SINOSSI
Annie, Jean, Claude, Albert e Jeanne sono amici da sempre, nonostante le differenze di abitudini e temperamento. Due coppie ben assortite – e molto diverse – e un single impenitente: a unirli, oltre all’amicizia (e in certi casi all’amore), il tempo che passa con i suoi “inconvenienti”. Ma chi l’ha detto che a una certa età non resta che farsi da parte? I cinque non sono affatto d’accordo e decidono di sperimentare cosa vuol dire andare a vivere tutti insieme. La convivenza, però, nasconde sempre delle sorprese… anche per chi si conosce da una vita!
INTERVISTA A STÉPHANE ROBELIN
Come è riuscito un giovane regista a riunire un cast stellare per un film su un tema delicato come l’età che avanza? Stéphane Robelin racconta la lunga genesi – e le riprese divertenti – di E se vivessimo tutti insieme?.
Il titolo
Non riuscivo a trovare il titolo. Mi hanno presentato una serie di proposte e a un tratto è arrivato E se vivessimo tutti insieme?, che contiene sia una nota positiva che un senso di incertezza. Ha qualcosa di utopistico, come se scaturisse dagli anni 70, mentre oggi siamo lontani da quelle speranze, dall’idea di “comune” che univa i giovani in quell’epoca. Ho pensato che sarebbe bello se quella stessa idea potesse oggi attrarre i meno giovani. Come spesso accade, pensavamo sarebbe stato solo un titolo provvisorio e invece ha finito con l’imporsi!
Il ritorno al passato
Nell’attesa di poter girare il mio primo lungometraggio, ho lavorato per la televisione. Nel 2004, ho realizzato Real Movie, una piccola avventura esaltante, sostenuto da una produttrice anche lei agli esordi e piena di entusiasmo. È la storia di uno studente di cinema che filma il suo migliore amico e che, per compiacere gli spettatori, drammatizza la sua vita. È un film che è stato fatto fuori dal sistema produttivo, girato in digitale, con pochissimi mezzi. Alla fine è comunque uscito in sala in una decina di copie. È stata un’esperienza positiva, che tuttavia non mi è stata molto utile per realizzare il mio secondo film! In seguito ho lavorato ad un progetto di film che non è andato in porto e di lì a poco mi sono detto che avrei dovuto trattare un soggetto a sfondo sociale, cimentandomi in un tema di cui c’è bisogno di parlare, malgrado le difficoltà. È così che mi è venuta l’idea di fare un film sul passare dell’età, sul modo in cui viene affrontato, o per meglio dire non viene affrontano. Nei prossimi decenni le nostre società dovranno fare i conti con questo tema, invece di ignorarlo: in passato, i genitori anziani venivano accuditi dai propri figli, ma dall’inizio degli anni 70 hanno smesso di vivere con le proprie famiglie. A partire da questo spunto, da questo soggetto quasi tabù, ho immaginato – per antitesi – un film corale, allegro, in cui anche i momenti più seri fossero alleggeriti dall’umorismo. Mi sono reso conto che un simile progetto avrebbe potuto essere realizzato solo con la complicità di attori prestigiosi. Sognavo di riunire una squadra di interpreti che non avevano mai lavorato insieme, a cui proporre i ruoli principali, considerando che gli attori di quell’età, malgrado abbiano alle spalle delle straordinarie carriere, ricevono per lo più proposte per ruoli secondari. Per sommi capi il mio progetto era questo: mettere insieme dei grandi attori, far ridere senza trascurare il soggetto e, di conseguenza, commuovere al tempo stesso. Fin dall’inizio si è trattato di un progetto molto ambizioso e anche, considerando la somma di tutte le componenti, utopistico.
L’aspetto personale
Fin dall’inizio del progetto mi è stato fatto notare che dovevano esserci dei motivi più personali se la mia scelta di scrittura era ricaduta su questo soggetto. Così, pensandoci su, mi sono reso conto di aver conosciuto quasi tutti i miei bisnonni, di aver avuto con loro un legame profondo. Abitavo in una cittadina che era stata lasciata dalla maggior parte della mia famiglia: solo mio padre aveva deciso di rimanere, quindi tutte le domeniche andavamo a trovare gli anziani. Pian piano li ho visti invecchiare e a un certo punto ci siamo posti il problema di come garantire loro l’autonomia. Ero un adolescente, per la prima volta prendevo coscienza di ciò che rappresenta il passare del tempo, CREDITI NON CONTRATTUALI e la cosa mi toccò molto. Avevo rimosso quel periodo fino a quando, non molto tempo fa, i miei genitori si sono ritrovati ad affrontare l’invecchiamento dei propri genitori. La storia ricominciava, anzi, continuava. A partire dal momento in cui ho iniziato a scrivere, ho provato un senso di liberazione e ho potuto attingere alla storia della mia famiglia. Così, ad esempio, l’episodio del cane che il personaggio di Albert (Pierre Richard), che ha perso la memoria, non ricorda di aver portato a passeggiare, mi è stato in parte ispirato da mia suocera. Al Festival di Locarno, dove E se vivessimo tutti insieme? è stato presentato per la prima volta a una platea di 8mila spettatori, quando mi sono accorto che mia suocera era seduta dietro di me mi è preso il panico: la storia di suo padre aveva chiaramente ispirato il personaggio di Albert. Come avrebbe reagito? Si è messa a ridere, l’ha presa benissimo.
Un lungo viaggio
E se vivessimo tutti insieme? ha impiegato più di cinque anni per venire al mondo. Stavamo per girarlo nel 2007. Nel 2008, di fronte all’entusiasmo dei finanziatori tedeschi, abbiamo “germanizzato” il personaggio di Dirk, il giovane dottorando badante, che ha trovato in Daniel Brühl (Good Bye Lenin!, Bastardi senza gloria, prossimamente protagonista di Rush), un interprete ideale. Nel 2009, il budget era completato, ma abbiamo dovuto avere ancora pazienza e ostinazione. Il problema era in quale “casella” collocare il progetto. Io non proponevo un film a tema, né un film drammatico, ma volevo comunque parlare della solitudine delle persone anziane, della perdita della memoria, della perdita di autonomia, del lutto. «E lei vuole fare una commedia su questi temi?», mi dicevano. Sostenevo che il termine “commedia” non comporta necessariamente battute grossolane e si può parlare di temi seri con gli strumenti dell’umorismo e dell’emozione. Questa lunga attesa costellata di speranze deluse, ma anche illuminata dalla determinazione di alcune persone, tra cui il mio produttore Christophe Bruncher, ha avuto un risvolto positivo: il tema che volevo trattare è diventato sempre più di attualità e ha coinvolto un numero sempre crescente di persone. Questa idea di vivere in una comunità, questo avatar inatteso del maggio ’68, è diventata una fantasia di molti che in passato dicevano: «Quando saremo vecchi, vivremo tutti insieme, sarà meno difficile…». Ma, ovviamente, è stato quando si completato il mio cast insperato che sono stato assalito dalla paura. Come avrebbero reagito Jane Fonda, Geraldine Chaplin, Claude Rich, Pierre Richard, Guy Bedos? Erano tutti affascinati dalla sceneggiatura, ma avrebbero accettato di confrontarsi con il loro rapporto personale con l’età, a prescindere dal loro status e dalla loro notorietà? Le reazioni sono state molto diverse. Con molto brio, le donne hanno immediatamente compreso di cosa si trattava, accordandomi una fiducia straordinaria nel trattamento della loro immagine. Claude Rich ha accettato di buon grado tutte le alterazioni del suo personaggio, a condizione che fossero acute, pertinenti e spiritose. Pierre Richard e Guy Bedos hanno affrontato il film in modo diverso, come a voler prendere le distanze dagli aspetti dolorosi del tema, come se fosse la storia di una banda di amici che, tra molti altri dettagli, si ritrovano quando sono anziani.
Gli attori
Per me era fondamentale un elemento: poter lavorare con attori che non solo accettavano la loro età, ma anche che non erano cambiati con l’età. Questo auspicio, pienamente realizzato, corrispondeva al mio desiderio di dimostrare che, a prescindere dal peso degli anni, ci sono sempre delle cose da vivere. Questo presupposto iniziale mi permetteva anche di non trascurare nulla, nemmeno quell’aspetto di cui si parla molto poco, ovvero la sessualità degli anziani, mantenendo, grazie alla recitazione degli attori e anche, spero, ai dialoghi, pudore e leggerezza. CREDITI NON CONTRATTUALI La regia ha un impianto molto classico, è un film di attori. Li abbiamo tutti amati molto. Mi sono sforzato con grande semplicità di lasciare loro tutto lo spazio, di rendere visibile quello che sono stati pur esaltando il loro presente, la loro bellezza di oggi e l’integrità del loro talento. Prima dell’inizio delle riprese ero paralizzato al pensiero di dover dirigere tutti quei «grandi nomi»! Poi, alla fine, ho deciso di comportarmi come se fossero stati dei giovani attori, come se stessimo iniziando un film tra amici, come se fosse una situazione normale. Sono stati tutti al gioco, con una tale generosità che è stato tutto semplice e bello. Un aneddoto che mi ha dato fiducia. Claude Rich doveva ballare il tango e due giorni prima di iniziare le riprese gli avevo organizzato una lezione con la giovane spagnola che nel film interpreta la prostituta. Si è esercitato nel ballo di buon grado e a un bel momento gli ho chiesto se voleva provare con lei le scene un po’ calde che avrebbero dovuto interpretare insieme. Siamo andati in camera sua, lui si è steso sul suo letto e io ho diretto la scena un paio di volte: lui era felice di girare con quella giovane donna, era illuminato dalla sua gioventù e pieno di umorismo. Sono uscito da casa sua tutto esaltato e sollevato, dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Per strada ho incontrato per caso Pierre Richard e gli ho raccontato che ero stato a casa di Claude Rich per provare alcune sue scene e stabilire un clima di fiducia. Pierre si è arrabbiato: «Ma come? Hai fatto provare Claude Rich che è un attore immenso e non fai provare me che devo recitare al fianco di Jane Fonda, che devo interpretare il marito di Jane Fonda!». A quel punto ho organizzato una prova tra lui e Jane Fonda. L’appuntamento era in un piccolo bar dell’île de la Cité. Pierre Richard era seduto tutto solo e teso in un angolo. È stato molto commovente vedere quella sua timidezza autentica, quella straordinaria modestia di un attore che non ha davvero più nulla da dimostrare. Sono molto fiero di aver potuto «offrire» loro Jane Fonda! Per me Jane Fonda è un’attrice leggendaria, basta pensare a film come Una squillo per l’ispettore Klute o Tornando a casa, nota anche per il suo attivismo politico e la sua forte personalità. Erano quasi 40 anni che non girava un film in Francia, da Crepa padrone, tutto va bene di Godard, ma parla fluentemente francese e così abbiamo provato a proporle la parte. Le è piaciuta la sceneggiatura e l’idea di girare con Geraldine Chaplin e con attori francesi di grande profilo. È stato il mio produttore Christophe Bruncher a sedurla con delle lettere meravigliose e a riuscire a scritturarla. Jane si è unita al cast in un secondo momento, quando gli altri attori facevano già parte del progetto. Sono stato particolarmente felice di essere riuscito a coinvolgere Pierre Richard: le commedie che ha interpretato hanno avuto un ruolo importante nella mia infanzia, quindi è stato un grande onore per me lavorare con lui. È stato felice di recitare in un modo più contenuto, concentrandosi più sulle emozioni che sulle gag. Sono tutti grandi attori molto diversi tra loro e metterli insieme è stata una vera sfida perché non si conoscevano tra loro. La prima riunione a Parigi prima delle riprese è andata molto bene: sono andati subito tutti d’accordo per compatibilità di carattere e per generosità d’animo. Da giovane regista quale sono, sono rimasto incantato nel vedere il rispetto che gli attori hanno mostrato l’un l’altro e in particolare nei confronti di Jane Fonda, rispetto che ha contribuito a creare un clima di fiducia e le dinamiche all’interno del gruppo.
La carriera di regista
Quando ho iniziato a studiare cinema a Nizza, ho cominciato ad apprezzare le commedie italiane degli anni 60 e 70 di registi come Ettore Scola, Dino Risi, Marco Ferreri e, in seguito, Nanni Moretti. Voglio realizzare film originali che piacciano al pubblico, li considero come uno strumento di scambio con gli spettatori. Ho la sensazione che il pubblico sarà molto incuriosito dall’amicizia e dai desideri dei miei personaggi. E mentre apprezza il lato comico del film, avrà l’occasione di esplorare temi importanti.
IL REGISTA
Dopo aver lavorato come regista in vari settori (pubblicità, programmi televisivi, documentari), Stéphane Robelin ha scritto e realizzato nel 2004 il suo primo lungometraggio,Real Movie, un film atipico, realizzato con un piccolo budget, uscito nel giugno 2004. E se vivessimo tutti insieme? è il suo secondo lungometraggio, presentato come film di chiusura al 64. Festival del film di Locarno.
Filmografia
2012 E SE VIVESSIMO TUTTI INSIEME? (Selezione Piazza Grande al 64° Festival internazionale del film di Locarno)
2004 REAL MOVIE
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