8 Novembre Paris-Manhattan di Sophie Lellouche con Alice Taglioni e Patrick Bruel
INTERVISTA A SOPHIE LELLOUCHE sceneggiatrice e regista
LA STORIA
Alice (Alice Taglioni) è giovane, bella e svolge con passione il suo lavoro di farmacista. L’unico problema è che è ancora single. Preferendo rifugiarsi nella passione che nutre per Woody Allen, resiste come può alle pressioni dei suoi famigliari che cercano in ogni modo di accasarla. Ma il suo incontro con Victor (Patrick Bruel) potrebbe cambiare le carte in tavola…
Da dove nasce la sua voglia di cinema?
È un desiderio che risale all’infanzia. Mi è sempre piaciuto inventare delle storie e adoravo quando me le raccontavano. Sicuramente sono così affascinata dalla finzione anche perché ho un rapporto complicato con il reale. Aver voglia di fare cinema equivale a desiderare di evadere dalla realtà e dalla quotidianità. Malgrado il desiderio di lavorare nel cinema mi sia venuto molto presto, ho impiegato numerosi anni a realizzarlo traducendolo nella pratica. Nel 1999, avevo realizzato un cortometraggio con Gad Elmaleh, ma mi ci è voluta un’altra decina di anni per osare passare al lungometraggio. Dunque, per mancanza di fiducia in me stessa, ho iniziato un po’ tardi. Del resto è proprio questo il tema del film: ero talmente intimidita dai miei modelli di riferimento che mi sembrava impossibile riuscire a scrivere una storia degna di questo mestiere. Poi mi sono improvvisamente sbloccata il giorno in cui ho immaginato un personaggio schiacciato dalle proprie figure di riferimento proprio come lo sono io.
La sua eroina trova nella finzione le risposte che non riesce a ottenere nella vita. Trae la sua filosofia dall’universo di Woody Allen…
Mi piace molto l’universo di Woody Allen: in lui, la profondità passa attraverso l’umorismo, la poesia e la magia. Nel mio film, Alice si rivolge a una foto di Woody Allen che le risponde. Qual è la frontiera tra sogno e realtà? Adoro portare un pizzico di magia nel reale, ma Alice non mi assomiglia e il suo percorso non ha nulla di autobiografico. Pur avendola creata io, ha la sua vita e non mi appartiene. Può sembrare strano, ma è una cosa nota a tutti gli autori: i personaggi finiscono con l’avere una loro coerenza, una vita che sfugge a chi li ha creati e di cui un autore è soltanto testimone.
Dove ha trovato la spinta per lanciarsi?
È stato un insieme di cose tra la paura del tempo che passava e che mi spingeva a compiere il passo e la scoperta di tutti i percorsi che possono portare una persona a fare un film. Il rendermi conto che non esiste un’unica strada mi ha molto aiutata a liberarmi dai complessi. Ho letto un’infinità di testi e frequentato assiduamente la Cinémathèque. Ho scoperto che la formazione di ciascun regista è diversa e che molti hanno iniziato tardi. Maurice Pialat e Gérard Oury sono stati esempi molto positivi per me. E ho imparato tanto anche grazie a Claude Lelouch, che è stato il primo cineasta con cui ho lavorato. Ho avuto bisogno di tutto questo tempo e di queste esperienze per maturare e trovare il mio punto di equilibrio tra «so fare» e «posso fare». Una citazione di Woody Allen, peraltro ripresa nel film, ha avuto un’eco molto forte in me: «Il talento è fortuna. Penso che la cosa più importante nella vita sia avere coraggio».
Come ha costruito la sua storia?
Benché la commedia non sia un genere facile, è quello in cui mi identifico maggiormente. Nella commedia, una storia sentimentale permette di giocare al tempo stesso con il sogno e l’umorismo. Tutti i grandi cineasti che ammiro, che si tratti di Lubitsch, Wilder, Capra o anche di 6 Rappeneau, Lelouch, Oury, hanno un tratto in comune: riescono tutti a rappresentare rapporti umani profondi attraverso la commedia. Mi sento vicina a questo approccio. La commedia si colloca sempre al confine con il dramma, è solo una questioni di dosi e si lavora sempre sul limite. Il personaggio di Alice potrebbe essere una schizofrenica completamente asociale. Eppure, rinchiusa nel suo mondo, eroina positiva suo malgrado, è dalla parte della vita.
Anche se è la storia di una coppia, siamo quasi in un ménage à trois…
Effettivamente la storia si articola intorno a tre personaggi: Alice, Victor e il poster di Woody Allen. Alice ha una vera e propria relazione con quel manifesto: è il suo mentore, ma è prima di tutto la proiezione di se stessa. Si interroga sempre davanti al poster, ma è lei che poi sceglie le risposte, risposte che non trova nel poster, ma di fronte a esso: è il luogo dove osa formulare delle domande che le permettono di maturare e di costruirsi la sua vita. Sarà Victor a riportarla verso la realtà.
Perché ha scelto Woody Allen?
Il suo universo è eccezionalmente ricco. Alice ritrova in lui l’integrità che conferisce ai personaggi dei suoi film. Anch’io sono stata segnata da Woody Allen a livello personale e questo è l’unico punto in comune tra me e Alice. Il primo film di Woody Allen che ho scoperto è stato HANNAH E LE SUE SORELLE e uscendo dal cinema ero già consapevole dell’impatto che avrebbe avuto su di me. Dopo quel film, ho visto tutti gli altri. Woody Allen è diventato uno dei miei registi preferiti ed era il solo che poteva diventare un personaggio della mia storia, essendo al tempo stesso sceneggiatore, regista e attore. Tutti i suoi film sono molto profondi e ho potuto attingere ad ognuno di essi per forgiare la filosofia di vita di Alice. Mentre scrivevo la sceneggiatura, mi sono nutrita del suo spirito e delle sue battute. Woody Allen parla di tutti gli elementi che caratterizzano la vita, l’amore, la morte o il rapporto con Dio, e film dopo film ha avuto un’evoluzione e ha offerto ogni volta dei punti di vista diversi. Ogni suo nuovo film rivela con maggiore precisione la sua umanità. Il poster simboleggia gli interrogativi che Alice si pone di fronte alla vita. E ogni volta trova in Woody Allen delle risposte, che tuttavia non sono delle verità assolute o perentorie. Dunque Alice conserva il suo libero arbitrio
E mentre Alice mette in atto questo modo di agire un può fuori dal mondo, Victor entra nella sua vita…
Alice non se lo aspetta. Victor arriva con i suoi dispositivi di allarme, la sua follia, la sua schiettezza, il suo essere terra terra, molto diretto e al tempo stesso estremamente generoso. Mi piaceva il fatto che fosse capace, pur schermendosi, di una grande generosità che gli consente di seguire Alice in tutti i suoi capricci e i suoi colpi di testa senza mai giudicarla. Victor è più maturo, più navigato e in fondo più saggio di Alice. Eppure, lo spirito libero di questa giovane donna lo commuove, lui che si mostra pessimista e piuttosto fatalista. Lei lo affascina perché, in un certo senso, è riuscita dove lui ha fallito: per sfuggire alla sua famiglia lui è stato capace solo di tagliare i ponti, mentre lei ha saputo mettere una distanza. Lei gli insegna che «si può appartenere a un gruppo pur restando da parte». Alice è una donna comune ma al tempo stesso è autentica ed è questa sua autenticità a renderla originale. Lui le insegnerà a calarsi nella realtà e lei gli insegnerà a realizzarsi nell’autenticità.
Come ha scelto gli attori?
Più che attori famosi ho cercato attori di carattere, anche se Alice e Patrick sono molto 7 conosciuti. Già diversi anni fa avevo scritto ad Alice per dirle che avevo voglia di lavorare con lei. Mi piace il suo modo di essere e quello che riesce a sprigionare. Ha una bellezza solare che aggiunge un aspetto glamour alla coppia e questo è un elemento essenziale per fare entrare in sintonia il pubblico. Alice è una grande attrice e la sua energia corrisponde a quella che desideravo avesse il suo personaggio e l’intero film. È capace di rispondere a tono senza perdere nulla del suo fascino, dote estremamente rara. Ho scoperto che sia Patrick sia Alice sono due musicisti. Alice ha il ritmo, il tempo della musica e di conseguenza quello della commedia. Volevo questo essere febbrile, questo dinamismo, questo senso della commedia, questo umorismo, abbinati alla bellezza e a una vera personalità portatrice di valori. Per scegliere l’attore che avrebbe interpretato il ruolo di Victor, mi sono immedesimata nelle spettatrici e mi sono chiesta che cosa avrebbero avuto voglia di vedere sul grande schermo. Ho sempre ammirato Patrick come attore, il suo fascino, il suo umorismo, il suo talento. È difficile immaginare che una donna possa resistergli e farlo interagire con un personaggio che lo mette in difficoltà mi interessava molto. Patrick e Alice formano una coppia che mi fa sognare e questo era importante per me.
Intorno a loro, incontriamo altre coppie: quella dei genitori di Alice, la coppia che Alice forma con sua sorella…
In questa famiglia iper-angosciata che ha paura di tutto, il padre, la madre e la sorella ammettono di essere preoccupati e, per amore, sono pronti a tutto. Per loro, contano solo la sicurezza e il benessere dei propri figli, a rischio di non preoccuparsi minimamente nei momenti in cui invece dovrebbero farlo… La coppia costituita dai genitori di Alice è molto importante. È interpretata da Michel Aumont e Marie-Christine Adam. Michel incarna una grande umanità e un tipo di padre disincantato che ha una piccola vena di follia. Che questo attore immenso abbia accettato di recitare nel mio primo film è stato un regalo magnifico. Il suo personaggio è fondamentale: mette Victor in contatto con sua figlia. È il classico patriarca, a tavola come nella vita. Al di là del fatto che desidera maritare sua figlia e renderla felice, percepisce che Victor è «l’uomo giusto». Al suo fianco, Marie-Christine incarna una madre strapazzata dalla vita e dai dubbi, che mostra i propri limiti pur cercando di fare sempre del suo meglio. Per il personaggio di Hélène, la sorella di Alice, sono stata felice di lavorare con Marine Delterme. La seguo da molto tempo e ultimamente era un po’ scomparsa. Mi mancava. Anche lei possiede una grande energia vitale: emana qualcosa di profondamente femminile. Come per Hélène nel film, tenersi bene, pettinarsi, truccarsi, vestirsi sembra semplice e facile per lei. Il rapporto tra le due sorelle mi commuove molto: una di fronte all’altra rivelano quello che sono al di là dell’immagine che proiettano e trovo questo molto bello.
Aveva paura di dirigere il primo film, eppure ha trovato il coraggio di chiedere al grande Woody Allen di recitare per lei…
Woody Allen è nel mio film, ma io non l’ho diretto! Fin dall’inizio ho pensato che sarebbe stato bello avere Woody Allen «in carne e ossa» e così sono andata a presentargli il progetto. La sua presenza nel film è surrealista: si apre una porta e lui appare! Poco dopo si infila in una limousine e alcuni istanti dopo ricompare. È magico! Ho pensato che poiché in molti dei suoi film si parla di magia ed essendo lui stesso un ex mago, c’erano più possibilità che accettasse. Ma avevo soprattutto voglia di crederci. Avere per il mio primo film Alice, Patrick e in più Woody Allen, è stata un colpo di 8 fortuna a cui tuttora stento a credere… Ogni volta che vedo il film, resto incantata dalla loro presenza!
Anche l’ambientazione partecipa a questo spirito di commedia glamour. Come è riuscita a definirla?
Avevo innanzitutto voglia di catturare qualcosa dell’atmosfera di Parigi, non attraverso immagini da cartolina, ma attraverso luoghi e architetture che restituiscono quel fascino che la rende una delle città più amate del mondo. Desideravo quiete e poesia perché gli innamorati, come Alice e Victor, sono soli al mondo. Ci sono spesso campi lunghi, a volte persino immensi, perché l’orizzonte, completamente parigino, si apre per il loro amore. Non volevo che fossero prigionieri di spazi chiusi visto che Victor offre la libertà, la possibilità di mille vite tra le quali dovranno scegliere. Mentre le scene in cui è presente Vincent, l’altro pretendente, sono spesso giocate in campo-controcampo, in uno spazio circoscritto dal momento che lui cerca di rinchiudere Alice. Abbiamo lavorato molto sulla mise en scène. Anche le inquadrature che potrebbero essere fisse contengono una dinamica che veicola l’intenzione. Volevo che la macchina da presa non fosse presente solo per collocare lo spettatore in una posizione di testimone privilegiato. Desideravo inserire i personaggi in un contesto. Per trovare la farmacia di Alice, per esempio, ne abbiamo visitate una trentina. Quella prescelta è autentica, con i suoi rivestimenti in legno e i suoi vasi, anche se io ci ho aggiunto le caramelle e i DVD! Volevo che avesse un’aria da «shop around the corner», la tipica bottega di quartiere, dove chi ci lavora ha un rapporto umano vero con i clienti.
Ricorda la prima scena che ha girato?
Per esigenze di calendario, abbiamo iniziato dalle scene con Woody Allen davanti al Plaza. Stranamente non ero affatto stressata, malgrado fosse il mio primo giorno sul set con Alice Taglioni, Patrick Bruel e Woody Allen in persona. Sono stati tutti professionali e umani. Avevamo solo un’ora per girare tutte le scene con Woody Allen. Grazie al mio direttore della fotografia, Laurent Machuel, e al resto della troupe, è andato tutto liscio come l’olio. Woody Allen è stato di un’umiltà assoluta davanti alla nostra gioia di vederlo tra noi.
Dopo questa prima esperienza, cosa la rende più felice nel fare un film?
Lavorare con gli attori, con la troupe, vedere ogni giorno la storia che avevo immaginato prendere vita davanti ai miei occhi, mi ha dato una gioia immensa. Ma la giornata che resterà impressa per sempre nella mia memoria è stata la prima, con Woody Allen. Ho vissuto intensamente ogni secondo di quel 2 aprile 2011. Il tempo era magnifico. Il giorno dopo, quando mi sono svegliata, pioveva. Sembrava davvero un sogno. Sono estasiata per quello che hanno dato gli attori, che continuo a scoprire sullo schermo e che non mi appartiene più. Hanno l’umanità, la generosità, la gentilezza che speravo avessero i miei personaggi. Ci si affeziona a loro. Peraltro, Alice e Patrick non hanno dovuto cercare lontano per esprimere dei sentimenti che hanno nel profondo del loro essere. Gli attori si sono dati anima e corpo ai loro personaggi, trasferendo la loro musica interiore. Viene voglia di frequentarli, a me per prima!
Cosa spera di dare al pubblico?
Ho voglia di proporre una storia leggera che tuttavia parla di temi seri, di un incontro atipico che penso toccherà molte persone. Spero che il pubblico esca dal cinema con il desiderio di 9 innamorarsi e di guardare gli altri senza giudicarli. Siamo tutti stati Alice e Victor in un momento della nostra vita. Amo il cinema proprio per questo, perché mi mostra cose che non vivo facendomi venire voglia di viverle.
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