8 Novembre LA NAVE DOLCE di Daniele Vicari CURIOSITA’

Premio
Pasinetti Miglior Documentario 2012

Biografilm
Lancia Award 2012

Lo chiamarono  “lo sbarco dei ventimila”

Fu il primo respingimento di massa in Italia

Note di regia
Nel 1991 avevo 24 anni ed ero uno studente universitario impegnato politicamente. Di quell’anno ricordo bene gli avvenimenti. Avvenimenti epocali come la guerra in Iraq, lo scioglimento dell’Urss e l’arrivo della Vlora.

Ricordo l’arrivo della Vlora come una sorta di cataclisma mediatico. Questa nave stracolma di esseri umani che fuggono da una condizione che non ritengono più sopportabile, nudi e sofferenti, si contrappose alle immagini della guerra in Iraq che fu una sorta di orrendo “videogioco” fatto di traccianti notturni, obiettivi di missili che scomparivano al momento dell’impatto, immagini satellitari anonime e grigie.

All’epoca studiavo il cinema e le teorie della comunicazione e riflettevamo su queste immagini. Da una parte il trionfo della derealizzazione, della “rimozione del tragico” che la post-modernità teorizzava e gli eserciti praticavano, dall’altra l’insorgenza del reale, seppure imprigionato nei palinsesti televisivi. Ricordo che sarei voluto andare a Bari, ma il mio impegno di lavoro estivo non me lo permise.

Alcuni accadimenti storici assumono senso nella coscienza di ciascuno di noi come nella coscienza collettiva, e cambiano la nostra percezione del tempo e dello spazio, ci conquistano e ci modificano. Sono eventi apparentemente marginali, che invece cambiano la Storia sotto i nostri occhi, dettano il tempo di immensi cambiamenti: l’arrivo della nave Vlora nel porto di Bari l’8 agosto del 1991 è uno di questi. Quell’approdo impressionante è stato l’innesco di una rivoluzione socioculturale di proporzioni fino ad allora inimmaginabili. In Italia nel ’91 c’erano poco più di 300.000 stranieri, oggi ce ne sono quasi 4.5 milioni!

A distanza di vent’anni la ricerca di quelle immagini archiviate è stata per me un’esperienza straordinaria: stavo scavando nei miei ricordi di cittadino-spettatore ma con la consapevolezza che il tempo trascorso mi ha concesso.

E questa ricerca ha dato fin da subito esiti insperati: le televisioni locali e quelle nazionali avevano centinaia di ore di girato vergine nei magazzini e negli archivi. E’ la profezia di Zavattini: negli archivi giacciono immagini impazienti di prendere vita. Una cosa preziosissima, la nostra memoria collettiva registrata su nastri magnetici in via di smagnetizzazione salvati con fatica, e con ampio margine di casualità, su supporti digitali.

Lavorare sui repertori cinematografici o televisivi di eventi così importanti è un po’ come lavorare “dentro” la coscienza collettiva. E’ una grande responsabilità quella di utilizzare repertori per costruire narrazioni, perché in quei repertori c’è la morte, c’è la disperazione, ci sono i desideri e le frustrazioni di esseri umani in carne ed ossa, c’è la vita vera.

La rievocazione in immagini di quell’evento si è subito rivelata di un fascino e di una potenza che immaginavo solo in parte. Le televisioni avevano lasciati liberi i loro operatori di seguire interamente gli avvenimenti, forse perché ad agosto non succede mai niente di così importante, forse perché “inconsciamente” a tutti era chiaro che quella cosa andava documentata davvero, chissà. E gli operatori si erano subito trasformati in cineasti capaci di documentare con nitidezza, stupore e continuità quell’evento straordinario. Stesso risultato in Albania. Negli archivi privati e nell’Archivio di stato abbiamo trovato la storia in immagini. Quando ho visto tutto questo materiale ho provato la stessa emozione che provo quando vedo insieme al montatore il girato di un film da me realizzato: conosco già tutto, ma è una continua scoperta.

Mi sono innamorato fin da subito di queste lunghissime riprese e fin da subito con Benni Atria ci siamo detti: beh, è come se avessimo spedito le nostre troupe indietro nel tempo a documentare un avvenimento già accaduto. Quindi dobbiamo montarle così, come se fosse il film che abbiamo girato noi, dobbiamo tener fede all’intenzione che muove la ripresa, allo stupore che le informa e dobbiamo sfruttarle per la loro forza evocativa, dobbiamo rintracciarvi il progetto drammaturgico che “inconsapevolmente” quei bravi operatori hanno messo in campo. Quegli operatori stavano raccontando il radicale mutamento storico che di lì a poco l’Italia e l’Europa avrebbero subito, e che accadeva sotto i loro occhi. Com’è accaduto per l’omicidio di Kennedy, per la “caduta del muro”, per il G8 di Genova, per l’11 settembre 2001…

Contemporaneamente al lavoro sugli archivi audiovisivi, con Antonella Gaeta abbiamo cominciato una ricerca di “storie”. Antonella ha ripercorso palmo a palmo la vicenda ed ha individuato alcuni preziosissimi testimoni diretti, persone coinvolte nei fatti. Non è stata una ricerca semplice, io avevo in mente solo il percorso: quello della nave. Per me i testimoni in un film come quello che stavamo disegnando avrebbero dovuto essere capaci di re-immergersi nella storia, “riviverla” davvero, emozionalmente. Perché non bastano le immagini, anche se straordinarie, a far rivivere un avvenimento, in un film così ci vuole la vita vissuta, ci vogliono le emozioni e le idee che hanno spinto quegli uomini e quelle donne ad attraversare il mare con una nave in avaria, rischiando la vita.

Con Gherardo Gossi abbiamo costruito un set “astratto”, uno sfondo bianco, come una lavagna luminosa su cui far vivere le emozioni dei testimoni, nella loro purezza, nella loro freschezza. In modo che tra un testimone e l’altro ci fosse un’assoluta continuità emozionale e narrativa, una limpidezza del percorso. Ecco, volevo che le testimonianze fossero limpide.

 

Non volevo più sentire le parole “extracomunitari”, “profughi” ,“disperati” a favore delle parole “uomini”, “donne”, “bambini”. È grazie alle testimonianze dirette delle persone, anche degli italiani che accolsero e/o respinsero quei 20.000 albanesi, che è possibile fare il “contropelo” alla storiografia ufficiale, sempre troppo lineare e consequenziale per essere non dico vera, che sarebbe già molto, ma viva. Non è la ricerca di una verità purchessia; in un film più che la “verità”, io penso debba esserci la vita. Come penso dovrebbe esserci anche nei libri di storia. Quando in un libro di storia non trovo la vita ma solo l’ingegneria dei fatti, il mio interesse di lettore scema in fretta. Questo per me è centrale: rimettere la “filosofia” con i piedi per terra, altrimenti le vite individuali sono solo numeri e funzioni, i popoli soltanto masse indistinte e i fatti storici semplicemente accadimenti da analizzare.

Ma non è facile raccontare un evento collettivo al cinema, il territorio privilegiato del racconto cinematografico solitamente è l’eroe o l’antieroe.  La nave dolce si intreccia nella mia coscienza di narratore con Diaz. Non so dire fino in fondo il perché, ma sento che hanno qualcosa in comune. Oltre alla casualità di essere stati realizzati contemporaneamente, parallelamente, entrambi raccontano episodi collettivi che rappresentano una porzione di avvenimenti storico-politici più grandi e complessi. Ma entrambi nell’essere la “pars pro toto” tentano di restituire il senso del tutto attraverso l’esperienza di una molteplicità di persone. Ma anche dal punto di vista storico-politico vedo una continuità tra i due episodi: Cossiga che scende dall’aereo e va a rivendicare in conferenza stampa il primo respingimento avvenuto in Italia, è per me il segno del grande cambiamento politico avvenuto nel nostro paese dopo il crollo del muro di Berlino. Da quel momento in poi la gestione dell’ordine pubblico tende a sostituirsi alla politica sul piano dei diritti sociali e civili. Una involuzione democratica in piena regola che ha trovato la sua massima espressione a Genova nel 2001.

Come Diaz, La nave dolce è un film che mi si è imposto, mi ha costretto a superare lo schema narrativo in tre atti, prendendo a prestito strutture più ampie dalla tragedia e dalla narrativa classica. I due film sono una sfida radicale ai miei limiti di narratore, devo ammetterlo. Infatti sono due “mostri” che mi hanno fatto soffrire e gioire come non mi era mai accaduto prima.

Ringrazio la Indigo Film, l’ Apulia Film Commission, Rai Cinema e  Ska-ndal Production di avermi messo nelle migliori condizioni per realizzare un film così complesso.

 

Daniele Vicari

Note di sceneggiatura

 

Per quelli della mia generazione (e della mia terra: Bari), la Vlora è rimasta per sempre in mezzo al mare. Perché a ripensarlo, quell’agglomerato umano prodigioso non si sposta di lì, sta per attraccare e rovesciare su di noi un altro mondo; sta per fare della nostra costa la porta di centinaia di migliaia di arrivi e di passaggi per l’Europa. E di noi, il guado tra dolore e futuro. 

Per La nave dolce, siamo partiti dalla Vlora e abbiamo intrecciato una rete. La ricerca dei testimoni è cominciata come la più classica delle ricognizioni. Dagli articoli di giornale ai servizi televisivi. Dalla domanda: “Conoscete qualcuno che è arrivato a Bari con la Vlora?” fatta circolare presso sportelli per immigrati, associazioni interculturali, social network, volontari, colleghi giornalisti, amministratori, medici di primo soccorso, poliziotti di frontiera, autorità portuale, agenzie marittime e, naturalmente, albanesi ormai baresi. Un annodarsi di ricordi, rimandi, numeri di telefono, che di bocca in bocca, di faccia in faccia, ha portato alle storie. Abbiamo pensato a una trama che prevedesse per ciascun ‘personaggio’ un piccolo avanzamento del racconto, dalla caduta della statua di Enver Hoxha alla partenza della nave, dall’epica traversata alla detenzione arbitraria nello Stadio della Vittoria, fino alla fuga o al rimpatrio forzato.  Ciascuno, portatore di un capitolo di questo storico esodo. Li abbiamo incontrati, intervistati e loro hanno riaperto per noi il varco, dall’Albania all’Italia.

Tutto si è naturalmente composto, dall’eroico comandante della nave, Halim Milaqi al piccolo Ervis, affidato dai genitori a un passante perché avesse diritto a un mondo nuovo. E, alla fine, è arrivato Tony, il pizzaiolo di sempre. “Tony, tu che sei albanese, per caso conosci qualcuno arrivato con la Vlora?”. “Io!”. Tony si chiama in realtà Agron ma questa è stata una scoperta di quel giorno. Ci ha svelato che la Vlora trasportava zucchero con il quale, a bordo, “tenevano viva l’anima”.

Così Agron Sula ci ha regalato il titolo: La nave dolce. E siamo partiti.

 

Antonella Gaeta

Note del direttore della fotografia
Il documentario è costruito con interviste e repertorio per lo più televisivo.  Per le interviste abbiamo scelto di lavorare su un fondo bianco che accompagnasse in modo unitario e solare lo sguardo di speranza che hanno avuto i nostri protagonisti nell’intraprendere il viaggio verso la realizzazione dei sogni di una vita. Sogni costruiti attraverso le immagini delle nostre televisioni che hanno gonfiato il loro immaginario. Ed ecco che per noi il materiale televisivo molto variegato diventa materia di elaborazione visiva, strumento per raccontare un’epoca in cui due mondi così vicini, a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, erano così temporalmente lontani. Vite che, seppur scorrendo parallele, portavano segni  di una differenza  di quasi vent’anni dalle nostre, visi scavati, capigliature e vestiti anni Settanta. Ormai sembra incredibile in un mondo dove l’omologazione dei costumi è la normalità. Il tempo ritorna. Anche oggi come ieri, barche cadenti attraversano i mari con i loro sogni e la loro disperazione, ma lo spirito di accoglienza si è perso. Il repertorio quindi lo caratterizzeremo fotograficamente per amplificare e sottolineare queste differenze.

 

Gherardo Gossi

Note del musicista

Il mio rapporto con questo film è iniziato
guardando alcuni filmati di repertorio:

tutti quei corpi aggrappati alla nave mi avevano fatto venire in mente le
immagini bibliche dell’Apocalisse, come la pioggia di rane.

Mi pareva tutto impossibile, ma quelle migliaia di
persone in fuga erano proprio lì, davanti ai miei occhi, ed erano talmente
tanti che non si vedeva nemmeno più la forma della nave.

Con la speranza di restituirci la realtà, la
musica ed il cinema possono tentare di stabilire un rapporto con quanto appare
incredibile.

A volte accade.   

Teho Teardo

Daniele Vicari

 

Nato il 26/02/67 a Castel di Tora (Rieti).

Si è laureato in Storia e Critica del cinema presso l’Università di Roma “La Sapienza”, Cattedra di Storia e Critica del Cinema, con il prof. Guido Aristarco. Ha collaborato in qualità di critico cinematografico con la rivista Cinema Nuovo dal 1990 al 1996, e con la rivista Cinema 60 dal 1997 al 1999. Dopo aver realizzato alcuni documentari, tra i quali Uomini e Lupi, premio Sacher 1998 e il documentario di lungometraggio Non mi basta mai (co-regia Guido Chiesa), premio Cipputi al Festival di Torino nel 1999, ha esordito alla regia del film di finzione nel 2002 con Velocità Massima, David di Donatello miglior film d’esordio, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2005 il suo secondo film di finzione L’Orizzonte degli eventi, viene selezionato presso “La semaine de la critique” del Festival di Cannes.

Sempre nel 2005 ha pubblicato, in collaborazione con Antonio Medici, “L’alfabeto dello sguardo, capire il linguaggio audiovisivo”, presso Carocci, ricevendo il premio Umberto Barbaro per il miglior saggio di divulgazione del linguaggio cinematografico.

Nel 2007 riceve un secondo David di Donatello con il documentario di lungometraggio Il mio paese oltre che il premio Pasinetti dei Giornalisti cinematografici.
Nel 2008 Il passato è una terra straniera viene selezionato in concorso al Festival del film di Roma e vince il Miami International Film Festival come miglior film e per il miglior attore protagonista Michele Riondino.
Nel 2012 con il film Diaz, don’t clean up this blood, vince il premio del pubblico al Festival di Berlino. Vive e lavora a Roma.


Indigo Film

 

 

La INDIGO FILM, fondata nel 1999 da Nicola Giuliano, Francesca Cima e Carlotta Calori,si occupa di produzione di documentari, cortometraggi, film.

Nel 2001 produce il film lungometraggio, L’uomo in più, opera prima di Paolo Sorrentino, presentato in concorso al Festival di Venezia.

Tra il 2003 e il 2006 realizza Le conseguenze dell’amore e L’amico di famiglia, secondo e terzo film di Paolo Sorrentino, entrambi presentati in concorso al Festival di Cannes.

Nel 2004 produce Apnea, opera prima di Roberto Dordit. Il film, distribuito dall’Istituto Luce, con il sostegno della CGIL, esce in sala nel 2007.

Nel 2005 realizza La guerra di Mario di Antonio Capuano, in concorso al Festival di Locarno.

Nel 2007 la Indigo Film è presente alla Mostra del Cinema di Venezia con tre produzioni: i documentari Il passaggio della linea di Pietro Marcello, Bianciardi! di Massimo Coppola e il film lungometraggio La ragazza del lago, opera prima di Andrea Molaioli, selezionato dalla Settimana Internazionale della Critica. Il film ha conseguito numerosi riconoscimenti tra cui 10 David di Donatello, 3 Nastri d’Argento e 4 Ciak d’oro.

Nel 2008 la Indigo Film ha prodotto con Lucky Red Il Divo di Paolo Sorrentino, presentato al
61 Festival Internazionale di Cannes, il film ha ottenuto il Premio della Giuria e il Prix Vulcain.
Il film si aggiudica, tra gli altri premi, 7 David di Donatello, 5 Nastri d’Argento, 3 Ciak d’Oro.
Nel 2009 viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia
La doppia ora, opera prima di Giuseppe Capotondi. Il film ottiene la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, il Premio Pasinetti per la miglior interpretazione maschile ed il Premio Arca Giovani.
Sempre nel 2009 viene prodotto
La bocca del lupo film documentario di Pietro Marcello, premiato al Torino Film Festival come Miglior Film ed al Festival di Berlino nella sezione Forum con il Premio Caligari ed il Teddy Award. Il documentario ha successivamente ottenuto il David di Donatello ed il Nastro d’Argento.

Nel 2010 la Indigo Film produce Hai paura del buio opera prima di Massimo Coppola, film  presentato al Festival di Venezia all’interno della Settimana della Critica.

Nel 2011 realizza il film documentario Questa storia qua, sulla vita di Vasco Rossi, evento speciale alla 68 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia; Ulidi piccola mia, opera prima di Mateo Zoni, in concorso al Festival di Torino e Napoli 24 film collettivo che racconta la città di Napoli attraverso 24 cortometraggi firmati da altrettanti registi partenopei.
Nello stesso anno produce
Il Gioiellino opera seconda di Andrea Molaioli con Toni Servillo e Remo Girone, ed insieme a Lucky Red  This must be the place, quinto film di Paolo Sorrentino, interpretato da Sean Penn e Frances McDormand. In concorso al 64 Festival di Cannes il film, venduto in tutto il mondo, ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra cui 6 David di Donatello, 3 Nastri d’Argento e 4 Ciak d’oro.  Infine sempre nel 2011 la Indigo Film produce l’opera prima di Ivan Cotroneo La kryptonite nella borsa in concorso al Festival di Roma.
Sono attualmente in corso le riprese de
La grande bellezza sesto film di Paolo Sorrentino.

 

Sinossi

 

L’8 agosto 1991 una nave albanese,caricadi ventimila persone, giunge nel porto di Bari. La nave si chiama Vlora.

A chi la guarda avvicinarsi appare come un formicaio brulicante, un groviglio indistinto di corpi aggrappati gli uni agli altri.

Le operazioni di attracco sono difficili, qualcuno si butta in mare per raggiungere la terraferma a nuoto, molti urlano in coro “Italia, Italia” facendo il segno di vittoria con le dita.

 

La Vlora è un vecchio mercantile costruito all’inizio degli anni Sessanta a Genova.

Il 7 agosto 1991 la nave, di ritorno da Cuba, arriva al porto di Durazzo, nella stiva diecimila tonnellate di zucchero.

Sono in corso le operazioni di scarico quando una folla enorme di migliaia di persone assale improvvisamente il mercantile, costringendo il capitano Halim Milaqi a fare rotta verso l’Italia.

È una marea incontenibile di uomini, ragazzi, donne, bambini.

C’è Eva che sale arrampicandosi lungo le cime d’ormeggio insieme al marito.

C’è Kledi, un ragazzino che si trova in spiaggia con gli amici quando decide di seguire incuriosito la folla che va verso il porto. C’è il piccolo Ervis con la sua famiglia, c’è Robert, giovane regista con i suoi compagni di studi.

Qualcuno, una volta a bordo, incontra un fratello, un amico.

 

Il motore centrale è in avaria, non c’è cibo, né acqua. Solo zucchero.

 

Il sole di agosto arroventa il pontile. Poi scende la notte, il capitano governa la nave senza poter utilizzare il radar, evita anche una collisione.

 

Il mattino dopo, ad attendere la Vlora c’è una città incredula e stordita e uno stadio di calcio vuoto, dove, dopo lunghissime operazioni di sgombero del porto, gli albanesi vengono rinchiusi prima del rimpatrio.

 

Sono passati ventuno anni da quel giorno.

La maggior parte di coloro che salirono sulla nave, carica di zucchero, vennero rispediti in Albania ma gli sbarchi continuarono e qualcuno tentò ancora la traversata.

 

Oggi vivono in Italia quattro milioni e mezzo di stranieri.

 

 

 

Chi sono

 

Eva Karafili

 

Laureata in Economia, si arrampicò lungo le cime d’ormeggio insieme al marito e, per caso, a bordo trovò il fratello.

 

 

 

Oggi vive in Puglia con la sua famiglia e alterna il lavoro di traduttrice a quello di badante.

 

 

 

Agron Sula

 

Aveva 15 anni quando sentì che dal porto di Durazzo partiva una nave. All’insaputa della madre, scappò di casa con un amico e riuscì ad imbarcarsi. 

 

 

 

Rimpatriato, ha provato altre volte a tornare in Italia. Alla fine, ce l’ha fatta e oggi è tra i migliori pizzaioli di Bari Vecchia.

 

 

 

Halim Milaqi

 

Era il capitano della Vlora. Fu costretto, con un cacciavite piantato in una coscia, a condurre la nave in Italia.

 

 

 

Ormai in pensione, è la prima volta che racconta quei fatti.

 

 

 

Kledi Kadiu

 

Era un ragazzo e si trovava in spiaggia con gli amici quando decise di seguire la folla che andava verso il porto e imbarcarsi.

 

 

 

Oggi, raggiunta la notorietà in Italia grazie a numerosi programmi televisivi, continua la sua attività di danzatore.

 

 

 

Robert Budina

 

Era uno studente dell’Accademia delle Arti di Tirana deluso dal nuovo corso politico dopo la caduta del regime, quando lasciò l’Albania insieme ai suoi compagni di studio.

 

 

 

Rimasto qualche tempo in Italia a inseguire il sogno del Cinema, oggi è tornato nel suo Paese e fa il regista.

 

 

 

Eduart Cota

 

Era macchinista delle Ferrovie e, perso il lavoro, decise di cercare fortuna sulla Vlora. Rimase in Italia, scappando dallo Stadio.

 

 

 

Dopo aver fatto per vent’anni il cuoco a Bari, ora è in pensione.

 

 

 

Ervis Alia

 

Era un bambino che i genitori, rinchiusi nello Stadio della Vittoria, affidarono rocambolescamente a un passante barese, prima di essere rimpatriati.    

 

Preso in affidamento da quell’uomo, è riuscito a far richiamare in Italia tutta la sua famiglia. Ora fa l’autotrasportatore.

 

 

 

Ali Margjeka

 

Giunto in Italia qualche mese prima dell’arrivo della Vlora, fu chiamato come interprete all’interno dello Stadio della Vittoria. Alla vista dei connazionali rinchiusi, si rifiutò di farlo. 

 

 

 

Oggi è rappresentante sindacale della Federazione Lavoratori Stranieri della Cisal Puglia.

 

 

 

Giuseppe Belviso

 

Nel 1991 era giornalista e telecineoperatore Rai nelle zone di guerra. Seguì lo sbarcò fin dai primi momenti.  

 

 

 

Oggi è un giornalista professionista in pensione.

 


Nicola Montano

 

Ispettore della Polizia di frontiera del Porto di Bari, sin dall’alba aspettò sul molo l’arrivo della nave. Seguì tutte le operazioni di arrivo e rimpatrio degli albanesi.

 

 

 

Alla sua esperienza di ispettore, ormai in pensione, ha dedicato il libro, “Ladri di stelle. Storie di clandestini ed altro”.

 


Domenico Stea

 

Quando la voce dell’arrivo della nave si diffuse, corse al porto per proteggere la sede della sua agenzia marittima specializzata nel trasporto con i Balcani.

 

 

 

Continua il suo lavoro e, dalla vicenda Vlora in poi, cura anche collegamenti con l’Albania.

 


Fortunata Dell’Orzo

 

Assunta il primo agosto da Telebari, l’8 agosto venne inviata a seguire lo sbarco e questo fu  il suo primo servizio esterno, il suo battesimo di fuoco.

 

 

 

Oggi continua a fare la giornalista come  redattore del mensile ‘Puglia d’oggi’.

 


Luca Turi

 

Fotoreporter, era sul lungomare di Bari quando vide arrivare la nave. Realizzò lo scatto della Vlora carica di albanesi che ha fatto il giro del mondo.

 

 

 

Continua a fare il fotoreporter, specializzato in servizi fotogiornalistici dall’Albania.  

 

 

 

Raffaele Nigro

 

Scrittore e giornalista della sede regionale di RaiTre, vide dalla finestra della redazione la Vlora e si precipitò sul molo. Solo un anno prima era stato in Albania per presentare il suo romanzo.

 

 

 

Oggi è caporedattore della sede regionale di RaiTre e continua a fare lo scrittore.

 

 

 

 

 

Luigi Roca e Maria Brescia

 

Luigi Roca era il custode dello Stadio della Vittoria al cui interno viveva con la moglie Maria Brescia. Nessuno li avvertì e rimasero prigionieri dello stadio insieme gli albanesi. La loro casa fu devastata.

 

 

 

Dopo 18 anni di battaglie giudiziarie, Luigi Roca ha ottenuto 110mila euro di risarcimento per aver vissuto “in un campo di concentramento improvvisato nello stadio comunale”.

 

 

 

Vito Leccese

 

Giovane assessore alla Sanità del Comune di Bari, fu al fianco del sindaco Enrico Dalfino, contrario alla decisione del Governo di rinchiudere gli albanesi nello Stadio della Vittoria.

 

 

 

Dopo essere stato deputato dei Verdi, è tornato ad occuparsi di politica cittadina e oggi è direttore generale del Comune di Bari.