INTERVISTA A EDOARDO LEO
Come è nata l’idea di questo film?
La produttrice Federica Lucisano aveva visto ed apprezzato la mia opera prima di qualche anno fa Diciotto anni dopo e mi ha proposto di cercare insieme un nuovo progetto, indicandomi un soggetto di Massimiliano Bruno di cui mi sono subito innamorato e da cui sono partito per scrivere una sceneggiatura con lo stesso Bruno e con Simone Herbert Paragnani. A differenza del mio primo film – piccolo e indipendente, una commedia con toni anche duri che parlava di temi importanti come la morte – questa volta avevo voglia di misurarmi con una commedia romantica, un po’ più tenera e anche più “commerciale”, incentrata per una volta non su un uomo e una donna ma su un padre e una figlia. La scrittura e la regia si sono così orientate verso una storia leggera dai toni buffi. Alcune mie amiche raccontano di aver incontrato spesso dei 35/40enni superficiali e vanesi che, appena c’era da affrontare qualche responsabilità, si dileguavano. Mi è quindi sembrato giusto mettere in scena in chiave di commedia uno di questi eterni ragazzi immaginando che si scopra improvvisamente padre di un’adolescente inquieta con tutte le sue incoerenze.
Che cosa si racconta in scena?
La storia è incentrata su Andrea, interpretato da Raoul Bova, un fascinoso e vanitoso 38enne romano ostinatamente single, superficiale e piuttosto irresponsabile, anche se può contare su una carriera ben avviata in un’importante agenzia. E’ una sorta di eterno ragazzo, un seduttore un po’ “fighetto” dedito al divertimento e al culto dell’immagine che si tinge i capelli, si tira le sopracciglia e si abbronza con le lampade: nella sua vita, fatta di avventure di una sola notte, sembra andare tutto alla grande fino a quando un giorno, al suo ritorno a casa (dove vive con il timido Paolo, il suo migliore amico attualmente disoccupato, interpretato da me) non si ritrova davanti ad una stravagante ragazzina di 17 anni, Layla, (Rosabell Laurenti Sellers), che irrompe nella sua vita rivelandogli di essere sua figlia e di essere il frutto di una sua relazione occasionale del passato. Insieme a Layla – non a caso chiamata come un celebre brano di Eric Clapton – c’è un eccentrico improbabile ex rockettaro in declino, un tempo assurto alla notorietà con la sua band “Enzo e i Giaguari”: è suo nonno Enzo (Marco Giallini), padre della fugace e dimenticata conquista dell’epoca di Andrea. Nipote e nonno sono venuti per restare e si stabiliscono così a casa di Andrea, pronti a sconvolgergli la vita. In un primo tempo il papà, colto di sorpresa coltiva dei dubbi, chiede di sottoporsi al test del Dna. Si rifiuta di riconoscere in Layla il frutto di un amore giovanile di cui aveva perso il ricordo, cerca fino all’ultimo di sfuggire la nuova realtà ma in cuor suo sa che la ragazza non mente e a un certo punto è costretto a cedere. Padre e figlia provengono da mondi ed esperienze diverse, la convivenza forzata li porta a vivere continui contrasti e frizioni tra commedia e dramma ma col tempo guardando la sua vita con gli occhi della ragazzina Andrea si rende conto di essere un quarantenne superficiale che si ostina a vivere come un ventenne. Messo a confronto con le difficoltà e le gioie di una paternità non pianificata, capisce che deve imparare a fare il padre, così come a sua volta Layla realizza di non ritrovarsi di fronte il genitore che aveva idealizzato ma anche di non essere poi così brava a fare la figlia. Ad un certo punto arriva anche un po’ di commozione perché scoccherà una scintilla tra queste due anime lontane che si verranno incontro reciprocamente assumendosi un ruolo preciso prendendo coscienza delle rispettive responsabilità e organizzandosi per maturare e crescere.
Come entra in scena Nicole Grimaudo?
Il suo ruolo è quello di Lorenza, l’insegnante di ginnastica di Layla, una trentenne che vive da sola. Lorenza – nonostante conduca un’esistenza da precaria – è una donna concreta e responsabile: una volta incontrato Andrea lo considera come un alieno lontano anni luce da lei. Nel tempo, però, interagendo con lui, riuscirà a scuoterlo e a guidarlo nella sua accettazione della figlia aiutandolo anche ad aprirsi realmente all’incontro con gli altri e a vedere in modo più obiettivo, la propria vita dall’esterno scoprendola superficiale e vacua. A differenza dell’attrazione che prova verso le donne che è abituato a conquistare facilmente ogni sera, Andrea si ritroverà a sentire qualcosa di insolito nei confronti di Lorenza che gli si rivela particolarmente acuta ed intelligente: avvicinarsi a lei sarà un’opera complessa.
Come si è trovato con Raoul Bova?
Raoul ed io siamo amici nella vita da quasi 20 anni e c’eravamo ripromessi da tempo di lavorare insieme. Quando abbiamo recitato entrambi l’anno scorso nella commedia di Massimiliano Bruno Viva l’Italia avevamo in realtà poche scene in comune. E così quando abbiamo finito di scrivere la versione definitiva del copione di Buongiorno papà, ho iniziato a pensare che lui potesse essere il mio protagonista ideale. In un primo tempo ero preoccupato che non accettasse ma Raoul è stato entusiasta da subito, è entrato in tutti i processi di preparazione del film ed è stato molto diligente in ogni fase del progetto. Era previsto in scena ogni giorno con 4-5 scene da girare ma si è affidato completamente a me lasciandosi dirigere con una dedizione che mi ha stupito ed esaltato e che lo ha portato ad interpretare, a mio avviso in modo straordinario, un personaggio complesso e anche buffo, un simpaticissimo “figlio di buona donna”.
Che rapporto si è creato invece con Marco Giallini?
Abbiamo girato insieme una quindicina di anni fa un film tv intitolato Operazione Odissea e siamo diventati subito amici. Lo volevo ad ogni costo in Buongiorno papà ed ho scritto il personaggio del nonno rock pensando direttamente a lui, senza avvisarlo. Abbiamo rinviato di qualche settimana le nostre riprese per aspettare che lui finisse di girare Una famiglia perfetta di Paolo Genovese. Sia da un punto di vista fisico che per capacità attoriale non c’era nessuno che meglio di lui, avrebbe potuto dar migliore vita all’ineffabile Enzo, il personaggio più saggio del nostro film, quello che riesce sempre a risolvere tutto nonostante la sua follia: autore e interprete da giovane di una sola canzone di successo dal titolo Un ribelle che fa sciallallalà, vive ancorato al passato e fa molto ridere, ad esempio quando lo si vede alle prese col proprio sonnambulismo nella casa in cui va a vivere con sua nipote. Marco è un grande esperto di musica, ci siamo molto confrontati sul personaggio di Enzo. Mi ha ascoltato e mi ha seguito con attenzione lasciandosi dirigere e fidandosi sempre di me e tutto questo quando sei di fronte ad un amico non è semplice né scontato.
Come e perché ha scelto Nicole Grimaudo?
Ho capito dal primo incontro che la Lorenza che cercavo era lei. Avevo recitato con Nicole in una fiction di Monica Vullo con Claudio Amendola nei panni del protagonista, la conoscevo da tempo e ricordavo la sua fermezza di siciliana col carattere “tosto”, avevo bisogno di certe sue corde particolari. Io non mi considero un regista esperto ma un attore che dirige un film e volevo circondami di persone che fossero amiche e solidali, in grado di dedicarmi tempo, energia e calore mentre sarei stato in scena accanto a loro, scrivendo, dirigendo e recitando a mia volta: ogni interprete da me scelto ha ripagato questa scelta in un modo che non dimenticherò mai, sono stati tutti attenti e diligenti e questa loro generosità si è trasferita sullo schermo, nel film si vede e si sente. C’è stato comunque un continuo lavoro di messa a fuoco prima di girare, ho fatto lunghe chiaccherate con tutti, anche con Rosabell, perché avevo bisogno di sapere come parlava davvero una 17enne e di verificare se le reazioni del personaggio sarebbero state credibili. In genere non lascio molto spazio per l’improvvisazione, credo sia utile soltanto per certe piccole cose, sono convinto che ci si debba muovere sempre da una partitura certa ma tutti noi mentre eravamo sul set ogni giorno ci dicevamo qualcosa di utile e cambiavamo “a volo” alcune situazioni tra un ciak e l’altro, se vedevamo che qualcosa non era a fuoco riprovavamo tutto “sul campo”. Mi fa piacere segnalare che questo film rappresenta il frutto di un percorso di un gruppo di attori che parte da molto lontano. Penso ad esempio al mio rapporto con Massimiliano Bruno, con cui ho recitato a lungo in passato nei locali off romani, ma anche a Marco Giallini e Raoul Bova: ci siamo conosciuti tutti all’inizio delle nostre carriere e abbiamo compiuto dei percorsi lunghi e faticosi facendo una dura gavetta e non mollando mai. Cerco sempre di coinvolgere nei miei progetti alcuni attori che hanno condiviso questo percorso con me negli anni e per me in quest’occasione è stato un particolare motivo di orgoglio esserci ritrovarci tutti a lavorare con la società di produzione a cui io e Bruno siamo legati, la IIF. Fulvio e Federica Lucisano ultimamente stanno dando vita ad una sorta di “factory” creativa, ricominciando a fare qualcosa che nel nostro cinema mancava da tempo e di cui abbiamo a lungo lamentato l’assenza: c’è la possibilità di creare contatti, si favoriscono percorsi comuni anche delle sceneggiature che non nascono autonomamente ma sono il frutto di un vero lavoro di squadra, si confrontano i progetti facendoli crescere in maniera intelligente con dei produttori ricettivi che capiscono le tue esigenze. Durante questo processo mi sono sempre sentito supportato, stimato e mai lasciato solo, c’è stato un anno di lavoro prima delle riprese in cui abbiamo valutato varie storie fino a quando non abbiamo individuato quella più giusta per me e il risultato è ora arrivato grazie a un prodotto di cui sono particolarmente orgoglioso.