. Lui non parla francese. Io non parlo persiano. Come comunichiamo? E’ una cosa quasi miracolosa e molto interessante. Ed è anche uno dei temi del film Qualcuno da amare. Qualche volta viaggiamo insieme senza un interprete e riusciamo a capirci ugualmente. Come? Io gli parlo in francese abbastanza lentamente, e lui mi risponde in inglese. Io riesco a capire il suo inglese e lui riesce a capire il mio francese. Specialmente quando siamo in macchina insieme e sono io a guidare. Si siede accanto a me e parliamo. Riusciamo a comunicare perché il rapporto che abbiamo stabilito va oltre le parole. Le parole trasferiscono informazioni ma anche le intenzioni, quella comprensione reciproca che accompagna le frasi in un linguaggio universale. La situazione era la stessa quando lavoravo con Kieslowski. Io non parlo polacco. Lui non parlava francese. Così entrambi ci esprimevamo in un cattivo inglese…..Con lui, le conversazioni non avevano mai luogo in macchina, ma nei bar dove bevevamo qualcosa, e funzionava. Per me c’era in quel caso la stessa comprensione universale che oltrepassa le barriere linguistiche. Non intendo una lingua comune come l’esperanto, ma qualcosa che va oltre, qualcosa che riguarda il trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Una volta, durante la lavorazione di Copia conforme, mi ricordo che eravamo, come spesso accadeva, alla postazione per il montaggio, e avevamo appena concluso una prima visione. Ho fatto un commento su una scena che mi era sembrata un po’ lunga. Allora lui l’ha tagliata, e io mi sono subito reso conto che il film era cambiato. I 30 secondi che erano stati eliminati avevano cambiato il film e avevano cambiato il linguaggio del film. Avevano cambiato lo stile di Abbas e il suo lessico cinematografico: introducendo un’ellissi ed omettendo una parte della sequenza degli eventi, qualcosa che non avrebbe dovuto essere nel film risultava invece enfatizzato. Copia conforme rispetta la continuità dello spazio e del tempo, come se fosse un’unica lunga sequenza. Lui ha tagliato la scena davanti a me, pensando che forse avessi ragione, e invece era chiaro che era lui ad aver ragione e io ad avere torto. Questo genere di cose hanno contribuito a far crescere la nostra comprensione reciproca.  Quello che mi affascina di Abbas è che non si ferma mai, guarda sempre avanti. Il suo lavoro si evolve costantemente, come accade per tutti i grandi artisti. Si accosta ad ogni nuovo film in modo molto diverso dall’ultimo che ha girato. La realizzazione di Dieci ha coinciso con l’affermarsi della macchina da presa digitale. Per me Dieci è il primo film che sia riuscito a combinare in modo coerente le nuove tecnologie digitali con il tema trattato. All’ultimo respiro aveva fatto lo stesso nel 1960 con la comparsa rivoluzionaria della camera a spalla, del suono sincronizzato e di un’illuminazione meticolosamente preparata. C’era un legame tra le nuove tecnologie e il nuovo modo di Godard di scrivere. Allo stesso modo Abbas Kiarostami è uno dei pochi registi ad aver tratto vantaggio dalle nuove tecnologie digitali per la sua miseen- scène. Per Abbas realizzare Qualcuno da amare non ha significato dimenticare se stesso una volta fuori dall’Iran. In effetti la cosa mi preoccupava molto. Ritengo che tutti i grandi artisti siano profondamente radicati nella realtà del loro paese, ma allo stesso tempo ci si aspetta che siano universali. Un piede dentro e uno fuori. Come potevamo aiutarlo a non perdere la sua specificità? Come sarebbe riuscito a restare fedele a se stesso? Ci era riuscito con Copia conforme, ed è il motivo per cui mi ero sorpreso tanto del fatto che americani e brasiliani lo avessero percepito prima di tutto come un film iraniano. Dopo aver lavorato con un’attrice famosa come Juliette Binoche, per Qualcuno da amare ha scelto di lavorare con dei debuttanti, uno ottantenne e l’altra ventenne! Ma in questo modo ha continuato a sperimentare nel campo dell’espressione artistica e della complessità dei rapporti. Realizzare questo film in Giappone lo ha costretto a scrivere una sceneggiatura, un testo. La cosa ha creato una certa distanza tra Kiarostami e il suo film, e una distanza tra lui e l’Iran. Gli ha attribuito immediatamente lo status di straniero, cosa che gli ha permesso di arrivare all’essenza della storia in modo più diretto. C’è un tema molto interessante in Qualcuno da amare che vale la pena approfondire, il tema del riflesso. I riflessi creano dei fondali, nuovi spazi, sorprendenti immagini allo specchio. L’ho osservato mentre lavorava e passava molto tempo a riprendere il riflesso delle controfigure che passavano. Lavorare direttamente con gli attori si è rivelato più rapido che lavorare con le controfigure. Un regista che si cimenta facendo esperimenti con i canoni classici della cinematografia può rivelarsi complicato per la troupe. Durante il primo periodo delle riprese ci sono stati frequenti battibecchi. Il suo metodo ha richiesto che anche la squadra della produzione modificasse il suo atteggiamento. Noi riusciamo ad impigrirci facilmente, e a non mettere mai in dubbio il nostro metodo di lavoro. Ma Abbas Kiarostami è come una sveglia che ti butta giù dal letto al mattino. Può non essere piacevole, ma devi saltar giù. Senza di lui starei ancora dormendo! Prima d’ora non era mai stato girato un film giapponese prodotto in Francia. Quando Arté ha mollato il film, non avevo più abbastanza soldi per produrlo, nemmeno con il contributo del produttore giapponese. Ma lo avevo promesso ad Abbas. Perciò ho preso una scultura di Yves Klein alla quale tenevo e l’ho data a Sotheby’s che l’ha venduta per me ad un’asta negli Stati Uniti. Con quello che ci ho ricavato ho potuto fare il film di Abbas Kiarostami. Sono felice di aver barattato una splendida opera d’arte di Yves Klein con una splendida opera d’arte di Abbas Kiarostami.  Proprio l’altro giorno gli ho chiesto: “Con chi farai il tuo prossimo film?” Lui mi ha guardato leggermente sorpreso. – “Beh… con te, ovviamente. Tu sei il mio unico produttore” – “Ne sono felice, perché tu sei il mio regista unico”

 

 

IN PRODUZIONE CON ABBAS di Kenzo Horikoshi

 

Vidi Close-Up di Abbas Kiarostami per la prima volta nel 1991 allo Yamagata Documentary Film Festival, e rimasi impressionato dalla sua delicatezza e dalla sua meticolosa ricostruzione. Da allora, per vent’anni, ho distribuito i suoi film proiettandoli nella mia piccola sala e facendoli proiettare in altre sale giapponesi dedicate al cinema d’autore. Nel 1993 riuscimmo ad acquisire il primissimo film iraniano da distribuire commercialmente in Giappone. Dov’è la casa del mio amico? aveva la natura di un documentario, ma riusciva a raggiungere un pubblico più vasto grazie alla sua capacità di essere semplice e incisivo allo stesso tempo. Akira Kurosawa vide il film e ci spedì le sue riflessioni: «Avrei voluto tanto essere io a dirigere questo film.» Durante gli anni successivi, Abbas Kiarostami è venuto regolarmente in Giappone a promuovere i suoi film e a partecipare al Japanese Film Festival. Nel 2004, in occasione della sua permanenza in Giappone per presenziare alla cerimonia di consegna del Praemium Imperiale (un premio artistico, assegnato ogni anno dalla Japan Art Association) che gli era stato assegnato, aveva chiesto che gli presentassero un’anziana signora, una comparsa, e che gli fossero messe a disposizione una macchina da presa e un’automobile per realizzare alcuni filmati di prova. Tutto era pronto come da lui richiesto. Siamo andati a Roppongi, il distretto audiovisivo al centro di Tokyo, per i suoi provini. All’epoca si vedevano spesso in giro manifesti con foto di ragazze squillo nelle cabine telefoniche. Kiarostami ha chiesto alla signora anziana di andare nella cabina telefonica e di portargli la foto di una ragazza squillo. In quel momento ha cominciato a girare. Nella scena successiva la stessa donna era in attesa all’angolo di una strada trafficata. Seguendo le sue indicazioni, l’auto passava per osservare la donna, mentre Kiarostami filmava dall’interno della macchina. Anni dopo questa sarebbe diventata la scena chiave della prima parte di Qualcuno da amare e l’idea per il film è nata proprio da quella sequenza. Nel 2010, alla conferenza stampa per Copia conforme in concorso al festival di Pusan, Kiarostami ha improvvisamente annunciato con mia grande sorpresa che il suo film successivo sarebbe stato girato in Giappone. Un mese dopo Kiarostami iniziava il casting per il suo film a Tokyo! Non appena si è saputo che il regista vincitore della Palma d’oro Abbas Kiarostami stava facendo il casting per un film da girare a Tokyo, moltissimi attori famosi e apprezzati si sono messi in fila per incontrarlo. Tra loro ce n’erano alcuni decisi a interpretare le parti dei protagonisti e di conseguenza la ricerca dei finanziamenti per il film è andata avanti in modo abbastanza facile. Con la pre-produzione avviata, avevamo deciso che la produzione vera e propria sarebbe partita nel marzo 2011. Ma poi siamo stati colpiti dal disastro. L’11 marzo il Giappone è stato scosso dal più potente terremoto mai sentito dal 1900 e lo tsunami ha causato danni terribili sulla costa orientale del Paese. Da quel momento tutti i film in produzione, compreso il nostro, sono stati interrotti o rinviati a data futura. I partner finanziari si sono ritirati da tutti i progetti.  Sperando di poter ripartire in maggio, ci siamo accorti però che i nostri attori principali in quel periodo non erano più disponibili. Abbiamo perciò dovuto ricominciare tutto da capo. Dopo qualche mese il cast era al completo e, a parte l’attore Ryo Kase, nessuno dei protagonisti era un volto conosciuto per gli appassionati di cinema. L’incredibile intuito di Kiarostami ci ha permesso di chiudere un cast in linea con quelli dei suoi film precedenti. La produzione è finalmente partita il 30 ottobre 2011, cominciando dalla prima scena della sceneggiatura scritta da Kiarostami: SCENA PRIMA – CAFFÉ – NOTTE. Ma poi c’è stato un altro contrattempo e un paio di giorni dopo tutte le comparse sono state sostituite e la scena è stata girata un’altra volta. Come avevamo immaginato, il modo di dirigere di Kiarostami è stato del tutto inusuale. Non ha permesso agli attori di leggere la sceneggiatura per intero e ogni giorno rivelava loro solo i dettagli della scena che sarebbe stata girata il giorno successivo. Gli attori non sapevano quale fosse il ruolo dei loro personaggi nella storia, e neanche come sarebbe finito il film. Conoscere la fine della storia e il destino dei personaggi avrebbe portato gli attori a contro-interpretare, per una sorta di «performance ad effetto ridimensionato». Non credo che Kiarostami limiti la libertà degli attori. Credo invece che sia convinto che la vita di tutti i giorni debba riflettersi in un film, e nella vita di tutti i giorni noi non abbiamo la minima idea di quello che ci succederà il giorno dopo o di chi ci innamoreremo. In effetti mi è sembrato che alla fine gli attori che volevano conoscere il destino del loro personaggio avessero rinunciato, che le loro fossero svanite e che avessero cominciato a godersi la «vita» con naturalezza davanti alla macchina da presa. Da produttore avrei dovuto capire già molto tempo fa che i film di Kiarostami non sono una specie di documentari. Lui pianta alberi lungo la strada, espande case, trasforma gli interni delle abitazioni con piccoli cambiamenti e presta un’attenzione minuziosa ad ogni singola inquadratura. Rimodella sul serio la realtà. Eppure io stesso, da ammiratore dei suoi film, non mi ero mai reso conto che la realtà celata dietro quel suo «muoversi a zig zag» fosse parte di uno sforzo personale, il risultato di mesi di fatica. Il 4 dicembre le riprese si sono concluse con la scena in cui Noriaki (Ryo Kase) si rende conto di cosa sta per succedere a casa del vecchio professore e comincia a picchiare ferocemente alla sua porta. Abbiamo festeggiato la fine delle riprese. Ma qualche settimana dopo, Kiarostami voleva girare un’altra scena con Noriaki. L’attore, Ryo Kase, era già impegnato in un altro film ed era nel bel mezzo delle riprese. Abbiamo dovuto aspettare che la sua barba ricrescesse. Abbiamo aspettato e aspettato. Finalmente la sua barba è tornata della lunghezza di quella di Noriaki nel film, e quando finalmente la produzione si è conclusa davvero, eravamo già a Natale.

 

ABBAS KIAROSTAMI

Abbas Kiarostami è nato il 22 giugno 1940 a Teheran, in Iran. Ha dimostrato fin da piccolo un grande interesse per il disegno e, a diciotto anni, ha partecipato ad un concorso di grafica che poi ha vinto. Ha studiato alla Scuola di Belle Arti di Teheran lavorando come grafico, illustratore e regista di spot pubblicitari per mantenersi agli studi. Nel 1969 ha fondato il dipartimento di cinema presso l’Istituto per lo Sviluppo Intellettuale di Bambini e Ragazzi, che è stato anche il luogo in cui ha diretto i suoi primi cortometraggi. Nel suo primo film, Il pane e il vicolo (1970), Abbas Kiarostami analizza l’importanza delle immagini e il rapporto tra realismo e finzione. Il suo tema preferito, l’infanzia e il suo universo, emerge in una lunga serie di cortometraggi, mediometraggi e lungometraggi, grazie ai quali è riuscito a raggiungere il difficile equilibrio tra stile narrativo e stile documentaristico. Homework (1989), il suo ultimo film sull’infanzia, è un buon esempio di cinema poetico in grado di denunciare con delicatezza alcuni aspetti controversi della società iraniana. Con Close-Up (1990) ha poi voltato pagina. In meno di una settimana il regista, traendo spunto da una notizia di cronaca e coinvolgendo i reali protagonisti della vicenda, ha realizzato una storia in grado di portare la realtà nel regno della finzione. E la vita continua (1992) e Sotto gli ulivi (1994) completano una trilogia iniziata con Dov’è la casa del mio amico? (1990). In quest’ultimo gli effetti devastanti di un terremoto nel nord dell’Iran servono a smascherare le menzogne del cinema. Il sapore della ciliegia (1997) ha segnato l’inizio di una fase introspettiva del regista, nonché il suo ingresso nelle file degli autori premiati. Il film, che racconta la storia di un cinquantenne ossessionato dall’idea di suicidarsi, è un’ode alla libertà individuale. Apprezzato dalla critica è stato denunciato dalle autorità religiose iraniane. Un ritmo lento e contemplativo, un intreccio semplice, e i riferimenti alla poesia persiana e alla filosofia occidentale sono i tratti distintivi del lavoro profondamente originale del regista. Il suo gusto per l’improvvisazione si innesta su sceneggiature appena abbozzate, con attori non professionisti e un montaggio che cura da solo. Il vento ci porterà via (1999), la storia di un gruppo di abitanti della città che vanno alla ricerca di qualcosa in un villaggio rurale, è ancora un esempio del suo stile inconfondibile. Il film rappresenta anche la prima collaborazione del regista con Marin Karmitz e MK2. Nel 2001 Kiarostami si è innamorato di una piccola macchina da presa digitale e, come risultato, ora lavora solo in digitale. La sua «camerapen» gli consente una libertà ancora maggiore e, grazie a lei, ha diretto film di diversa natura e lunghezza, che oscillano tra la finzione e il documentario: ABC Africa (2001), Dieci (2002), Five Dedicated To Ozu (2003), 10 on Ten (2004), Roads of Kiarostami (2005) e Shirin (2008). Con Copia conforme nel 2009 Kiarostami è tornato a lavorare ad una grpssa produzione girando per la prima volta fuori dall’Iran – in Toscana – con un cast internazionale. Juliette Binoche ha ottenuto il premio come miglior attrice al festival di Cannes, dove il film è stato presentato in concorso.  Dopo l’Italia, Qualcuno da amare ha portato Abbas Kiarostami in Giappone, un nuovo universo tutto da scoprire.

 

 

TADASHI OKUNO

Tadashi Okuno è nato nel 1930. Ha iniziato la sua carriera di attore teatrale con la celebre compagnia Bungakuza. Ha poi fatto parte del cast di alcuni film per la televisione e per il grande schermo.

 

RYO KASE

 

Nato a Kanawaga nel 1974, Ryo Kase ha vissuto a Washington fino all’età di sette anni. La sua carriera cinematografica è iniziata nel 2000 con il leggendario film d’azione Gojoe di Sogo Ishii e con la commedia Party 7 di Katsuhito Ishii. Nel 2001 ha poi fatto parte del cast del film Godzilla, Mothra And King Ghidorah: Giant Monsters All-Out Attack di Shusuke Kaneko. Ryo Kase da allora è apparso in oltre 40 film, oltre ad aver lavorato in televisione e per la pubblicità. La maggior parte dei suoi film non sono arrivati sugli schermi europei. Si tratta di film quali Antena di Kazuyoshi Kumakiri (2004), Scrap Heaven di Sang-il Lee (2005), I Just Didn’t Do It di Masayuki Suo (2006) e The Invitation From Cinema Orion di Kenki Saegusa (2008). Ma il pubblico europeo ha avuto modo di apprezzarlo nel 2001 nella commedia romantica Hush di Ryosuke Hashiguchi e più tardi nei film di Kiyoshi Kurosawa Jellyfish-Bright future (2003) e Retribution (2007); in Nessuno lo sa (2004), in Hana Yori Mo Naho (2006) di Hirokazu Kore-eda; The Taste of Tea di Katsuhito Ishii (2004), e in Outrage di Takeshi Kitano (2010). Kase ha partecipato anche a grandi produzioni internazionali come The Passenger di François Rotger (2005). Ha interpretato la parte di Shimizu nel film di Clint Eastwood Lettere da Iwo Jima (2006). Ha prestato la sua voce ad uno dei personaggi di The Sky Crawlers-I cavalieri del cielo di Mamoru Oshii (2008). E’ uno dei fantasmi in Restless di Gus Van Sant (2011) e Akira in Interior Design, il segmento firmato da Michel Gondry per il film Tokyo! (2008).