13 Dicembre SAMMY 2 Genere: Animation, Adventure Regia: Ben Stassen Cast: Sammy, Ella, Ricky
video : http://www.youtube.com/watch?v=18R3AC9iJ1E
foto : https://www.cinemotore.com/?p=23329
Amici da sempre, Sammy e Ray, due tartarughe marine, trascorrono giorni felici nella barriera corallina. Un giorno mentre guidano i primi passi verso il mare dei loro nipotini, Ricky e Ella, si ritrovano prigionieri di una rete da pesca. Catturati dai bracconieri, Sammy e Ray, vengono venduti e si ritrovano ben presto in un gigantesco acquario sottomarino di Dubai. Le nostre due tartarughe preferite incontrano allora Lulu, un adorabile astice un po’ matto, Jimbo, un pesce con gli occhi prominenti e l’aria stralunata, e il Grande Capo (Big D) l’Ippocampo, un capobanda un po’ megalomane che non muove un passo senza due murene che gli fanno da guardia del corpo. Quando Sammy e Ray capiscono che il Grande Capo sta preparando un’evasione di massa dall’acquario, decidono di fare attenzione – e non a torto… Riusciranno a mettere in atto il loro “piano B”? E i due furbetti, Ricky e Ella, ce la faranno a soccorrere i loro nonni? Se vi piacciono le avventure imprevedibili dove le piovre tendono la mano – scusate, il tentacolo! – alle tartarughe, qui troverete sicuramente ciò che cercate…
Intervista aBen Stassen – Regista
Qual è stato il lavoro di preparazione per Sammy 2?
Abbiamo iniziato con lo story-board, che in questo caso è molto importante perché bisogna necessariamente preparare prima ogni sequenza, in tutti i minimi dettagli. Insieme alla sceneggiatura, lo story-board è l’unico elemento cartaceo di tutta la produzione: è realizzato in 2D, e successivamente rielaborato al computer. Poi si procede all’illustrazione grafica di ogni scena per dare un’idea dello stile del film, dell’illuminazione, dell’atmosfera visiva. In seguito, si mette a punto l’animatic, una bozza piuttosto rudimentale composta da una serie di vignette, dell’animazione del film. Si tratta di una tappa decisiva, poiché è proprio dall’animatic che si determinano il ritmo, le angolazioni della macchina da presa, le inquadrature e gli spostamenti dei personaggi nello spazio. È un documento di riferimento che serve in seguito agli animatori per dare vita al film nel suo insieme.
In che momento i personaggi prendono forma?
Durante la concezione dell’animatic, ci si dedica alla modellizzazione, il momento in cui vengono creati tutti gli “oggetti” del film: i personaggi, chiaramente, ma anche le navi, gli accessori, i fondali marini ecc. È chiaro che i protagonisti sono molto stilizzati: gli diamo caratteristiche antropomorfe, così che non somigliano affatto a delle vere tartarughe o a dei pesci reali. Invece, per quanto riguarda l’ambiente sottomarino, abbiamo cercato di essere fedeli alla realtà e dunque abbiamo tratto ispirazione da molte foto.
Quali sono le tappe successive?
Una volta portati a termine l’animatic e la modellizzazione, gli animatori si mettono al lavoro: ad esempio, animano una macchina da presa in una scenografia e il personaggio davanti all’obiettivo. Quando una scena è stata animata, viene successivamente sottoposta allo shading, che dà agli oggetti la texture, il colore e lo spessore. Poi, è il momento della squadra Illuminazione. E infine, si passa alla fase conclusiva, il compositing, in cui si assemblano i diversi “strati” di una scena: ad esempio, se due tartarughe stanno dialogando vicino alla barriera corallina, bisogna integrare i protagonisti alla scenografia, poi i personaggi secondari e gli effetti, come le bolle che risalgono verso la superficie del mare o i banchi di plancton. Al compositing si regolano anche la luminosità e la profondità di campo della visione subacquea.
Come comunicano tra loro le squadre?
La sfida più grande delle riprese di un film come Sammy 2, in cui bisogna essere efficaci rispettando i limiti di budget, consiste nel fare in modo che le informazioni e gli elementi del film circolino in modo fluido attraverso i vari dipartimenti. Comunque, qualsiasi tipo di realizzazione – riprese di immagini reali, serie televisive o documentari – si tratta di un processo estremamente frammentato. Ma per un lungometraggio di animazione, è ancora più vero. Perché è complicato, ci sono migliaia di dati che devono passare da una squadra all’altra, e ci sono varie tappe da concludere prima di ottenere il risultato finale. In totale, ci sono voluti due anni di lavoro.
Qual è secondo lei il vero valore aggiunto del 3D?
In generale, sono piuttosto deluso dai film in 3D, poiché la maggior parte è concepita in 2D e girata con due macchine da presa. Giocano dunque un po’ sulla profondità di campo e sugli effetti zampillanti, ma non danno davvero l’impressione del rilievo. Produzioni di questo tipo prendono in giro lo spettatore che deve pagare un biglietto più caro e mettersi gli occhiali e che alla fine pensa che avrebbe potuto vedere il film in 2D. Non volevo assolutamente che il pubblico uscisse dalle proiezioni di Sammy 2 con questo stato d’animo, ma che avesse invece l’impressione che il film fosse stato valorizzato dal 3D. Credo infatti che se il cinema in 2D faccia immergere in un determinato stato mentale ed emotivo, l’esperienza del 3D dia la sensazione di essere catturati fisicamente nell’universo del film. E dunque, per ottenere questo risultato si deve pensare alla messa in scena più come a un dispositivo scenico che cinematografico: bisogna determinare il posto dello spettatore nello spazio in ogni sequenza, come si fa a teatro. Si può anche giocare sui piani d’esposizione che consentono allo spettatore di decidere da solo dove posare lo sguardo.
Il risultato è sorprendente, dato che non avevate a disposizione un budget da super-produzione hollywoodiana…
La vera sfida per noi, è stato realizzare un vero film in 3D con 25 milioni di euro, e cioè con il 25 o il 30% del budget di un lungometraggio di animazione americano. Ma se ci si organizza bene, se si fissa un limite alle squadre e se la gerarchia non è troppo pesante, ci si può riuscire. Ed è anche vero che lavoriamo con tecnici polivalenti e che abbiamo una lunga esperienza nel campo del 3D. Credo inoltre che la rapidità – e l’efficacia – nelle fasi di decisione siano indispensabili per ottenere un film che possa competere in qualità con le più grandi produzioni americane, senza però mandare in rovina i nostri finanziatori!
Quante persone lavorano nelle vostre squadre?
Lavoriamo con un centinaio di persone, che è già un buon numero, piuttosto modesto però al confronto di una produzione americana equivalente che mobilita da trecento a seicento tecnici! Infatti, se si lavora con meno persone, c’è ancora più bisogno di elasticità e di polivalenza. D’altronde, più la squadra è numerosa, più il lavoro è frammentato: un animatore si concentra ad esempio, solo su una determinata parte del personaggio. Invece, noi affidiamo intere scene a una o due persone. Per loro è molto più motivante perché sentono di più di contribuire alla realizzazione del film. Ma dato che sono molto giovani – tra i venti e i trent’anni – la cosa più difficile è riuscire a trattenerli perché sono richiesti in tutto il mondo!
Dati biografici – L’universo di Ben Stassen
Nasce in Belgio
1985 Si diploma all’USC School of Cinema and Television (California)
Lavora per due anni per la televisione americana
1990 Scopre l’animazione al computer e realizza “My Uncle’s Legacy” candidato al “Golden Globe” nella categoria “Miglior film straniero”
1991 Debutta come produttore e regista di film cosiddetti di “grande formato” (soprattutto IMAX) per parchi di divertimento e musei
1994 Co-fondatore della società di produzione e di distribuzione “nWave Pictures”
1998 Debutta come regista di IMAX 3D con “Encounter in The Third Dimension”
Raffinato conoscitore del processo di diffusione dei film IMAX e di altre tecniche cinematografiche specializzate (Showscan, Iwerks, Vista Vision)
2007 Realizza il suo primo lungometraggio d’animazione “Fly Me To The Moon”: il primo lungometraggio d’animazione completamente realizzato in 3D
2009 Nomination al Premio del Pubblico al “European Film Awards”
Leader mondiale in cinema digitale multipiattaforma
Vive e lavora tra Belgio e Stati Uniti
Lungometraggi in produzione:
“The Enchanted House” e “African Safari 3D”
Filmografia
Lungometraggi (per anno di produzione):
2011 Sammy 2 – La grande fuga
2009 Le avventure di Sammy (Regista – produttore)
2007 Fly Me To The Moon (Regista – co-produttore esecutivo)
Film IMAX (per anno di produzione):
2006 African Adventure: The Safari in Okawango 3D (Sceneggiatore – regista – produttore)
2004 Wild Safari 3D (Sceneggiatore – regista – produttore)
2002 Misadventures in 3D (Co-sceneggiatore – regista – produttore esecutivo)
2001 S.O.S Planet (Sceneggiatore – regista – produttore esecutivo)
2000 Haunted Castle (Sceneggiatore – regista – produttore esecutivo)
1998 Alien Adventure (Sceneggiatore – regista – produttore esecutivo – direttore della fotografia)
Encounter in The Third Dimension (Co-sceneggiatore – regista – produttore esecutivo)
1996 Thrill Ride: The Science of Run (Sceneggiatore – regista – produttore esecutivo – direttore della fotografia)
Cortometraggi
Dal 1990 al 2009
Devil’s Mine Ride, Cosmic Pinball, Astro Canyon Coaster, Volcano Mine Ride, Superstition, Secrets of The Lost Temple, Rgb Adventures, Kid Coaster, Ocean Jungle, Grand PrixRaceway, Voyage Through The Center Of The Earth, Museum Of Virtual History, Aquaride, HauntedMine Ride, Cosmic Coaster, Panda Vision, Haunted House.
Intervista a Vincent Kesteloot – Regista
Cosa le è piaciuto del secondo episodio delle avventure di Sammy?
La cosa che mi è piaciuta rispetto al primo film, è che la storia di Ben Stassen conserva il fascino e i protagonisti di “Le avventure di Sammy”, facendo esattamente il contrario rispetto all’episodio precedente. Nel nuovo film, gli animali sono catturati per essere inseriti in un enorme acquario costruito come un parco di divertimenti. Abbiamo conservato la varietà delle scenografie di “Le avventure di Sammy”, ma la struttura del racconto non è più un’“odissea” e i nostri eroi non devono più abbandonare ogni nuovo personaggio per seguire la propria strada… Ciò permette di approfondirne il carattere e di osservarne l’evoluzione.
Questo secondo episodio introduce tanti personaggi nuovi, simpatici o terribili, e una nuova generazione di tartarughe!
Le tartarughine si ritrovano da sole in un ambiente ostile e dunque gli adulti devono evadere al più presto dall’acquario. Ciò ci permette di aumentare i risvolti drammatici, ma anche di percepire il mondo da punti di vista molto diversi e di accelerare il ritmo dell’azione. È questo l’elemento che rende diversi i due film e rinnova la sorpresa nello spettatore. Nel primo episodio seguivamo il percorso della vita di Sammy, mentre nel secondo l’azione è molto più densa. È una lotta contro il tempo e un’avventura collettiva. Il film vuole soprattutto divertire, però abbiamo anche seminato alcuni indizi per stimolare dei pensieri. Ad esempio, mi piace l’idea che i pesci si ritrovino di fronte a un vero dilemma: è meglio la comodità di una prigione dorata o la libertà di un mondo selvaggio?
Giocate anche con i modelli del film d’evasione.
Sì, ma senza cadere in riferimenti per conoscitori o nel pastiche. Questo tipo di regole possono aggiungere una dimensione supplementare all’atmosfera, ma non devono rallentare o condizionare la storia. Una parte del pubblico apprezzerà le strizzate d’occhio, ma il film non è costruito sui riferimenti e lo spettatore non ha bisogno di chiavi di lettura culturali per apprezzarne la storia.
La dimensione ecologista è presente anche nel secondo episodio.
Sì, era il tema centrale del primo film che sottolineava le principali conseguenze dell’azione dell’uomo sull’ecosistema (deforestazione, inquinamento, aumento della popolazione…).
In questo secondo episodio, si spiega ai più giovani la catena alimentare (i pesci si mangiano tra loro), ma soprattutto si utilizza l’acquario per riunire una grande varietà di comportamenti nelle relazioni tra gli esseri umani e gli animali.
Alcuni animali non sopportano di vivere in cattività, altri sono infastiditi dalla presenza costante degli uomini o rifiutano di mostrarsi. Alcuni sono felici delle cure che ricevono dai veterinari dell’acquario, mentre altri, come il nostro cattivo ippocampo, approfittano di questo ecosistema artificiale per modificare la gerarchia tra gli animali.
Anche per gli esseri umani c’è un vasto repertorio di comportamenti nei confronti degli animali. Da una parte, i veterinari che curano gli animali e si preoccupano della loro salute, e dalla parte opposta ci sono i bracconieri che se ne infischiano delle leggi e catturano gli animali. Alla fine del film, quando tutti gli animali dell’acquario sono in pericolo, si capisce che gli esseri umani possiedono un diverso livello di coinvolgimento e di militanza: alcuni di loro non superano lo stadio dell’empatia e sono facilmente manipolati, mentre i veterinari vanno fino in fondo alla loro missione e proteggono davvero gli animali.
Come avete lavorato con le scene e i colori?
La direzione artistica è stata fatta sulla base di “Le avventure di Sammy” per conservare una coerenza di stile e per rendere i personaggi riconoscibili. Abbiamo approfittato della nostra esperienza per migliorare gli aspetti visivi e tutti gli artisti che hanno lavorato al film hanno fatto un lavoro davvero notevole.
Il tema centrale della storia è la cattività: era dunque fondamentale che si sentisse una forte differenza tra l’interno e l’esterno dell’acquario. Dato che non si trattava di una prigione classica con le celle tutte uguali ma di un immenso acquario stupefacente e variato, ho invertito le regole: intorno all’acquario le tinte sono smorte, le forme sono più dure. Il paesaggio desolato sottolinea la difficoltà di sopravvivere nel mondo selvaggio in cui tutto rappresenta una minaccia, e dà l’impressione che il mondo umano “spenga” la natura che lo circonda.
Al contrario, all’interno dell’acquario la vita è facile e il cibo abbondante e sprecato. Da un punto di vista visivo, le forme e i colori esprimono opulenza o danno luogo a un eccesso di spettacolarità. Il desiderio di riunire gli stili architettonici o i paesaggi più esotici ha come risultato un insieme megalomane, totalmente artificiale.
Se ad esempio mettiamo a confronto i coralli, all’interno dell’acquario hanno colori vivaci e assumono l’aspetto di caramelle invitanti, all’esterno invece, formano una foresta un po’ desolata che evoca l’inquinamento e la diminuzione delle specie. Tra questi due mondi ci sono le vetrate che esprimono la difficoltà della comunicazione: tra animali ed esseri umani, ovviamente, ma anche tra le creature che si trovano all’interno e quelle che stanno all’esterno dell’acquario.
Poco per volta, l’acquario diventa un personaggio a sé.
Sì, resta discreto, ma si sente la deriva della nave con i suoi motori e i suoi tubi che cercano di aspirare la natura. Sembra che l’acquario tenti di tenere gli animali nel suo ventre, i sistemi di ventilazione si attivano e aspirano i personaggi che gli girano intorno, le funi nell’acquario aiutano i cattivi a catturare Sammy. E quando le piccole tartarughe sprofondano nella sala macchine, il groviglio dei tubi dà l’impressione che stiano penetrando nelle vene o negli intestini dell’acquario.
Qual è secondo lei il contributo reale del 3D?
Al di là degli effetti zampillanti ci siamo interrogati soprattutto sulla posizione della macchina da presa. Abbiamo cercato infatti di adottare il punto di vista che avrebbe avuto un testimone della sequenza o un personaggio della scena. I movimenti di macchina non sono casuali né ricercano un effetto estetizzante: devono corrispondere alla realtà di un testimone o di un personaggio della scena, e di conseguenza è ciò che sente lo spettatore, che si trova immerso nel film, diventando un testimone degli eventi.
Come avviene la suddivisione del lavoro con Ben Stassen?
Ci tengo innanzitutto a sottolineare che Ben non è soltanto l’altro autore, ma che è anche all’origine del progetto. Aveva già definito la sceneggiatura insieme a Dominic Paris quando mi ha dato questa opportunità: avevamo già lavorato insieme in “Fly Me To The Moon” e “Le avventure di Sammy” in cui avevo una funzione meno importante. In seguito, mi ha proposto di essere il co-autore, perché siamo davvero complementari. Ben ha supervisionato la sceneggiatura, la registrazione degli attori americani e le scelte musicali. La sua grande esperienza nei film in rilievo determinava anche l’aspetto di immersione nel film. Io invece mi sono concentrato sulla regia e sulla direzione artistica. Ho collaborato con un centinaio di grafici di talento per dare forma alle immagini.
In effetti si ha l’impressione di un vero e proprio lavoro collettivo.
Assolutamente. Così come Ben ha avuto fiducia in me, anche io ho cercato di ascoltare le idee della squadra: tutti i dipartimenti hanno messo la loro pietra alla costruzione, e non soltanto sul compito specifico che gli era stato affidato. Dunque è stato grazie alla polivalenza e al coinvolgimento di tutti che siamo potuti andare così veloci con una quantità di lavoro tanto grande.
I processi decisionali sono stati facilitati dal fatto che il film è stato realizzato quasi esclusivamente in un solo luogo: la sceneggiatura è stata elaborata in collaborazione con Dominic Paris negli Stati Uniti e anche le voci sono state registrate oltreoceano, ma tutto il resto è stato fatto in Belgio.
Dalla rivoluzione all’evoluzione del 3D in immersione con nWave Pictures
La società di produzione e di distribuzione nWave Pictures è stata creata nel 1994. Ben Stassen ne è il direttore e uno dei co-fondatori insieme a Eric Dillens (della società D&D Media Group di Bruxelles). Ha ben presto intuito che sarebbe stato interessante per gli spettatori fare del 3D un linguaggio cinematografico a sé. Ha anche fatto entrare la sua società nell’universo dei film realizzati per schermi giganti (“Thrill Ride: The Science of Run”, “Encounter in The Third Dimension” e “Alien Adventure”).
A partire dal 1996, “Thrill Ride” è comparso sulla lista dei cinquanta migliori film campioni di incasso e ci è rimasto per settanta settimane consecutive. Fin dal momento della sua uscita, “S.O.S Planet” è stato visto da più di cinquanta milioni di spettatori nel mondo!
Oggi, la nWave Pictures è il principale produttore mondiale di film di grande formato in 3D (soprattutto per i cinema IMAX e i parchi tematici).
Realizzato da Ben Stassen, “Fly Me To The Moon” è uscito in tutto il mondo nel 2008. È il primo lungometraggio d’animazione prodotto dalla nWave Pictures, ma è anche il primo film interamente concepito in 3D. Contrariamente agli altri film, nessuna immagine è stata convertita dal tradizionale 2D. La ricerca della sceneggiatura di un lungometraggio che potesse essere valorizzata da questo processo ha richiesto due anni.
Il ruolo e le aspirazioni della della nWave Pictures in materia di rivoluzione e di evoluzione 3D - Parla ancora Ben Stassen
L’installazione nel 3D
“Ho sempre concepito nWave Pictures come un mini studio che utilizza immagini create al computer. Volevo avere la possibilità di dare forma ai nostri contenuti e di distribuirli noi stessi in tutto il mondo”.
“All’inizio degli anni novanta volevamo restare con i piedi per terra e non lanciarci nella produzione di film per il cinema. Invece, ci siamo focalizzati su settori specializzati come i film digitali, come quelli IMAX e in 3D/4D per i parchi tematici. Abbiamo cominciato a finanziarli, a svilupparli e a produrli, e poi a distribuirli in tutto il mondo”.
“In breve tempo siamo diventati il principale fornitore indipendente di film specializzati del mondo. I primi erano in 2D, ma dal 1997 abbiamo deciso di produrre soltanto in 3D”.
La rivoluzione 3D
“In passato, il cinema in 3D non ha mai superato lo stadio dell’entusiasmo passeggero. Ciò si deve all’infima qualità tecnica e all’aspetto ‘gadget’ di film di questo tipo nel corso degli anni cinquanta e settanta a Hollywood. Ma la ragione principale per cui il 3D non è riuscito a imporsi è legata alla riluttanza degli autori e dei gestori delle sale a fare della Terza Dimensione una vera rivoluzione nel modo di girare. Il 3D era considerato come una semplice evoluzione, come un’innovazione simile al passaggio dal bianco e nero al colore o dal formato 1.33 al Cinemascope. Era divertente, ma non indispensabile al piacere che suscita la visione di un film”.
“Per comprendere meglio la vera natura e l’attrattiva reale del film in 3D, bisogna tornare a più di vent’anni fa nei parchi tematici e ai cinema con gli schermi in formato IMAX. Centinaia di milioni di persone hanno visto “Captain EO” (al parco Disney EPCOT in Florida veniva proiettato un film di Francis Ford Coppola, prodotto da George Lucas, che aveva come protagonista Michael Jackson) e assistito all’inaugurazione di “Transition” (il primo film in assoluto in formato IMAX-3D) all’esposizione universale di Vancouver (1986)”.
“In quasi tutto il mondo decine di migliaia di persone vedono uno dei nostri film ogni giorno. Il punto di forza del cinema in 3D si trova non tanto sugli effetti artificiali che gli spettatori si prendono in faccia, quanto sulla loro esperienza di immersione totale”.
L’evoluzione del 3D
“Perché la rivoluzione del 3D continui a essere un successo, gli autori devono cambiare il loro modo di concepire il film. Pensare che potrà essere visto sia in 2D che in 3D significa ridurre il 3D a un artificio di cui si può fare a meno”.
Per ottimizzare il 3D bisogna estendere lo spazio filmico allo spazio fisico; in altre parole, riempire il campo visivo dello spettatore con l’immagine e fargli dimenticare l’ambiente che lo circonda. È ciò che l’IMAX propone da anni.
“Certo, l’entusiasmo attuale per il 3D è forte. Purtroppo sarà soltanto una moda passeggera. Per lasciare le proprie piccole comodità e andare al cinema, la gente si aspetta due cose: essere maggiormente coinvolta nella storia da un punto di vista fisico o emotivo e vivere un’esperienza sociale. Il cinema in 3D lo permette. Grazie a lui si fa parte dell’azione del film in famiglia o con gli amici!
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