8 novembre 2012 TROPPO AMICI (TELLMENT PROCHE) Regia: Oliver Nakache, Eric Toledano Cast: Vincent Elbaz, Isabelle Carré, Omar Sy, Francois-Xavier Demaison
Famiglia: gruppo di persone unite da legami di parentela e un forte sentimento di solidarietà morale e materiale.
SINOSSI
Quando Alain (Vincent Elbaz) ha sposato Nathalie (Isabelle Carré) non sapeva che avrebbe sposato anche tutta la sua famiglia. C’è Jean-Pierre (Francois-Xavier Demaison), il cognato accompagnato dalla moglie Catherine (Audrey Dana) e la perfettissima nipote Gaëlle. C’è Roxane (Joséphine De Meaux), la cognata, che in preda all’accelerazione del suo orologio biologico assilla la vita di Bruno (Omar Sy). Stasera tutti a cena da Jean-Pierre…
Dai registi di Quasi Amici un’altra commedia esilarante con protagonisti tre fratelli ed i loro cari.
INTERVISTA COI REALIZZATORI
“Troppo amici” è il vostro terzo film, com’è nata l’idea?
Eric Toledano: «La famiglia è uno dei temi che ci ha sempre affascinato. Rappresenta uno spaccato della realtà di ognuno di noi. Passiamo la vita a cercare di staccarci dalla famiglia, ma allo stesso tempo non possiamo farne a meno tanta è l’influenza che esercita su di noi. E’ alla base della nostra vita, anche se piena di paradossi. Per alcuni è il solo rifugio possibile, per altri una specie di prigione soffocante. Una volta ho letto una definizione di famiglia che spiega bene questo dualismo: “Vivere insieme ci uccide, separarci è mortale”. Anche se la famiglia in questione non è la nostra, comunque rappresenta bene la famiglia moderna. I nostri film precedenti si basavano sulle esperienze passate, questo invece incarna i nostri pensieri sul presente».
Olivier Nakache: «Il soggetto di “Troppo Amici” ci è venuto naturale, come un’espressione dei pensieri che avevamo in comune e quelli opposti sulla famiglia. O meglio, sulle famiglie, sia quelle “di sangue” che quelle “acquisite”, come quelle culturali o religiose».
Avete tratto ispirazione dalle vostre vere famiglie per scrivere questo film?
ON: «Mah, si e no. Con Eric siamo partiti senz’altro dai nostri aneddoti familiari, di solito è così che nascono i nostri soggetti. E siccome entrambi proveniamo da famiglie numerose e molto “colorate”, col passare delle settimane ne abbiamo raccolti moltissimi. E’ chiaro che poi abbiamo dovuto esagerare ed esasperare alcune situazioni per renderle realistiche ma allo stesso tempo strane, e spero anche emozionanti. Comunque ci siamo affidati a un consulente familiare, per poter arricchire la storia».
ET: «Gli abbiamo chiesto (al terapeuta, ndt) di raccontarci quali siano i conflitti più ricorrenti nelle famiglie che assiste. Per esempio è stato proprio grazie a una seduta con il terapeuta che abbiamo scoperto il concetto di “invasione” di un nucleo familiare da parte della famiglia di origine di uno dei due. E’ una situazione molto frequente che genera tensioni molto profonde, dalla quale abbiamo preso spunto per tracciare alcuni aspetti della vita di Jean-Pierre (François-Xavier Demaison).
Il personaggio che più soffre la famiglia e cerca di allontanarsene è Alain (Vincent Elbaz). Non è proprio lui la colonna portante del film?
ET: «Certamente. Non che gli altri personaggi siano secondari o meno importanti, ma in effetti li vediamo attraverso gli occhi di Alain».
ON: «Alain è una sorta di alter ego del personaggio interpretato da Jean-Paul Rouve in “Nos jours heureux” (Those Happy Days, 2006, ndt). Una parte di lui non si adatta alla vita di tutti i giorni, è un animatore che ha sempre vissuto nei villaggi turistici e che ha conosciuto il suo momento di gloria, anche se solo come commediante nei club di Marrakech o Chamonix. Per esperienza, so che è molto difficile staccarsi da questo tipo di vita e tornare coi piedi per terra, e adattarsi alla vita di tutti i giorni».
ET: «Da giovani padri, Olivier e io abbiamo anche voluto affrontare il tema, molto caldo, della “trasmissione” di valori di padre in figlio. Voglio dire, come può Alain crescere quando suo padre (Jean Benguingui), parrucchiere e fabbricante di parrucche, a 60 anni passati ancora corre dietro alle 18enni?
A sua volta, Alain sta trasmettendo al figlio il gusto della scena, del divertimento. Ma gli sta passando anche tutte le sue angosce, anche se a livello inconscio. E’ quanto sostengono anche gli psichiatri infantili: un ragazzo disturbato non lo è mai per caso, è il “risultato di una famiglia disturbata”. Tutti si chiedono perché Lucien sia così insopportabile, e la risposta è che dipende dalle tensioni esistenti fra Alain e sua moglie Nathalie (Isabelle Carré).
Lucien mette a dura prova anche la pazienza di sua zia Catherine (Audrey Dana), che finisce con lo schiaffeggiarlo. A quel punto Lucien diventa il vero catalizzatore della storia…
ET: «Effettivamente dal momento dello schiaffo, cambia tutto. Si tratta dell’attimo di passaggio dalla commedia pura, con la scena della cena che richiama molto i vecchi film italiani, ad un soggetto più profondo. Tutte le storie, anche se affrontate con senso dell’umorismo, a un certo punto si fanno più complesse, ed è proprio questa complessità che ci piace tanto. Non è vero che le commedie sono fatte soltanto per affrontare temi leggeri e divertenti, anzi».
La prima parte del film va avanti a un ritmo molto serrato, in cui vengono presentati i personaggi principali della storia. Come vi è venuto in mente di costruire così l’intro della storia?
ON: «Non è mai facile trovare il modo giusto di presentare i protagonisti di una storia, soprattutto se sono tanti. L’espediente giusto è stato usare una voce fuori campo, del tipo “Salve, sono Alain, ecco mia moglie Nathalie, mio cognato Jean-Pierre…”. A questo punto si ferma l’immagine e Alain continua dicendo “Da che mi ricordo, non ho mai conosciuto una famiglia così”. Chiaramente, per cercare di essere il più originali possibili, abbiamo deciso di uscire dai clichè tipici di scene di questo genere e fornire allo spettatore un prodotto il più possibile originale».
ET: «E’ così che è nata l’idea della scena iniziale da Ikea, che in un attimo racconta allo spettatore tutte le problematiche salienti della storia: il ragazzo sovreccitato, la coppia in crisi, la paventata cena a casa del cognato… Abbiamo voluto prendere lo spettatore per mano e accompagnarlo per tutto il film».
Perché l’ambientazione proprio a Choux de Creteil?
ON: «Sia io che Olivier siamo originari di Choux de Creteil, ci andiamo spesso a trovare le nostre famiglie. Dal punto di vista architettonico, è un posto fuori dal mondo. Sembra di essere su Marte, un posto slegato dal resto dell’universo, perso in un’altra dimensione. Alain ha caldo, fuma, si sente oppresso, vuole scappare via. La tensione sale, sale, sale… e a un certo punto… boom!».
L’impressione è che se Yves Robert, autore di “Certi piccolissimi peccati”, avesse deciso di fare un ritratto di famiglia, sarebbe stato molto somigliante a “Troppo amici”…
ON: «Un paragone lusinghiero. Tra i registi francesi, Robert è senz’altro una delle maggiori fonti di ispirazione per il nostro lavoro. Nel suo film, è stato capace di dipingere con un sottile senso dell’umorismo ognuno dei suoi personaggi e far loro mantenere una identità definita, il cui ricordo rimane indelebile nello spettatore. Sotto altri aspetti invece ci siamo ispirati a Claude Sautet, al suo realismo, alla finezza della sua scrittura, che sono ancora modelli molto attuali».
ET: «Abbiamo entrambi una grande passione per i film “abbondanti”, ritmati, pieni di musica e di personaggi. Ci piace il movimento, il chiasso, le risate, le emozioni, tutte cose che ritroviamo nei film di Lelouch o Klapisch, o ancora in quelli di Woody Allen. Questa famiglia è come il tronco di un albero, da cui si diparte una lunga serie di rami, che sono poi le storie collaterali: gli immigrati clandestini pakistani ospitati da Nathalie, gli scioperi sostenuti da Jean-Pierre, Catherine e la comunità religioso-ebraica, un medico praticante di origine senegalese che tutti scambiano per un badante o un portiere…».
Quanto tempo ha richiesto la stesura di una sceneggiatura così complessa?
ON: «Circa due anni. La prima stesura ci è costata sei mesi di lavoro. Alcuni autori-registi sono scrittori più esperti che sanno perfettamente come sceneggiare i loro film. Noi siamo del tutto diversi. Siamo alla ricerca continua dell’espediente in più, del valore aggiunto, di una idea nuova, dovunque provenga».
ET: «Anche se siamo molto rigorosi nel processo di scrittura, una scena non prende mai vita del tutto fintanto che non sono stati scelti gli attori ed è stata fatta un’ultima stesura del copione. A volte la scena si completa direttamente durante le riprese, con battute che escono fuori così, di getto. Potremmo paragonare questo processo a una musica molto ricercata. Al cinema, soprattutto quando si tratta di commedie, un sguardo, un respiro, una parola, una espressione, possono fare la differenza. E’ la continua ricerca della nota mancante che caratterizza il nostro lavoro, il processo di scrittura a volte si estende anche alla fase di montaggio, al missaggio. Abbiamo fatto lo stesso con “Those Happy Days” e il risultato è stato sorprendente, anche per noi stessi. Per esempio, la scena di Roxane e del bambino al supermercato non ci soddisfaceva: è stato solo riguardandola che ci è venuta in mente la battuta “Puoi prestarmi tuo figlio ogni tanto!”. E la scena prende tutto un altro sapore».
Questo vostro modo di lavorare, quanto incide sulle riprese?
ON: «E’ un metodo che spesso destabilizza gli attori e deve essere concordato anche con il direttore della fotografia. Siamo alla seconda collaborazione con Rémy Chevrin, che sa perfettamente come improvvisare con la camera e adattarsi al ritmo degli attori. Ormai lo sanno tutti che all’improvviso possiamo chiedere di rifare una scena che andrà in una direzione totalmente opposta a quella della ripresa precedente. E’ uno dei motivi per cui usiamo molto lo zoom, è una tecnica che ci permette di cambiare prospettiva ogni volta che vogliamo».
ET: «Mentre stavamo girando il nostro primo film, con Gérard Depardieu, alla fine di una scena dissi “E’ buona, rifacciamola”. E lui si stupì, dicendo “Se è buona, perché rifarla?”. Non aveva torto, in realtà. Ma anche se una scena è buona, mi piace rifarla con quel minimo di cambiamenti “fisiologici” che ci consentiranno poi, in fase di montaggio, di avere più materiale per le mani».
ON: «Anche se poi al direttore di produzione viene l’ulcera».
Colpo di scena, uno dei personaggi viene lasciato sul ciglio dell’autostrada. Perché uno humour così estremo?
ET: «La nostra più grande preoccupazione quando facciamo un film è il ritmo. I tempi morti sono esasperanti per lo spettatore, ed è nostro punto d’onore la capacità di ridurli ai minimi termini. In questo ci aiuta il nostro montatore di fiducia, un nevrotico ciclico di talento. Portare alcune sequenze ai limiti dell’estremo, è un po’ l’espressione dell’influenza che ha su di noi Woody Allen. In “Harry a pezzi” o “Pallottole su Broadway”, porta i suoi protagonisti a situazioni così estreme che spesso riflettono meglio la realtà di una scena pseudo realista, noiosa e vista e rivista al cinema».
Tre film, tre commedie. Per quale motivo preferite questo genere?
ET: «Abbiamo in ballo la storia di una donna che si suicida una mattina dopo aver preso il caffè, proprio quando è pronto il suo toast… Ma non è il momento giusto, in questo momento abbiamo ancora troppa voglia di ridere e far ridere. In qualunque modo sia possibile far ridere la gente, che si tratti di un riso leggero o più amaro. Per adesso vogliamo continuare così, visto che è già una sfida continua riuscire in questo genere di film».
ON: «Quando esce un nostro film, Eric e io ci divertiamo ad andare in incognito nelle sale cinematografiche per vedere se i nostri spettatori ridono. Sentirli divertirsi è una ricompensa immediata per il nostro lavoro, come una medicina che allevia immediatamente un dolore forte».
La vis comica non surclassa tuttavia la componente emozionale dei vostri film…
ET: «Al contrario. Uno spettatore che ride è più portato ad emozionarsi, perché la risata ha un potere distensivo. Se “Troppo amici” sa far ridere, sicuramente saprà anche far emozionare, o almeno lo speriamo».
Nel vostro film non mettete insieme solamente famiglie e comunità diverse, ma riuscite a far interagire attori provenienti da esperienze diametralmente opposte.
ET: «Non è facile nel cinema francese formare una coppia inedita di attori. Vincent Elbaz e Isabelle Carré hanno avuto formazioni diverse, non lavorano nello stesso modo, ma eravamo convinti che insieme potessero sprigionare una certa alchimia. Non ci siamo sbagliati».
ON: «Ci piace mischiare i generi, le personalità, i caratteri. “Troppo amici” è anche un incontro di attori che vengono da differenti realtà: chi dal teatro, come François-Xavier Demaison, chi dal cinema d’autore come Audrey Dana, e poi ci sono quelli con cui abbiamo già lavorato in passato, come Joséphine de Meaux e Omar Sy. Già dalla prima lettura del copione si è creato un flusso comunicativo fra tutti che si è poi rafforzato durante le riprese».
ET: «Cerchiamo di dedicare la stessa attenzione a ciascuno degli attori. Alcuni di loro hanno preso parte a quasi tutti i nostri film, anche i corti. Come nel caso di Lise Lamétrie, o Catherine Hosmalin (che balla un lento languido con Vincet Elbaz nel bel mezzo della cucina), Jean Benguingui o ancora Lionel Abelanski…».
Come vi gestite nel lavoro di tutti i giorni?
ON: «Non ci dividiamo i compiti, andiamo dritti al bersaglio insieme. Mentre uno dei due parla con François-Xavier Demaison, l’altro nel contempo si occupa di Audrey Dana. Se uno dei due verifica le luci col direttore della fotografia, l’altro parla col costumista. Non so come facciano ad arrivare a meta i registi che lavorano individualmente e non comunicano, soprattutto data la mole di lavoro da sbrigare tutti i giorni».
ET: «Essere due registi che lavorano insieme ci permette di avere il doppio delle idee, di energie, non restiamo mai senza. Abbiamo trovato questo equilibrio che manteniamo da 15 anni. La sola cosa che non dividiamo sono i soldi, Olivier non ne prende! Per questo lavora come cabarettista in un locale di Pigalle».
ON: «Sì infatti ora devo andare (scherza), mi aspetta un’altra nottata di latex e marmellata».
Le riprese di “Troppo amici” sono state più tranquille rispetto ai film precedenti?
ON: «Certamente. In “Je Préfère qu’on reste amis” abbiamo “scoperto” il lungometraggio con gioia, sicuramente, ma è stato anche stressante. In “Those Happy Days”, gestire 24 ragazzi non è stata propriamente una passeggiata. Stavolta c’erano tutte le condizioni necessarie per lavorare con tranquillità».
I vostri familiari avevano paura che poteste rivelare al mondo qualche loro piccolo segreto… dite la verità, lo avete fatto?
ET: «Mia suocera, che per adesso non ha ancora visto il film, ha detto che trova interessante essere una fonte di ispirazione. Ma del resto abbiamo mischiato talmente le carte…».
ON: «Confidiamo nel loro senso dell’umorismo, del resto abbiamo talmente esasperato le cose…».
ET: «Per quanto, qualcuno dei nostri veri parenti appare sullo schermo, ed è proprio a loro che abbiamo dedicato il film».
ON: «E’ il nostro modo, un po’ sghembo e dissacrante, di dimostrare loro quanto siano importanti».
Prossimi progetti?
ON: «C’è sempre la storia di questa donna e del suo toast a colazione… ci stiamo lavorando».
LA FILMOGRAFIA DI ERIC TOLEDANO E OLIVIER NAKACHE
2011 Quasi Amici (Intouchables)
2009 Troppo amici (Tellement Proches)
2006 Those Happy Days (Nos Jours Heureux)
2005 Je Préfère Qu’on Rest Amis
2002 Ces Jours Heureux (cortometraggio)
1999 Le oetits souliers (cortometraggio)
1995 Le jour et la nuit (cortometraggio)
VINCENT ELBAZ (ALAIN)
Carta d’identità
Nome: Alain
Soprannome al Club Med: Pipo
Situazione familiare: sposato con Nathalie. Due figli: Lucien e Prosper
Professione: disoccupato. E non fa nulla per trovare un lavoro
Manie: quando si annoia, racconta a Nathalie la storia dell’architetto che ha costruito Choux de Creteil e che si è suicidato dopo aver visto il risultato
Abitudini: mettere le vecchie magliette del Club Med. O “sfilare” davanti alle baby sitter in smoking ormai troppo stretti
Il suo segreto: mangiare madeleine e altri dolci di nascosto dalla moglie. E chi se ne importa della dieta!
Non sopporta più: vedere l’attaccamento morboso che hanno sua moglie e la sua famiglia, «come le cozze a uno scoglio» e dover andare tutti i sabati a cena a Creteil a casa del cognato Jean-Pierre.
Alain secondo Vincent Elbaz
«Alain è insoddisfatto, non ha realizzato gli obiettivi che si era prefissato a 20 anni. Dopo aver lasciato il Club Med, dov’era capo animatore, ha perso il suo status di “prima ballerina” e non è riuscito ad adattarsi a una vita normale: trovare un lavoro, occuparsi dei figli… Sua moglie Nathalie lo spinge a prendere delle decisioni importanti, perché lo ama, e non fa che ripetergli le stesse cose, ma lui non la ascolta. E’ un ragazzino di 35 anni con la sindrome di Peter Pan, che si sente incompleto, sull’orlo della depressione. La scena in cui balla un lento dentro una cucina con una madre di famiglia, e in cui sbotta a piangere sulla sua spalla, la dice lunga sulla sua fragilità. Alain è toccante, perché è un personaggio allo stesso tempo comico ed emozionante».
Vincent Elbaz e la preparazione del personaggio di Alain
«Mi sono lasciato guidare da Eric e Olivier, gli ho dato carta bianca. Sul set abbiamo lavorato sulla voce, sull’intonazione… A loro piace spingere gli attori all’improvvisazione, parlando con loro durante le riprese, dando degli input inattesi. E’ un metodo stimolante, che richiede disponibilità e concentrazione costanti».
Vincent Elbaz e la famiglia
«E’ come tutte le altre, con i suoi conflitti, nevrosi e problemi. Però a me piace stare coi miei familiari, tra cui mia sorella e mio fratello, raccontar loro quello che faccio, presentargli i miei amici, scambiare opinioni su un film o un libro. Nelle famiglie le generazioni finiscono col mischiarsi, non c’è più distinguo fra giovani e anziani, ed è uno degli aspetti che mi piace di più».
Vincent Elbaz secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Era tanto tempo che speravamo di lavorare con lui, dopo averlo visto in “Le Péril Jeune”. Gli avevamo anche proposto un ruolo per un cortometraggio che poi non è stato realizzato. Per interpretare Alain, Vincent si è totalmente abbandonato a noi. Non ha razionalizzato questa avventura, si è semplicemente lasciato andare. E’ un bell’uomo, adulto, carismatico, ma che conserva un lato adolescenziale nel fisico e nel viso. Soprattutto quando sorride. Prima di interpretare Alain non aveva mai mostrato la sua vulnerabilità così apertamente, ed è questo che ci è piaciuto di più».
ISABELLE CARRE’ (NATHALIE)
Carta d’identità
Nome: Nathalie
Situazione familiare: sposata con Alain. Due figli, Lucien e Prosper
Professione: dirige un supermarket
Manie: vive in simbiosi coi fratelli Jean-Pierre e Roxane, «come le cozze su uno scoglio»
Il suo segreto: spilla soldi dalle casse del supermercato per aiutare il fratello Jean-Pierre
Non digerisce: il primo regalo ricevuto dal suocero, un profumo chiamato Poison
Non sopporta: che suo marito si comporti come un amico con i figli, e non come un padre, tanto da spingerla ad affidarsi a un consulente familiare
Nathalie secondo Isabelle Carré
«Eric e Olivier dicono che Nathalie incarna la normalità in una famiglia totalmente disfunzionale. Effettivamente dà l’impressione di una persona equilibrata, ma i momenti di nervosismo e le liti col marito riguardo i figli lasciano intendere che la bomba sta per scoppiare. Man mano che il film va avanti, questa immagine di donna equilibrata e “quadrata” si va perdendo, lasciando il posto a una persona più morbida di quanto non sembri. Il suo appartamento a un certo punto si trasforma in una specie di comune, piena di pakistani ai quali dà rifugio. Nathalie subisce un processo di addolcimento durante la storia, diventa un po’ la mamma di tutti, e siccome ero incinta durante le riprese, è stato un po’ come uno stage intensivo».
Isabelle Carré e la preparazione del personaggio di Nathalie
«Prima di allora avevo girato una sola commedia, “Quatre Etoiles”, di Christian Vincent. E’ un genere che conosco poco ma che mi affascina. Prima di iniziare le riprese, ho guardato tantissime commedie, come “Joyeuses Funérailles”, “Sans Sarah Rien ne Va!”, e quelle dei fratelli Farrelly. Mi hanno aiutato a trovare l’intonazione giusta, l’energia positiva, e anche a sfornare nuove idee da portare sul set. Eric e Olivier sono molto attenti alle proposte degli attori. Per esempio ho suggerito io l’idea della danza indiana. Per quella scena, tutta la troupe si è messa a ballare».
Isabelle Carré e la famiglia
«Non ci vediamo regolarmente. Andiamo d’accordo, certo, ho bisogno di vederli sistematicamente ma capita di non sentirci anche per tre settimane di seguito. Sono molto autonoma, forse anche perché ho lasciato la mia famiglia piuttosto presto. Ci sono molte altre persone che mi sono vicine e che considero la mia famiglia, come il mio agente Laurent Grégoire, che è con me da 15 anni, che mi guida e mi consiglia. Con lui ho un legame forte e privilegiato».
Isabelle Carré secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Isabelle viene dal teatro, è abituata ai film d’autore, pensavamo che non avrebbe mai accettato questo ruolo. Ma abbiamo deciso di mandarle lo stesso il copione, e con nostra sorpresa e piacere ha accettato subito. Le abbiamo insegnato come funziona il nostro universo, e lei ci si è trovata subito. Sul set è di una gentilezza estrema, oltre a essere molto preparata e “diligente”. Ci ha impressionato per la sua grande professionalità».
FRANÇOIS-XAVIER DEMAISON (JEAN-PIERRE)
Carta d’identità
Nome: Jean-Pierre
Situazione familiare: sposato con Catherine. Due figlie, Gaëlle e Juliette
Professione: avvocato
Manie: pretende di dare lezioni di vita a tutti, soprattutto a chi non glielo ha chiesto
Il suo segreto: smercia tostapane insieme a un vecchio cliente, Patrice
Tasso alcolemico: troppo alto. Soprattutto dopo aver bevuto troppi bicchieri di un liquore pakistano che gli ha portato Farath
Motivo d’orgoglio: i disegni della figlia di sei anni e mezzo che ha incorniciato e appeso al muro in corridoio
Non sopporta: che la moglie, Catherine-Marie Poitevin, all’improvviso decida di farsi chiamare Rebecca. E che sua suocera Colette abbia una passione smodata per i suoi slip
Jean-Pierre secondo François-Xavier Demaison
«Jean-Pierre vorrebbe somigliare a Robert Badinter, ma non è che la cosa gli riesca troppo bene. Dà l’idea di un avvocato di successo, ma non è che un avvocato d’ufficio che si occupa di cause lampo. Fa credere a tutti di essere pieno di soldi, ma ha bisogno dell’aiuto di sua sorella per arrivare a fine mese. La sua vita è un castello di carte che sta per crollare, anche in casa, dove la moglie è presa dalla conversione all’ebraismo e i suoceri fanno il bello e il cattivo tempo. Ma più la sua vita va in pezzi, più lui diventa vero, emozionante. I personaggi che crescono e si evolvono durante un film, e soprattutto prendono coscienza dei loro errori, sono quelli che preferisco».
François-Xavier Demaison e la preparazione del ruolo di Jean-Pierre
«Ho preso 20 chili e visto un sacco di film… No, seriamente, ho provato a ispirarmi a persone già incontrate o esperienze già vissute che potessero avvicinarmi a Jean-Pierre. Ho lavorato anche molto con Eric e Olivier, oltre che con il resto del cast. “Troppo amici” è un film corale, è stato come suonare uno strumento in una grande orchestra. Credo sia stato fondamentale lavorare in squadra».
François-Xavier Demaison e la famiglia
«Spesso denigriamo la famiglia, pensiamo che sia noiosa. Anche a me è capitato di vivere una vigilia di Natale totalmente disastrosa. Ciononostante, prendo sempre parte alle riunioni familiari, e organizzo spesso cene a casa mia. Cerco di prendere il meglio della mia famiglia, che spesso non sopporto ma alla quale alla fine perdono tutto perché la amo. Forse dipende dal fatto che ho avuto due figli, mi ha fatto capire meglio il concetto di famiglia. Ci stringiamo gli uni gli altri, ci proteggiamo a vicenda. E’ fondamentale».
François-Xavier Demaison secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Ci conosciamo da tantissimo tempo, abbiamo visto tutti i suoi spettacoli al Theatre du Gymnase. Gli abbiamo dato subito un piccolo ruolo in “Je préfère qu’on rest amis”, che sfortunatamente è stato tagliato in fase di montaggio. Ci piace molto il suo stile, il suo senso dell’umorismo. François-Xavier è un uomo dalle 1000 sfaccettature, ha un talento che lo rende del tutto particolare. Non esiste un altro attore come lui nel cinema francese, per noi è una via di mezzo fra Philip Seymour Hoffman e Jim Carrey».
AUDREY DANA (CATHERINE)
Carta d’identità
Nome: Catherine
Situazione familiare: sposata con Jean-Pierre. Due figlie, Gaëlle e Juliette
Professione: madre di famiglia
Manie: pretende che chiunque entri in casa sua si tolga le scarpe e le lasci all’ingresso
Abitudini: indossa spesso dei lunghi chemisier bordeaux che si intonano con la tinta delle pareti
Religione: ebraica. O almeno è quello che vuol far credere a Monsieur Kadoche, attaccando mezuzah a rotta di collo sui muri di casa o organizzando corsi di talmud in salotto
Il suo orgoglio: che sua figlia canti “Clip Clap Clip Clap” in tedesco davanti agli invitati
Non sopporta: il disordine, il baccano, e soprattutto suo nipote Lucien
Catherine secondo Audrey Dana
«Catherine vive in un mondo tutto suo. Si sente una borghese solo perché vive a Choux de Créteil. A volte si cala così a fondo nel suo ruolo di donna medio-borghese che si convince realmente di essere il punto di forza della sua famiglia. Catherine è anche una casalinga che ha iscritto i suoi figli a una scuola ebraica perché convinta che possa dare loro più chance di successo nella vita. Allora si dedica anima e corpo alla sua nuova religione, inizialmente per posa, ma poi in realtà per trovare se stessa. Perché in fondo Catherine è un’anima in pena che cerca disperatamente di dare un senso alla sua esistenza».
Audrey Dana e la preparazione del ruolo di Catherine
«Credo che Catherine sia totalmente senza cervello, e quindi mi è stato difficile trovare delle cose in comune con lei, come spesso mi accade quando preparo un ruolo. Ho dovuto subire una lobotomia per entrare nella parte (ride). E’ stato il mio coach che mi ha suggerito la via giusta: mi ha invitato a “mettermi da parte” per lasciare spazio a questa donna così frivola. Invece di lavorare sulla costruzione del personaggio, mi sono prima concentrata sui dialoghi, per potermi sentire libera una volta sul set di esprimermi spontaneamente».
Audrey Dana e la famiglia
«Ho sei tra fratelli e sorelle e sono molto legata a loro. Non lasciamo passare più di una settimana senza sentirci, soprattutto con la mia sorellina Anne-Judith. Ha solo 18 anni, ma è molto matura. Quando devo prendere delle decisioni importanti sono loro i miei consiglieri, li considero i miei migliori amici. Essere adulti significa un po’ raccontare la storia dei propri genitori. E in un certo senso liberarsene. I nostri figli faranno lo stesso con noi. Mi sento appartenente a due famiglie: quella di origine, e quella che ho costruito col mio compagno e i miei due figli. Che sono la cosa più importante per me».
Audrey Dana secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Audrey è una commediante nata, capace di entrare a fondo nel personaggio. L’abbiamo scoperta grazie a “Roman de Gare”, di Claude Lelouch. Non abbiamo visto il film insieme, ma il risultato è stato lo stesso, ci ha colpiti. E’ spontanea, dice le cose come le vengono. Un po’ come Catherine, ma credo sia il loro unico punto in comune».
OMAR SY (BRUNO)
Carta d’identità
Nome: Bruno
Situazione familiare: fidanzato con Roxane. Be’, dipende dai giorni
Professione: medico praticante
Manie: ha la rara capacità di esasperare Roxane, soprattutto di notte, quando lei è alla guida di ritorno da una cena
Abitudini: nei giorni di pioggia mette un impermeabile e tira su il cappuccio in maniera molto sexy. Non stupisce che Roxane si sia innamorata di lui
Sex appeal: a sua insaputa, Jean-Pierre gli ha dato un 13/20, Catherine 15… non male!
Difetti: vuole prima finire il suo internato di quattro anni e poi avere dei figli
Non sopporta più: che tutti lo scambino per un badante, un infermiere, un portiere o un venditore ambulante
Bruno secondo Omar Sy
«E’ un ragazzo gentile. Talmente gentile che accompagna Roxane a questa cena a casa di Jean-Pierre anche se si conoscono da un’ora. Si lascerà mettere in mezzo da una famiglia alla quale finirà con l’affezionarsi.
L’altra caratteristica di Bruno è che sta facendo il praticantato in medicina. E che è di colore. Tutti quanti, anche la famiglia in questione, lo scambiano continuamente per un portiere o un ambulante, mai per un medico. Per scrivere le loro storie, gli sceneggiatori si ispirano a quello che vedono o a storie realmente accadute. So per esempio che è stata la sorella di Eric, primario in una clinica, a dargli l’idea per la storia di Bruno.
Comunque, per finire, Bruno è molto gentile… ma anche la sua pazienza ha un limite».
Omar Sy e la preparazione del ruolo di Bruno
«Recitare in una commedia era una cosa tutta nuova per me. Allora mi sono inventato un metodo di lavoro, prima ancora di iniziare le riprese mi sono messo a riflettere su Bruno. Ho provato, senza nemmeno parlare con Eric e Olivier, a immaginare il suo percorso di vita dalla nascita a oggi. Mi sono detto che ha sempre faticato moltissimo per riuscire nei suoi scopi, che nessuno intorno a lui si è mai reso conto del suo talento e dell’impegno che ha messo nelle sue cose. Conoscerlo così profondamente, anche se si è trattato in fondo di una estrapolazione personale, mi ha permesso di sentirmi più a mio agio, di liberarmi da ogni preconcetto per poter improvvisare una volta in scena».
Omar Sy e la famiglia
«Non parlo più con nessuno da anni… Ma no scherzo! Per me la famiglia è alla base di tutto, un vero rifugio. Non mi pongo il problema dell’importanza, nel senso che per noi funziona che ci vediamo regolarmente perché ne abbiamo bisogno. Mi piace quando stiamo tutti insieme e parliamo e ci confrontiamo e facciamo rumore. E’ rassicurante. E siccome ho otto tra fratelli e sorelle, vi posso assicurare che di gente e di rumore ce ne sono in quantità nelle nostre riunioni familiari».
Omar Sy secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Abbiamo voluto dare a Omar un ruolo diverso da quello dell’animatore simpatico e gioviale che aveva in “Those Happy Days”. In “Troppo amici” ci mostra una nuova sfaccettatura del suo talento, soprattutto perché è costretto a uscire dai suoi schemi. In questo film dà dimostrazione di non essere solo il re della comicità ma anche un attore vero. Ha una classe innata, quando lo vedi camminare vestito Armani lungo l’autostrada ti fa pensare a uno dei grandi attori americani del passato».
JOSEPHINE DE MEAUX (ROXANE)
Carta d’identità
Nome: Roxane
Situazione familiare: fidanzata con Bruno. Be’, dipende dai giorni!
Professione: responsabile in un supermercato
Manie: abbandonare il fidanzato sul ciglio dell’autostrada, di notte, quando lui si permette di contraddirla
Ossessione: vuole talmente tanto un figlio che ne prenderà a prestito uno per qualche secondo da una madre decisamente irritata dal suo gesto
Alimentazione: interi vasetti di miele d’acacia che le ha regalato Bruno e che mangia a cucchiaiate ingozzandosi nei momenti di depressione
Cosa la stupisce: che Bruno abbia ottenuto un 13/20 da Jean-Pierre
Non sopporta: che i trasportatori parcheggino ovunque vogliano, che Bruno abbia a che fare con la sua famiglia, le manie giudaico religiose di sua cognata, e svariate altre cose
Roxane secondo Joséphine de Meaux
«Sarebbe riduttivo descrivere Roxane come una persona nevrotica e leggermente isterica, tutta presa dal suo orologio biologico. Se ha i nervi a fior di pelle, è perché non riesce a trovare una sua collocazione né in famiglia né nella vita di tutti i giorni. Per Roxane, la famiglia è il modello da seguire, il suo punto di riferimento. Suo fratello e sua sorella si sono sposati e hanno due figli ciascuno, mentre Roxane non è ancora riuscita a costruire niente di solido. Si sente in difetto rispetto ai fratelli e questo la disturba molto. Il colpo di fulmine con Bruno la porta a sperare che le cose finalmente inizino a girare per il verso giusto. Il problema è che non hanno le stesse priorità, e lei reagisce a questo stato di cose in maniera incomprensibile e poco logica. Per fortuna, Bruno fa parte della schiera delle persone pazienti…».
Joséphine de Meaux e la preparazione del ruolo di Roxane
«I registi mi hanno chiesto di essere il più possibile semplice e istintiva, anche se a volte le situazioni sono tirate all’estremo. Per tutta la durata delle riprese, ho cercato di esprimere delle emozioni profonde in maniera molto realistica e veritiera. Aver già lavorato con Eric e Olivier in “Those Happy Days” mi ha dato la possibilità di essere rilassata e lavorare al meglio. Con loro non si rischia di sentirsi dire cose non vere, se non gli va bene qualcosa lo dicono, senza mezzi termini».
Joséphine de Meaux e la sua famiglia
«Provengo da una famiglia molto unita, anche se non siamo molto espansivi… ma ci vogliamo tutti molto bene. Un ricordo in particolare? Un pranzo in giardino, ero adolescente, i miei genitori hanno iniziato a urlare e mia madre a buttare i piatti pieni di verdura sull’erba. Per noi non era una cosa grave, piuttosto era strana… Vedo molto spesso i miei genitori, i miei due fratelli e mia sorella. Non conosco conforto più dolce in caso di bisogno. E poi, con loro non sono obbligata a parlare!».
Joséphine de Meaux secondo Eric Toledano e Olivier Nakache
«Joséphine è stata una tale iniezione di buonumore in “Those Happy Days” che abbiamo scritto il ruolo di Roxane pensando proprio a lei. Ha un grande talento ed è incredibilmente particolare. Siamo fieri di averla scoperta, vogliamo continuare a seguire i suoi successi e inventare nuove cose insieme a lei. Le siamo veramente affezionati…».
Pingback: Dopo quasi amici dall’8 novembre 2012 TROPPO AMICI – FOTO | cinemotore BLOG di cinem"A"
Pingback: I FILM CHE VEDREMO NEL 2012/2013 – LISTA IN CONTINUO AGGIORNAMENTO | cinemotore BLOG di cinem"A"