Steven Spielberg porta Tintin sul grande schermo e racconta…..

“Perché sto puntando 85 milioni di sterline su un reporter e il suo cane”

Steven Spielberg porta Tintin sul grande schermo
Spielberg e la computer-grafica
Una volta ho detto che la computer-grafica rende meno inventivi. A quel tempo mi lamentavo della scomparsa delle sequenze dal vivo. Se una scena d’azione può essere girata in maniera pratica e sicura, preferisco farla alla vecchia maniera. L’inseguimento iniziale in Casinò Royale è una delle più emozionanti sequenze d’azione che abbia visto, ed è interamente realizzata con il classico metodo di stunt-man. Ma non credo più che la computer-grafica tolga l’inventività. Tintin è un grosso passo avanti per me. Jurassic Park nel 1993 è stato un passo enorme. Per quello ho creato i primi personaggi digitali nella storia del cinema ad essere le star del film.

Spielberg e la controversia su Hergé
Prima di fare Tintin, non sapevo molto dell’orientamento politico di Hergé e di quello che era accaduto durante la guerra (Hergé era stato accusato di essere un simpatizzante dei nazisti, avendo prodotto una striscia di Tintin per un giornale controllato dai nazisti). Non è stato provato nulla e voglio dargli il completo beneficio del dubbio. Non penso neppure a quella parte della sua vita. Ci sono così tanti pettegolezzi su così tanti di noi personaggi pubblici. A volte è troppo difficile distinguere ciò che non è vero. Ti stanchi di ripetere sempre che le cose non stanno in un certo modo. Ci basta continuare a raccontare belle storie.

Spielberg e Milou
Milou, il cane di Tintin, è umano quanto alcuni dei personaggi nel film. È sempre presente nel momento del bisogno ed è uno dei supereroi dell’intera serie di Tintin. Purtroppo non ho avuto modo di conoscere Milou per il film, perché in realtà non era davvero fra noi. Milou era un cartone ritagliato, con un bastoncino attaccato dietro a mo’ di coda ed alcuni sensori. Non era nulla di più di un supporto fisico per il Milou animato che la Weta avrebbe creato un anno dopo. Perciò non abbiamo avuto molta interazione con lui. Abbiamo dovuto usare la nostra immaginazione per portarlo in vita.

Non parlo né leggo francese. Nel 1981, quando ho trovato una recensione de I predatori dell’Arca perduta su un magazine francese, non ho capito cosa dicesse. Ma c’era una parola ripetuta diverse volte: Tintin. Così mi sono fatto tradurre la recensione in inglese, e in un modo molto carino diceva che i Predatori era un omaggio al creatore di Tintin, Hergé. Suggeriva che dovessi aver letto tutti i libri dell’artista e scrittore belga. In realtà, non avevo mai visto un libro di Tintin in tutta la mia vita.
Così ho chiesto alla mia assistente di andarmi a comprare una storia di Tintin, e lei ha scelto Le sette sfere di cristallo. Era in francese – all’epoca non erano tradotti negli Stati Uniti – ma nonostante non sia riuscito a leggere il testo, sono rimasto colpito dalle illustrazioni di Hergé. Erano talmente evocative della narrazione, della trama e delle relazioni fra i personaggi che alla fine, anche senza saper leggere una sola parola, avevo capito l’intera storia. Allora ho comprato tutti i libri di Tintin.
Ho scoperto che Tintin è un giovane e tenace esploratore e reporter investigativo. La sua passione per trovare e svelare un mistero mi ha ispirato. Ho ammirato come nulla potesse fermarlo, e il suo splendido rapporto con il partner più improbabile, il Capitano Archibald Haddock.
Insieme sono lo yin e lo yang: Tintin è quello preciso, Haddock il pasticcione – è quello che si raffredda, si ubriaca e accende un fiammifero su una nave, senza considerare che provocherà una falla nella barca e li farà affondare. Il senso dell’umorismo di Hergé era molto vicino alla comicità slapstick e ai film muti. I detective Thomson e Thompson sono personaggi comici, una coppia come Stanlio e Ollio.
Ho detto a Kathy Kennedy, la mia co-produttrice: “Dobbiamo farne un film. Da dove cominciamo?”. Kathy ha risposto: “Cominciamo incontrando Hergé”. Così l’ho chiamato e abbiamo avuto una splendida conversazione. Mi ha detto che amava i Predatori e che io ero l’unica persone che poteva trasformare le avventure di Tintin in un film, e ha proposto di incontrarci. La sua scomparsa, solo poche settimane dopo, mi ha lasciato devastato.
Erano gli inizi degli anni Ottanta. All’epoca volevo realizzare Tintin come un film con attori – magari con Jack Nicholson come Capitano Haddock. Roman Polanski, un mio vecchio amico, avrebbe dovuto partecipare al progetto e dirigere uno dei film. Ma come dico sempre, “se non è sulla pagina, non è sulla scena”. Non riuscivo proprio ad azzeccare la sceneggiatura. Così ho lasciato scadere i diritti. È stato solo nel 2001 che all’improvviso ho avuto una rivelazione su come fare il film di Tintin e l’intero processo è ripartito.
Questa volta, Tintin doveva essere animato con l’aiuto del motion-capture (registrare i movimenti degli attori attraverso dei sensori e usarli per animare modelli in 3D su un computer), combinando live-action ed animazione. Con questo metodo, ero sicuro che dopo quattro minuti il pubblico che si interrogava sul genere del film non si sarebbe più posto il problema. Sarebbe stato come quando ho visto War Horse su un palcoscenico di Londra. C’erano quattro burattinai intorno a ogni cavallo e i cavalli non erano nemmeno realistici – erano impressionistici. A cinque minuti dall’inizio di War Horse, ho smesso di guardare i burattinai e ho guardato solo i cavalli. Dopo sei minuti, ho visto dei veri cavalli; non c’erano più burattinai.
Dipende tutto dalla storia e da come coinvolgi gli spettatori nella narrazione, come riesci a fargli dimenticare dove sono, chi gli siede accanto, che si trovano in un cinema o anche che c’è un effetto speciale. Vengono semplicemente trasportati in un’esperienza. Sono molto nostalgico. Non posso farci niente – è un momento malinconico che viviamo tutti quando desideriamo di poter tornare alla nostra infanzia. Se non sei nostalgico, non penso che basti prendere una pillola. Lo sei o non lo sei.
Per Tintin, il 3D andava bene, ma ero un po’ combattuto riguardo al mezzo. Non è adatto ad ogni film. Mi piacerebbe vedere Lawrence d’Arabia di David Lean in 3D. Ma non Breve incontro in 3D! Ci sono certi film in cui il 3D conferisce profondità e grandezza alla visione. Ci sono altri film in cui il 3D cancella l’intimità.
Quando ho dovuto produrre Tintin, ho voluto Peter Jackson a bordo. Sono un suo grande fan; ha inventato nuovi mondi grandiosi. La prima volta che ci siamo incontrati era di fronte a 800 milioni di persone – ho aperto una busta, ho tirato fuori un biglietto e ho detto: “E l’Oscar va a…”. E ho consegnato a Peter l’Oscar per il miglior film per la sua terza pellicola de Il signore degli anelli.
La seconda volta, non ho seguito la via più corretta. Non sapevo se Peter fosse interessato a Tintin, ma ho ingaggiato la sua compagnia, la Weta, per realizzare i test del motion-capture per mostrare come sarebbero stati Tintin e Milou. Quando ho pensato di essere riuscito a convincere Peter almeno per metà, l’ho chiamato e gli ho fatto la domanda. Sarebbe stato interessato a produrre il primo film di Tintin con me, e, in caso di successo, a dirigere il secondo? Lui ha risposto: “Dovresti vedere cosa c’è dietro di me in questo momento. Sono seduto di fronte all’intera libreria di Hergé, contenente ogni singolo libro di Tintin”.
La nostra è stata una collaborazione diversa da qualunque altra esperienza abbia mai vissuto – a parte forse quella con George Lucas. È stata una vera fratellanza. Non avevo alcun ego. Io e Peter abbiamo condiviso tutte le principali decisioni creative, a partire dallo script fino ai 31 giorni alle prese con il motion-capture e oltre. Peter risiede a Wellington, in Nuova Zelanda, dunque fra noi c’è stata una diretta telematica, e ogni giorno avevo un televisore di fronte a me. Di solito in Nuova Zelanda erano le tre di notte, perciò lui era in pigiama – lui e Hugh Hefner! – con una tazza di tè in mano.
Mi sarebbe piaciuto se ci fosse stata una mosca sulla parete ad ascoltare i discorsi che andavano avanti e indietro tra i nostri uffici, con noi che provavamo ad ottenere il risultato giusto rispetto ai colori che usava Hergé, cercando di definire minuscoli dettagli di cui gli spettatori non si sarebbero mai resi conto, non solo per onorare Hergé ma per rappresentare il suo mondo in maniera realistica. Abbiamo tenuto in considerazione gli appassionati fin dall’inizio di questo lavoro, e per ogni singolo giorno delle riprese.
Per il film, gli eredi di Hergé ci hanno dato il permesso di combinare diverse storie – Il tesoro di Red Rackham e Il segreto dell’Unicorno, che erano già due storie accoppiate, e Il granchio d’oro – così ho potuto mostrare agli spettatori come Tintin e il Capitano Haddock si fossero conosciuti. Adesso spetta al pubblico dirci cosa ne pensano di Tintin. Chi avrebbe mai pensato che a qualcuno sarebbe piaciuto Lo squalo?
Avevo 27 anni, avevo sforato di 100 giorni la tabella di marcia, ero andato pesantemente oltre il budget, ed ero pressato dagli studios, che mi definivano un giovane regista irresponsabile. Era un disastro. Chi avrebbe immaginato che il pubblico avrebbe accolto Lo squalo in quel modo?

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