Credo che “Benvenuto Presidente!” sia una favola leggera che incarna il desiderio che avevo di realizzare una commedia che cercasse di essere popolare ma non populista. Cercando cioè di non seguire l’onda lunghissima dell’antipolitica. Io voglio bene al mio Paese e Peppino, il protagonista di questo film, vuole bene al suo Paese. Una volta arrivato per caso al vertice delle istituzioni semplicemente non confonde il senso dello stato con il senso del potere. Rimane con la sua convinzione semplice per cui “ogni lavoro, per poterlo fare, bisogna saperlo fare”. Personalmente sono convinto che il nostro sia un bellissimo paese dove però la maggior parte delle persone non rispetta le regole. Non solo le regole determinate da leggi dello stato, ma quelle della normale ed elementare convivenza civile. E non le rispetta non perché non le rispettano i politici che danno il cattivo esempio, ma non le rispetta, ed educa i propri figli a non rispettarle, semplicemente perché non le vuole rispettare. La cattiva politica è troppo spesso una copertura. Io sono sempre stato convinto che la politica sia bella e importante e sono convinto che molto spesso il marcio non sia dentro i palazzi della politica, ma fuori. Nei bar, nelle piazze, nei centri commerciali, nei negozi, nei mercati, nei luoghi di lavoro, dove cresciamo con la cultura della clientela e degli amici giusti al posto giusto. Molto spesso la politica peggiore asseconda l’Italia peggiore, quella della corruzione, della clientela, del profitto a qualsiasi costo. Lavorando con Claudio Bisio, ho capito quello che avevo maturato vedendolo da spettatore negli ultimi anni: è diventato un gigante, tra quelli in grado di rappresentare la nuova generazione di mostri sacri della commedia all’italiana. Kasia Smutniak è una bellezza potente che mastica commedia come se ci fosse cresciuta. Saltando da un registro all’altro con eleganza. E poi una schiera di attori, da Beppe Fiorello a Gianni Cavina, da Omero Antonutti a Remo Girone, da Massimo Popolizio a Cesare Bocci, da Patrizio Rispo alla mia amica Piera Degli Esposti che, solitamente meno abituati alla commedia, ci hanno sguazzato con classe. Grazie alla troupe che mi segue da molti anni. Grazie alla Indigo Film e a Rai Cinema per la fiducia e la serenità totali in cui ci hanno fatto lavorare. Riccardo Milani
sinossi
In un minuscolo paesino di montagna vive un uomo dal nome decisamente ingombrante: Giuseppe Garibaldi. Peppino per gli amici. Peppino è “affetto” da inguaribile ottimismo: ama la pesca sopra ogni cosa, la buona compagnia, la biblioteca nella quale lavora. A chi lo accusa di essere un fallito risponde: “Io non so se tutto quel che fai ti torna indietro. Ma mi piace credere che sia così!”.
Un giorno accade una cosa inaudita: per un incredibile errore, Peppino viene eletto Presidente della Repubblica Italiana.
Strappato alla sua vita tranquilla, si trova a ricoprire un ruolo per il quale sa di essere inadeguato, ma contro ogni previsione accetta l’incarico.
Certo, il protocollo non è il suo forte… Janis Clementi, inflessibile e affascinante Vice Segretario generale, si affanna inutilmente nel tentativo di disciplinare le più imprevedibili iniziative del nuovo Presidente.
E’ un lungo e faticoso cammino. Ma lo sfrontato buonsenso di Peppino e la sua inesauribile schiettezza, la disarmante onestà e la gioiosa follia che sempre lo accompagnano, producono risultati inaspettati. Il nuovo Presidente scuote le istituzioni in crisi e riconquista un Paese sfiduciato. Ma all’orizzonte già si intravedono oscuri complotti, incidenti diplomatici, macchinazioni politiche, perché la vita nei palazzi del potere non può essere
INTERVISTA A RICCARDO MILANI
“Come è nata e come si è sviluppata l’idea di questa storia?”
“E’ stato Claudio Bisio a cercarmi e ad offrirmi di portare in scena un insolito soggetto che in seguito è stato abilmente sviluppato dallo sceneggiatore Fabio Bonifacci. Dopo averlo letto ho risposto che accettavo volentieri, specificando però che non avevo alcuna intenzione di “cavalcare” l’onda dell’antipolitica, un sentimento molto diffuso negli ultimi tempi che mi ha sempre infastidito per il facile qualunquismo che lo ispira. Gli italiani ultimamente si nascondono in un giudizio negativo a priori sulla politica e tendono a non considerare e a rimuovere le proprie responsabilità: spesso un candidato alle elezioni, a livello nazionale o locale, ambisce ad essere scelto soltanto per esercitare il proprio potere, ormai le proprie capacità si misurano sull’abilità di imporre il proprio modello e sono gli adulti spesso a “tramandare” ai propri figli – esplicitamente o meno – alcune pseudo regole come la corruzione, il cinismo, l’assenza di etica, la necessità di essere i primi a “colpire”. E’ vero, spesso la corruzione sembra scritta nel nostro DNA e le recenti generazioni sono cresciute in questo modo. Ma esistono anche le persone perbene e non è giusto nascondersi dietro l’alibi della colpevolizzazione sistematica della politica senza riflettere sulle responsabilità a livello di vita quotidiana personale. Siamo andati avanti nel nostro progetto controcorrente rispetto a queste convinzioni e siamo partiti con determinazione, con l’intento di raccontare una storia all’insegna del rispetto della politica, intesa come concetto bello, importante e necessario per la vita del Paese. Mi piaceva l’idea di poter lavorare insieme a Claudio Bisio su una vicenda che riguardasse l’Italia di questo particolare momento storico, su una storia che ci offrisse l’occasione di guardarci intorno (e dentro) dichiarando esplicitamente quanto bene vogliamo al nostro Paese e riflettendo su quello che è stato e su tutto quello che è diventato. Ma avevo anche il desiderio di girare una commedia pura, leggera, la cui novità, spero, risiedesse anche nello stile e nel tipo di registro scelto”.
“Che cosa avete scelto di raccontare?”
“Una semi favola ambientata ai nostri giorni: il Parlamento italiano non riesce a trovare un accordo sull’elezione del Presidente della Repubblica e a un certo punto tutte le forze politiche, per routine tattica e per mandare a vuoto la votazione, indicano un po’ per scherno e un po’ per protesta un nome a caso, finendo con lo scrivere sulle schede in larga maggioranza “Giuseppe Garibaldi”. Si immagina che in Italia esistano soltanto quattro cittadini chiamati in questo modo e che l’unico in regola con le credenziali richieste risulti essere un montanaro disoccupato (Claudio Bisio), che vive in un piccolo paese del Piemonte, ha compiuto 50 anni e gode dei pieni diritti civili e politici. Il nostro Giuseppe Garibaldi è una persona semplice e ottimista, con un’etica elementare, si occupa di una biblioteca, ama la pesca e la vita all’aperto fino a quando un giorno non viene prelevato con un elicottero, strappato alle sue abitudini e accompagnato in tutta fretta a Roma, al Palazzo del Quirinale, dove inizia il suo incontro/scontro con le Istituzioni. A rappresentarle troverà innanzitutto un Vicesegretario Generale che avrà il compito di instradare una persona senza nessuna esperienza come lui al rispetto del rigido protocollo. Si tratta di Janis (Kasia Smutniak), una donna austera ed affascinante che ha una storia personale articolata e, si scoprirà, un passato da “fricchettona”, essendo figlia di due genitori che negli anni’70 vivevano in una comune hippie: si chiama così perché è stata concepita sotto il palco di un concerto di Janis Joplin da un padre polacco – trasformatosi col tempo in uno yuppie – e da una madre (Piera Degli Esposti) che è rimasta legata agli ideali giovanili e continua a fumare erba a 65 anni.. .Una volta insediatosi, il nuovo Presidente si rivelerà dotato di buonsenso, umanità e onestà e, incapace di sottostare alle regole algide. Non si lascerà travolgere dagli intrighi e dai tranelli della politica e nel tentativo di conquistare il cuore di Janis riuscirà con la sua vena di anarchia e di gioiosa “follia” a far funzionare tutto ciò che prima non andava esaltando un Paese che aveva perso ogni fiducia nelle Istituzioni”.
“A quale tipo di commedia avete fatto riferimento?”
“A qualcuno il personaggio di Claudio, alle prese con l’establishment e la sua semplicità naif, potrebbero ricordare il Peter Sellers/Chance Gardener di “Oltre il giardino” di Hal Hasby ma al di là di modelli particolari io quando sono alla prese con una commedia la giro come le ho viste girare dalle persone con cui sono cresciuto come aiuto regista, e cioè Mario Monicelli e Nanni Moretti, con la voglia di raccontare l’Italia e prestando attenzione alla realtà sociale e civile. Credo che negli ultimi tempi le commedie italiane, tranne qualche raro esempio, abbiano un po’ rimosso il compito e il dovere di affrontare il Paese reale. Si assecondano i gusti più facili e immediati e quella che dovrebbe essere la norma e cioè raccontare attraverso la risata la realtà, i problemi e a volte le tragedie del Paese può apparire un’eccezione, una scelta “rivoluzionaria”. Storicamente però la commedia italiana è questa, anche se un regista può “declinarla” in vari modi, sono convinto che il cinema sano sia quello che rappresenta tutto, attraversando qualsiasi genere senza nascondere nulla: “Benvenuto Presidente!” mira a non nascondere le cose, abbiamo scelto un racconto in stile commedia brillante con toni favolistici dove non c’è mai evasione fine a se stessa, abbiamo cercato di trovare una chiave originale anche nel linguaggio e nel divertimento che deriva dallo spiazzamento del protagonista che una volta catapultato al Quirinale parla con i capi di Stato stranieri e sconvolge la diplomazia e i rituali. Il nostro Presidente prima di promulgare una legge pretende che debba essere compresa da tutti, in caso contrario la rimanda indietro alle Camere, è così puro che gli fa orrore il fatto che la gente si sia abituata alle piccole truffe quotidiane senza mai considerarle tali. Non fa niente di rivoluzionario, è soltanto un uomo perbene, a meno che oggi in questo Paese essere una persona perbene non sia diventato qualcosa di rivoluzionario”.
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