Sinossi
Rahima e Nedim vivono a Sarajevo. Dopo un’adolescenza punk, finita la guerra in Bosnia che li ha resi orfani, Rahima, che è la sorella maggiore, è costretta a lavorare sottopagata in un ristorante gestito da un personaggio losco, mentre l’irrequieto Nedim va ancora a scuola.
Un giorno il ragazzo, durante una rissa con i compagni, distrugge il cellulare del figlio di un potente del luogo. Rahima, che si è avvicinata alla religione islamica e ha deciso di indossare il velo, vorrebbe risolvere la cosa pacificamente, invece da quel momento si innesca una catena di eventi che le faranno scoprire che il suo giovane fratello conduce una doppia vita…
NOTE DI REGIA
GENESI
“Snijeg (Neve)”, il mio primo lungometraggio, racconta la storia di un gruppo di donne che avevano perso i loro uomini durante i massacri in Bosnia orientale. La storia segue la loro lotta per la sopravvivenza dopo la guerra, nel 1997.
Durante lo sviluppo di Snijeg abbiamo parlato molto di ciò che noi chiamiamo “il sogno bosniaco”. In quel momento credevamo nella ricostruzione della nostra società. Quando ho pensato al soggetto del mio secondo film, ho cercato di capire il tipo di società in cui viviamo oggi, cosa era cambiato dai tempi in cui sviluppammo Snijeg . Mi sono resa conto che oggi non crediamo più nella ricostruzione e abbiamo sostituito i nostri sogni con i nostri ricordi.
Ho notato che quando con i miei amici discutiamo della guerra, ne parliamo sempre in maniera particolarmente forte, passionale. Mi sono allora chiesta se il tempo che abbiamo vissuto sotto la guerra non sia il solo tempo in cui abbiamo veramente vissuto. Le nostre vite durante la guerra erano veramente migliori o ci sentiamo in questo modo perché ormai quel tempo ce lo siamo lasciato alle spalle? Le persone erano più umane in quel periodo, che è stato il più difficile nella storia della nostra città, o abbiamo questo sentimento oggi perché eravamo tutti nella stessa situazione? Che dire di quelli di noi che non hanno nemmeno ricordi di quello che la mia generazione chiama “vita normale” prima della guerra?
TRANSIZIONE
La transizione è un momento di trasformazione. La metamorfosi implica un cambiamento che non ha sempre una connotazione negativa. Ma la Bosnia è in un periodo di transizione che non arriva a compimento da sedici anni. Una sensazione dominante di impotenza e l’incapacità di immaginare il futuro. Quasi venti anni dopo la fine della guerra, viviamo ancora in un infinito “presente” e abbiamo sempre paura del futuro.
Come in quasi tutti i paesi con questo destino, la transizione è un terreno fertile per il mantenimento dell’ingiustizia, la corruzione, la violenza e molti altri impatti sociali nefasti. Quelli che erano in fondo alla scala sociale sono a volte diventati ricchi molto rapidamente e hanno ottenuto posizioni influenti, mentre quelli che si sono rifiutati di accettare le nuove regole del gioco li hanno sostituiti in basso alla scala.
Ognuno è “L’ALTRO”
Al ristorante dove lavora, i colleghi di Rahima si comportano come una famiglia disfunzionale, in cui ognuno a suo modo si differenzia dalla norma sociale. Indossando il velo, Rahima viene automaticamente emarginata poiché i pregiudizi verso le donne con il velo sono gli stessi a Sarajevo come nel resto del mondo. Anche se porta il velo, Rahima non è poi così diversa dalle altre ragazze della sua età – a casa ascolta la stessa musica, lei ama, odia, commette errori e vive la sua vita come le altre ragazze “normali”. Ma a causa del suo credo religioso, è percepita come l’”altro” come “diversa” e discriminata. Il capo cuoco, Davor, appartiene alla minoranza croata ed è omosessuale. Sono la sua razza e la sua sessualità a metterlo nella categoria degli “inaccettabili”. Dino, il cameriere è un drogato, la proprietaria del ristorante, Vedrana, si mostra crudele perché il marito, che è diventato un radicale wahabita, le ha tolto la custodia dei figli…
C’è una storia Sufi che parla di due uccelli, un corvo e un piccione, che divennero amici del cuore. Quando la gente si chiede cosa abbiano in comune due uccelli così diversi si accorgono che manca una zampa a entrambi.
Come questi uccelli, i dipendenti del ristorante condividono il proprio dolore e le proprie mancanze.
LA MEMORIA
La maggior parte delle persone nel mondo sanno a cosa somiglia la guerra: la televisione ha creato una rappresentazione comune. Ma la guerra evoca qualcosa di molto diverso per coloro che l’hanno realmente vissuta. In tempi di guerra, per esempio, le persone agiscono, o almeno provano ad agire come se fossero in una situazione normale.
Durante l’assedio di Sarajevo, abbiamo fatto spesso teatro, film, feste, festeggiavamo i nostri compleanni. I bambini giocavano come tutti gli altri bambini del mondo. In ogni famiglia c’è una grande quantità di documenti che mostrano la vita degli abitanti di Sarajevo durante l’assedio. Evocando un aspetto individuale e umano della guerra, gli archivi personali sono molto più fedeli alla memoria delle persone che le immagini che vediamo in televisione. Le immagini della vita quotidiana durante l’assedio esprimono un sentimento intimo e complesso del ricordo che è difficile da tradurre in parole: la memoria della guerra è fatta di orrori, ma anche di cose belle. Mostra che la resistenza non si fa solo con le armi. La resistenza si trova anche nella forza del popolo, nella loro capacità di mantenere uno stile di vita normale in tempi anormali.
Quello che ho voluto fare, utilizzando gli archivi del tempo di guerra per illustrare i ricordi di Rahima, è quello di condividere, capire quali possono essere i ricordi di chi ha vissuto una situazione così complessa. La storia del film lo giustifica, ma si tratta anche di un desiderio personale e del bisogno di parlare della mia esperienza e della memoria della guerra che è la mia.
Qualcuno che ha un passato così difficile come quello di Rahima può essere in grado di ritrovare dentro di sé un’umanità, e come? Sceglierà di costruirsi o di distruggersi?
CONTRASTI
Il contrasto per me è la chiave per l’identità di un film. Il contrasto tra ricchi e poveri, tra la vita e la morte, tra passato e presente, realtà e illusione, la libertà e la prigionia. Paradossalmente tutto questo coesiste in Djeca. Il personaggio principale, di cui il film segue il punto di vista, mette insieme tutti questi contrasti. Rahima è il paradigma della complessa realtà del dopoguerra. Seguendo il personaggio principale, camera a mano, spero che lo spettatore accompagni la ragazza nel suo viaggio attraverso le proprie emozioni.
Aida begić
SUL FILM
VARIETY
Dramma potente più accessibile di “Snijeg (Neve)”, debutto cinematografico della Begić dovrebbe raggiungere un pubblico d’essai più ampio.
Begić sceglie uno stile visuale e un ritmo completamente all’opposto al suo primo film: Buon anno Sarajevo è girato soprattutto di notte con la camera a spalla in continuo movimento. La grana delle immagini suggerisce una verità documentaria…
IL MANIFESTO – Silvana Silvestri
…ha il pregio della narrazione serrata, della mancanza di indicazioni didattiche e ci accompagna nella difficile comprensione della generazione che ha vissuto la guerra da bambino
MOTIVAZIONE DELLA GIURIA DEL FESTIVAL DI PESARO
È un film post-traumatico. Riesce a raccontare senza traccia di patetismo delle conseguenze devastanti della guerra in Bosnia, e allo stesso tempo di ogni conflitto bellico.
Aida Begic
Nata a Sarajevo nel 1976, si diploma all’ Academy of Performing Arts della sua città.
Il suo film di diploma First death experience è stato presentato al Festival di Cannes 2001 e ha vinto numerosi premi.
Il suo lungometraggio d’esordio Snow ha vinto nel 2008 il “Grand Prix de la Semaine de la critique” al Festival di Cannes.
Attualmente insegna regia all’ Academy of Performing Arts di Sarajevo e nel 2009 ha fondato la società di produzione indipendente Film House.
Buon anno sarajevo/Djeca è stato presentato al 65° Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard.
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