IO e TE… PARLA JACOPO OLMO ANTINORI

IO e TE… e JACOPO OLMO ANTINORI

 

Presentati.

Mi chiamo Jacopo Olmo Antinori, ho appena compiuto 15 anni. Ne avevo 14 un anno fa all’inizio delle riprese di Io e Te. Frequento il secondo Liceo Scientifico a Roma, nel mio tempo libero mi piace suonare la chitarra, giocare a tennis, leggere quanto più possibile, ascoltare musica e vedere film.

 

E fai l’attore.

Non proprio. Mi sono solo capitate alcune occasioni legate principalmente al fatto che mia madre fa l’attrice da quando è giovanissima. La prima volta fu quando avevo 9 anni: alcuni amici di mia madre avevano bisogno di un bambino per un allestimento di “Racconto d’inverno” di Shakespeare, al Globe Theatre. Due anni dopo, ho ripetuto l’esperienza con un piccolo ruolo nel “Ploutos” di Aristofane, con la regia di Massimo Popolizio, al Teatro Tor Bella Monaca. Quello stesso anno il Teatro Stabile di Genova era in tournée con “L’anima buona del Sezuan” di Brecht con Mariangela Melato; arrivati a Roma chiesero la disponibilità di un attore ragazzino e fui chiamato io. Un’altra opportunità è stata quella di recitare in un paio di pose per la fiction “Raccontami 2″, nella quale mia madre lavorava come coach. Ma sono state tutte esperienze brevi, durante le quali non ho mai pensato ad una carriera di attore.

 

Come sei arrivato a lavorare con Bertolucci in “IO e TE”?

Per puro caso. Frequentavo ancora la terza media; fuori dalla mia scuola distribuivano dei volantini della Wild Side, in realtà destinati ai ragazzi del vicino liceo, perché stavano cercando un ragazzino per la trasposizione cinematografica di “IO e TE” di Ammaniti. Tornato a casa ho mostrato il volantino a mia madre che ha capito che si trattava del nuovo film di Bertolucci e mi ha chiesto se volevo fare il provino, ma io non ero molto interessato. Un paio di settimane dopo ho trovato sulla mia scrivania dei fogli con le battute del provino. Non sapevo che mia madre avesse inviato una mia foto alla produzione e che mi avessero preselezionato. A quel punto mi sono detto: tanto vale provare.

 

E ti sei presentato.

Sì, ho fatto un primo provino con Barbara Melega dopo il quale, quasi subito, sono stato chiamato per un incontro con Bertolucci.

 

Che ricordo ne hai?

Fu un colloquio inizialmente piuttosto normale, una semplice chiacchierata sui miei gusti musicali, cose così. Poi però è entrato in gioco il mio nome, o meglio il mio secondo nome, Olmo. Pare che io mi chiami così in riferimento al protagonista di “Novecento”; anzi, per i miei genitori sarebbe dovuto essere il mio primo nome, ma sembra che il resto della mia famiglia non fosse d’accordo. Quindi ero destinato a chiamarmi semplicemente Jacopo ma mi è stato raccontato che, mentre stavo per nascere e i miei genitori giravano in macchina nel Chianti, ad un certo punto si sono imbattuti in un bivio dove c’era un cartello che indicava un “Podere Olmo”. I miei lo hanno preso come un segno del destino… Penso anche che Bertolucci sia rimasto colpito da fatto che io avessi scelto, come argomento generale a piacere per i miei esami di terza media, di parlare di Pasolini.

 

Cosa è successo poi?

Sono stato richiamato per altri tre o quattro provini finché, nei primi giorni di giugno del 2011, mi hanno comunicato che Bertolucci voleva vedermi ancora, a casa sua. E lì per lì mi sono anche un po’ indisposto, perché l’incontro era stato fissato proprio per il mio ultimo giorno di scuola. Ma quella fu proprio l’occasione in cui mi hanno detto che avevano deciso di prendermi; io sono rimasto almeno una decina di secondi senza aprire bocca, era l’ultima cosa che mi sarei aspettato proprio quel giorno… Alla fine di quell’incontro Bertolucci mi ha regalato una raccolta delle opere di suo padre Attilio, la cui lettura ha segnato profondamente quella che è stata poi l’estate più particolare della mia breve vita. Senza mai pensare al grande impegno che incombeva su di me a partire da settembre…

 

Intanto avevi letto anche il libro di Ammaniti?

No, quello lo avevo letto appena uscito, prima che si sapesse del film. Me lo aveva consigliato mia madre e mi era piaciuto un sacco, l’avevo trovato molto intenso.

 

Che idea ti eri fatto di Lorenzo, il protagonista?

Ho pensato che sotto certi punti di vista somigliasse a me per com’ero due o tre anni prima. Mi riferisco solo a certi suoi comportamenti, non alla loro causa. Pensavo che dentro di sé Lorenzo fosse una persona buona ma che si chiudeva in se stesso per non soffrire. Un personaggio secondo me affascinante.

 

E tu cosa hai portato a Lorenzo, nel film?

Dovrei vederlo più volte per esserne certo, ma sono quasi sicuro che ci sia qualcosa di mio nel Lorenzo del film. Penso che sia infatti un po’ più aperto e normale di quanto non lo fosse il personaggio del libro che a tratti, secondo me, rasentava l’autismo. Però devo dire che io ho affrontato le riprese senza farmi troppe domande, pensando solo ad andare dritto verso l’obiettivo.

 

Bertolucci ti ha definito “un attore nato”.

Non lo so, non è che nel recitare io segua un particolare metodo. Ho solo affrontato le riprese con estrema determinazione e serenità, senza quasi mai pormi problemi su quello che stavo facendo. Volevo solo fare del mio meglio.

 

E ora come vedi il tuo futuro?

La cosa più importante per me resta lo studio, almeno fino alla fine del liceo. E voglio godermi quanto più possibile questi anni di giovinezza. Poi non so come continuerà questa storia della recitazione, intanto sono molto curioso di raccogliere un po’ di opinioni sul mio lavoro nel film. Fosse per me, non mi dispiacerebbe continuare a recitare, anzi. È stata un’esperienza che, per quanto mi renda conto sia stata unica e irripetibile, mi è comunque piaciuta tantissimo.

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