Tutti i santi giorni La storia raccontata dal regista e interviste

La storia raccontata dal regista

“In un minuscolo appartamento con giardinetto nella periferia romana, vivono Guido e Antonia, una giovane coppia dai caratteri opposti. Tanto lui è mite, paziente e coltissimo, quanto lei è irrequieta, permalosa e spavaldamente ignorante.

 

 

 

Anche le loro giornate sono al contrario: Guido lavora come portiere di notte in un hotel, senza recriminazioni nonostante un importante curriculum di studi classici, anzi con il piacere di dedicarsi, nelle lunghe ore inoperose dietro il bancone di una reception, alla lettura dei suoi amati testi inattuali. Lei è impiegata di giorno in autonoleggio e scrive struggenti canzoni in inglese che a volte la sera canta in qualche locale, nel disinteresse generale degli avventori. Guido è il suo unico devotissimo fan, per starle vicino ha rinunciato, senza rimpianti, ad una carriera accademica internazionale. Lei, che è riottosa e musona, sembra non volergli regalare neanche un briciolo di soddisfazione, ma non può fare a meno di lui.

 

Insomma, due esseri che presi ciascuno per conto suo potrebbero anche sembrare due fragili disadattati, ma che insieme danno vita ad un incastro potente e inconsueto, nel gelo e nella ferocia del mondo intorno.

 

Manca solo un figlio, che entrambi vorrebbero ma che chissà perché non vuole arrivare.

 

Il film racconta la cronaca della speranza di Guido e di Antonia di diventare genitori.

 

E di come questo loro amore ad un certo punto sia anche messo a dura prova dagli ostacoli incontrati nel tentativo di coronare questo loro sogno ostinato.

 

Si tratta ancora una volta, credo, di una commedia, romantica, in equilibrio tra ironia e tenerezza, con un cast dal sapore veristico, ambientata nel fascino inquietante della Roma di oggi, e con una vicenda ispirata a qualcosa di autentico e penoso, ma che abbiamo cercato di raccontare con la grazia e la semplicità di una moderna fiaba.”

 

Paolo Virzì

 

 

Interviste

Intervista a Paolo Virzì (regista e sceneggiatore)

Com‟è nata l‟idea di

TUTTI I SANTI GIORNI?

Mi interessa mettere il naso nelle vite degli altri, per non stare sempre a studiarsi l’ombelico, ma soprattutto perché rappresentano il giacimento più ricco di storie per il cinema. In questo caso lo spunto sono state alcune pagine del bel libro

 

La generazione che ha scritto il mio amico Simone Lenzi lasciandosi ispirare, credo, da qualcosa di autentico, capitato a lui e alla sua sposa. Una sorta di intenso monologo interiore di un aspirante padre, nel quale mi è sembrato subito di sentire vita vera e poesia, ironia ed uno struggimento delicato e senza piagnistei. Ho quindi chiamato Simone, innanzitutto per incoraggiarlo a pubblicare quel suo testo – cosa che poi ha fatto suscitando, mi pare, un generale apprezzamento – ma soprattutto a scrivere con Francesco Bruni e con me un copione per un film ispirato più che a quella storia, direi a quel sentimento. Perché la vicenda, cambiando l’ambientazione e la biografia dei personaggi, è diventata subito qualcosa di diverso. Mi sembrava di poter immaginare, dietro quei tentativi infruttuosi di procreare ricorrendo all’aiuto della medicina moderna, due persone alle prese con un’autentica e toccante storia d’amore. Siamo approdati dunque nel concepire il film a questa specie di moderna commedia romantica, forse potremmo definirla così, dove si racconta la storia d’amore tra Guido ed Antonia. Due esseri che presi ciascuno per conto suo, potrebbero anche sembrare due fragili disadattati, ma che insieme danno vita ad un incastro potente, che le complicazioni di una quotidianità vissuta con orari al contrario non scalfisce, ma che infine vacilla di fronte al dolore di non riuscire a procreare.

Chi sono Guido e Antonia? Ci può dire qualcosa di più dei loro personaggi?

Lui proviene da una famiglia toscana di intellettuali e studiosi. Apprendiamo dal fratello Duccio che Guido sarebbe un fenomenale conoscitore di cultura tardo latina, il più grande esperto mondiale di santi e martiri protocristiani. Ma lavora senza recriminazioni come portiere di notte in un hotel dalle parti del Vaticano, persino con il piacere di gustarsi il silenzio e la calma di quelle notti, durante le quali ne approfitta per immergersi nelle sue letture classiche.

Antonia è una giovane donna dal passato scombinato di musicista punk, fuggita precocemente e rabbiosamente dal suo paesino siciliano e dalla sua famiglia d’origine, che ogni mattina si precipita in motorino verso il futuristico terminal ferroviario di Roma Tiburtina, dove è impiegata dietro al desk di un autonoleggio. E che a volte la sera canta le sue canzoni nei bar, nel totale disinteresse degli avventori. Il suo unico devoto fan è Guido, che si è innamorato di quella ragazzaccia una sera di sei anni prima proprio sentendola cantare e da allora è uscito dal bozzolo della sua solitudine di studioso di cose anacronistiche, per diventarne una specie di appassionato e paziente angelo custode.

E il tono del film, anche questa volta, è quello di una commedia?

Certo, credo si tratti di una commedia. Ho cercato di far marciare la storia di queste due persone in equilibrio tra tenerezza e ironia. Ma mentre giravamo il film, pensavamo soprattutto a conferirgli la semplicità e la grazia di una fiaba. Una fiaba ambientata nelle paure e nelle inquietudini di questa nostra contemporaneità, con un cast dall’impronta fortemente veristica ed una storia ispirata da qualcosa di autentico ma che potesse essere raccontata anche con un certo tocco incantato:

 

c’era una volta una giovane coppia che abitava in una casetta al pianterreno di un quartiere di periferia chiamato Acilia. Nonostante orari diversi e caratteri opposti e nonostante l’affanno e la ferocia del mondo intorno quei due si amavano di un amore purissimo, facevano l’amore con passione tutti i giorni e sognavano di avere un figlio. Ma lei non rimaneva incinta e col

passare del tempo quel desiderio diventava un pensiero fisso, specie per Antonia, che temeva di avere in sé qualcosa di sbagliato…

E così via.

Come ha lavorato alla ricerca e alla scelta dei due interpreti principali Luca Marinelli e Thony?

Avevamo in mente per questo film soprattutto volti nuovi e vergini, volevamo cercare di mettere in scena una sensazione di autenticità, quasi per dare ad intendere che stavamo filmando una storia realmente accaduta a quelle persone. Il primo tassello del puzzle è stata proprio lei: Antonia. Cercavamo soprattutto una cantante, che possibilmente non fosse ancora nota. Avevamo in mente che fosse una provinciale del Sud, una che a Roma non ha radici. Navigando sul web ci siamo imbattuti nella pagina MySpace di questa misteriosa songwriter siculo-polacca col nome d’arte di un elettrodomestico, Thony, e ci hanno colpito subito le sue canzoni e l’intensità con cui le cantava. Abbiamo un po’ indagato, cercando di capire chi fosse e dove diavolo fosse. Abbiamo scoperto che abitava a Roma nella borgata Ottavia, in una specie di dimora

 

bohemien, col fidanzato romano, musicista anche lui. E finalmente abbiamo incontrato Federica, alla quale sembrava non importasse un bel nulla di essere chiamata a far l’attrice in un film. E forse a noi è piaciuta subito proprio per questo. Fin dai primi provini si è rivelata sveglia, acuta, espressiva, vera e soprattutto dotata di una specie di sfrontata nonchalance: ci guardava come dei matti che le stavano facendo perdere tempo e così forse ha continuato a guardarci per tutto il tempo delle riprese. Per Guido abbiamo provinato molti non-attori, andando a rompere le scatole a certi miei amici giovani registi, sceneggiatori o musicisti. Poi ci siamo imbattuti in Luca Marinelli, pupillo a teatro del grande Carlo Cecchi, con due belle esperienze cinematografiche già al suo attivo. Incontrandolo, quella sua aria schiva da martire protocristiano, quella sua mitezza impreziosita da ironia e mistero ci hanno subito conquistato. E al provino ha rivelato grande classe e sottigliezza. Sono certo che Luca sia destinato a diventare uno dei talenti principali del prossimo cinema italiano. E siccome in quei due film ai quali ha finora preso parte è riuscito ingegnosamente a camuffarsi, a nascondersi (ne LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI nei doppi panni di un giovinetto esangue e, contemporaneamente, di un adulto sovrappeso borderline, ne L’ULTIMO TERRESTRE addirittura in quelli iperfemminili di un trans), il suo volto e la sua figura nel cinema hanno in fondo ancora quella verginità che cercavamo. Quel dono che un attore può portare in dote ad un film soltanto una volta, la sua prima volta.

Cosa può dire invece per quanto riguarda gli interpreti degli altri ruoli e dei loro personaggi?

Abbiamo cercato dove possibile di seguire il medesimo principio: conferire, specie nel contesto intorno a Guido e ad Antonia, una sensazione di verità non fittizia. Così abbiamo mescolato attori e attrici ancora sconosciuti a persone che nella vita hanno altre professioni e che sono finite per la prima volta sullo schermo. Dall’ostetrica Mimma Pirrè, che appunto nel curriculum non aveva cinema né teatro ma più di diecimila bambini che ha aiutato a nascere – tra i quali mio figlio Jacopo – che si è trovata ad interpretare la madre siciliana di Antonia dopo un folgorante provino, a Micol Azzurro (per il ruolo della vicina di casa Patrizia), giovane attrice che non avevo mai visto, molto dotata, spiritosa e scaltra, che avendo inteso che privilegiavamo i non attori credo al provino ci abbia un po’ imbrogliato, facendoci intendere di essere un’estetista di Ostia. Dal muscoloso e simpaticissimo Claudio Pallitto, visto per caso in un reality trash in tivù, che ha interpretato quel disastro umano che è il vicino di casa Marcello, ai genitori di Guido: Benedetta Barzini, mitica top model negli anni Sessanta, per la prima volta sullo schermo come attrice, e Fabio Gismondi, venditore di mobili orientali antichi, anche lui per la prima volta chiamato a far l’attore. E poi i due ginecologi: il meraviglioso Franco Gargia, attore napoletano di teatro che non avevo mai visto in nessun film e la veneta Stefania Felicioli, briosa attrice teatrale, anche lei per la prima volta al cinema. Infine per Jimmy, il batterista ex-fiamma di Antonia, ho chiesto a Giovanni La Pàrola, regista di film, videoclip e documentari, di farsi coraggio e di provare a proporsi come attore comico, cosa che poi ha fatto secondo me con risultati notevoli. Giovanni ci ha fatto anche la cortesia di portare sul set la sua intelligentissima canina che è stata una degli interpreti che mi ha dato più soddisfazione. C’è qualche eccezione nei piccoli e piccolissimi ruoli: attori con i quali avevo già avuto occasione di lavorare come Regina Orioli – debuttò in Ovosodo – qui chiamata a fare una specie di breve scherzoso spin-off di quel suo personaggio di ormai quindici anni fa finito in un

 

ashram ayurvedico. E Frank

Crudele, interprete del ruolo del padre di Antonia, che conobbi a Toronto sul set di

 

MY NAME IS TANINO, oltre ad una brevissima apparizione di Lele Vannoli nei panni di un valletto dell’Hotel: più che un attore, un amuleto…

Intervista a Luca Marinelli (Guido)

Come è stato coinvolto in questo film?

Paolo Virzì mi aveva visto recitare ne

 

LA SOLITUDINE DEI NUMERI primi di Saverio Costanzo e nel film di Gipi L’ULTIMO TERRESTRE, sapeva che stavo lavorando a teatro, si è interessato a me e mi ha cercato per un primo incontro. In seguito mi ha dato alcune scene da imparare per un provino da sostenere con la protagonista femminile, Thony, e per fortuna per quello che mi riguarda tutto è andato bene fin da subito, sono sempre stato a mio agio sia prima sia durante le riprese.

Che cosa pensa di Virzì, come si è trovato con lui professionalmente ed umanamente?

Mi sono fidato di lui fin dal primo momento, ad esempio all’inizio ero preoccupato di non risultare abbastanza credibile quando in scena avrei dovuto parlare in toscano, ma Paolo mi ha tranquillizzato dicendomi che strada facendo avrebbe pensato lui a guidarmi per le inflessioni, gli accenti e tutto il resto, e così è stato. Durante le prove e sul set di questa commedia su una storia d’amore mi ha fatto sentire molto libero e tranquillo, è riuscito sempre a darmi una grande energia e il senso di come qualcosa poteva essere realizzato al meglio, mi ha tolto qualsiasi diaframma di imbarazzo mostrandomi come recitare una scena nei dettagli e quando poi ci ritrovavamo a girarla tutto risultava molto bello e molto ricco. Da spettatore lo stimavo moltissimo, ma poi recitando con lui ho avuto la conferma che è un regista speciale, ho vissuto una sorta di continua ed eccitata sorpresa, mi sentivo dentro un nuovo mondo, catapultato all’interno dell’universo Virzì, della sua realtà che è fatta di molti aspetti, di una storia pregna di quotidiano ma che in qualche modo si eleva di tono, perché lui riesce a raccontare la vita di tutti i giorni innalzandola naturalmente ad un altro livello e facendola diventare qualcosa di universale per tutti.

Ha qualche ricordo particolare del set?

E’ raro recitare in un film vivendo un’esperienza così piena. In pratica ero in scena dall’inizio alla fine, sono restato a casa soltanto un paio di giorni ma avevo voglia di andare al lavoro comunque, perché mi mancavano le persone, i compagni di avventura, l’impulso creativo comune. Virzì è sempre in grado di creare un’atmosfera bellissima, si rapporta alla pari e coinvolge da vicino qualsiasi persona partecipi al suo film anche solo per pochi secondi, chiamando tutti per nome perché chiunque si senta partecipe e motivato nel clima che lui riesce ad instaurare. Per dare l’esempio e la carica anche a chi lavora dietro le quinte si mostra sempre tranquillo e sicuro, non è quasi mai arrabbiato o contrariato, cerca sempre di evitare ogni tensione e di risolvere positivamente qualsiasi eventuale problema.

Che cosa succede al suo personaggio, che tipo di approccio ha avuto nel costruirlo, quanto lo ha sentito vicino?

Il Guido che interpreto è un concentrato di momenti spiazzanti, è una persona che al primo impatto non sembra appartenere alla nostra epoca. Capelli lunghi, occhiali tondi, vestiti che nessuno delle persone intorno a lui indossa, tipo cappotti del nonno, ha una gentilezza di altri tempi, è appassionato di letteratura antica, si esprime in maniera inconsueta (la sua Antonia a un certo punto gli dice: «parli come un libro antico»). Emanava una sorta di pace e di serenità che alla fine si sarebbero rivelate per lui vincenti, mi hanno meravigliato la sua pazienza e la sua calma, le ho trovate molto rare, così come lo erano certi atteggiamenti e modi di essere per me inconsueti e lontani: ad esempio Guido ha un rapporto bellissimo e profondo con Antonia e in alcuni momenti anziché esplodere legittimamente per la gelosia reagisce in maniera morbida e spiazzante… Naturalmente se questo personaggio fosse stato interpretato da un altro attore sarebbe risultato diverso, sono convinto che un interprete filtri ogni nuovo carattere attraverso se stesso: in questo caso tutto quello che io facevo per lui era visto attraverso il mio metro, alcune idee su come costruirlo sono state sicuramente mie ma non saprei dire bene

quali, forse una certa sfumatura di imbarazzo, ma mi risulta difficile attribuirmi certe qualità.

 

Che idea si è fatta del rapporto che lega i due protagonisti?

Io e Virzì abbiamo riflettuto su quale dei due protagonisti in realtà riesca a salvare l’altro, non saprei dirlo, direi che si salvano a vicenda grazie all’amore, ognuno cambia la vita all’altro; sono due persone che, consapevolmente o meno, si sostengono dandosi reciprocamente energia e che per l’evolversi della loro storia saranno vincenti insieme: Antonia sente di non meritare né le tante vicissitudini né un’attenzione così costante e pura da parte di Guido e vive una crisi profonda, ma dall’altra parte l’incontro e l’amore incondizionato con una persona solitaria che andava di notte al pub soltanto per sentirla cantare si rivela qualcosa di meraviglioso, lui finisce finalmente col riempirle la vita.

Come si è trovato con Thony?

Tra lei e me è nata una strana alchimia, ci siamo intesi ed amalgamati bene, ma mentre un interprete professionista si prepara ad affrontare una certa scena sapendo bene il percorso da compiere, invece a chi non fa l’attore per mestiere succedono cose inaspettate, a un certo punto possono capitare dei miracoli per cui nel nostro caso durante ogni sequenza succedeva sempre qualcosa in più e Thony poteva contare su una specie di misteriosa creatività superiore, di cui lei stessa era la prima a sorprendersi: è una persona intelligente, coraggiosa e ironica, ma soprattutto essendo una musicista sensibile, abituata al dialogo tra strumenti diversi e a prestare attenzione al ritmo ed alla misura, improvvisava spesso come nel jazz, dando vita ad una dimensione di gioco continuo che rendeva le scene sempre vive. Così ci siamo ritrovati presto piuttosto tranquilli prima di ogni scena, sempre in accordo con Paolo: quando sul set si sente che nessuno ha paura di quello che può accadere è molto bello, è una situazione che ti dà una bella carica.

Intervista a Thony (Antonia)

Come e quando è stata coinvolta in questo film?

Sono arrivata nel 2003 a 21 anni a Roma dove mi sono esibita in vari locali come cantautrice rock e blues prima di auto-produrre un mio disco un paio di anni fa. Non avevo mai pensato né di fare l’attrice né di avvicinarmi al cinema in qualche altro modo; stavo lavorando alle mie canzoni portando avanti il mio progetto di solista, e proprio quando stavo cercando una casa discografica – segno del destino – mi ha telefonato Paolo Virzì chiedendomi se mi avrebbe divertito recitare nel suo nuovo film.

Non so se Paolo sia arrivato a me digitando su Google le parole cantante siciliana o su segnalazione del cantautore e scrittore Simone Lenzi (che mi aveva visto su un portale musicale seguendo il mio profilo MySpace), ma quando ci siamo incontrati è scattata tra noi subito una bella sintonia, confermata in seguito da ben quattro provini: lui aveva già chiaro in mente quale tipo di personaggio stesse cercando, ma ha voluto testarmi facendomi recitare alcune scene accanto ai vari candidati al ruolo del protagonista maschile. A un certo punto è stato sicuro che l’interprete che cercava fossi proprio io e mi ha detto a bruciapelo: «oh, io ti ho preso…».

Come ha affrontato questo impegno così nuovo ed insolito?

Prima di iniziare le riprese ho letto e studiato a lungo il copione insieme a Virzì e a Luca Marinelli, scelto nel frattempo per interpretare la parte di Guido: abbiamo ricevuto indicazioni di recitazione e di intenzioni sulle scene da girare, ma poi siamo stati anche lasciati molto liberi. Non essendo io un’attrice professionista, forse in molte occasioni mi sono limitata a seguire solo il mio istinto, e la cosa ha funzionato, mentre altre volte è stato necessario che Paolo mi guidasse secondo la sua idea del personaggio e le sue dinamiche. Io nella vita non ho un carattere semplice, è molto difficile che riesca fare qualcosa in cui non creda davvero ma questa volta, pur essendo preoccupata di affrontare qualcosa su cui non mi ero preparata, sono stata fortunata perché sono riuscita a vivere dall’interno la storia, immedesimandomi nel personaggio e sintonizzandomi naturalmente con le sue sensazioni. Sul set alcuni miei contributi sono arrivati in modo inaspettato, mi è capitato di scoppiare a piangere spontaneamente anche se nel copione non era previsto..

Che idea si è fatta della Antonia che ha interpretato?

Non ho mai pensato di avere dei figli e all’inizio delle riprese, non avendo mai provato dolore e sofferenza per una mancata maternità, mi sono ritrovata in difficoltà perché non sentivo particolarmente vicino quel pensiero ostinato di Antonia, a differenza di quanto riguardava invece la sua (apparente) aggressività e il suo essere fuori dagli schemi, che appartengono decisamente anche al mio modo d’essere. A un certo punto mi sono accorta che mi trovavo a condividere le sue reazioni e quelle di Guido: il loro non è un rapporto comune, così come non lo è un avvicinamento così totale e completo tra due persone così differenti tra loro. Quando riesci a fidarti completamente di qualcuno, sia pure nella diversità dei caratteri e dei modi di essere, succedono cose magiche, destinate a restare eterne.

Essere una musicista l‟ha aiutata nell‟approccio al suo personaggio?

Mi è servito sicuramente per identificarmi in lei e in certe sue dinamiche: le canzoni del film sono mie e il fatto di doverle interpretarle io ovviamente mi ha aiutato ad immaginare quale impronta avrebbe preso una certa scena. Avevo scritto già prima delle riprese alcuni temi e brani che Virzì poi ha apprezzato ed approvato: Paolo è stato molto attento a farmi entrare nel personaggio progressivamente, e quando abbiamo deciso che sarei stata io ad occuparmi della colonna sonora mi ha dato indicazioni su come immaginava la musica che Antonia avrebbe suonato in scena, focalizzando il contesto da cui lei proveniva.

Mi ha esposto il personaggio in modo chiaro ma anche delicato, senza darmi l’impressione che fosse lontano da me, non ho mai sentito forzature in questo senso, mi sono sempre sentita a mio agio.

In genere sono ipercritica e ossessiva da un punto di vista musicale (e nella vita), mi concentro sulle cose fino a quando non sono convinta al cento per cento, ma questa volta mi sono lanciata e sono molto soddisfatta della colonna sonora, così come inaspettatamente lo sono anche del mio risultato come attrice.

Intervista a Francesco Bruni (sceneggiatore)

Quali analogie e quali differenze ci sono tra la sceneggiatura del film e il libro

La generazione da cui avete preso spunto?

Innanzitutto il vero mestiere dell’autore, Simone Lenzi, il leader del gruppo musicale

 

Virginiana Miller che ha concepito l’idea del romanzo durante le notti in cui per mantenersi lavorava come portiere in un albergo di Pisa: inoltre abbiamo preso dal libro l’idea della coppia che non riesce ad avere figli e che prova in tutte le maniere ad averne per poi reinterpretare il tutto in chiave di commedia romantica, a partire dalle vicissitudini sentimentali della coppia.

Che tipo di collaborazione si è creata in fase di scrittura tra lei, Virzì e Simone Lenzi?

Io e Paolo abbiamo scritto il trattamento creando nuove situazioni ma partendo dalle pagine di Simone, che successivamente ha partecipato attivamente alla sceneggiatura: è venuto a trovarci diverse volte, ha letto, ci ha spedito note pertinenti e ci ha dato molti consigli, in particolare sulla questione medica e sulla procreazione assistita, prendendo spunto dall’esperienza vera da lui vissuta con la sua compagna.

Che idea si è fatta di questa storia?

I protagonisti sono due persone diversissime, molto innamorate: Guido (Marinelli), ragazzo colto e un po’ disadattato che ha combinato poco nella vita, fa felicemente il portiere di notte d’albergo per poter passare le notti in solitudine a leggere libri, e Antonia (Thony) lavora in un autonoleggio alla stazione Tiburtina, con il segreto sogno di fare la cantante. I due abitano in una villetta di periferia oltre il raccordo anulare, in una Roma non da cartolina, scelta per accentuare una situazione di difficoltà e di solitudine. Apparentemente lontani mille miglia tra loro, a causa dei diversi orari di lavoro, si incrociano in casa solo per pochi minuti al giorno, ma si adorano e a un certo punto decidono di coronare il loro amore facendo un bambino. Visto l’amore e la passione fisica che li unisce, i due pensano di poter raggiungere facilmente lo scopo, ma in realtà la cosa è molto meno semplice del previsto: passati i 35 anni mettere al mondo un figlio per la prima volta può essere un problema, tanto è vero che nel lessico scientifico a

partire da quell’età le donne vengono definite

 

primipare attempate (Antonia quando se lo sente dire si offende, perché è piuttosto permalosa…)

Che cosa c‟è di insolito in questo film rispetto al consueto cinema di Virzì ?

Quello che vince credo sia il fortissimo sentimento amoroso di queste due persone sole al mondo. La loro è una bellissima storia d’amore, il che è anche una novità per Paolo che per una volta, pur raccontando i personaggi in maniera affettuosamente divertita, ha rinunciato a certe sfumature più sarcastiche.

 

TUTTI I SANTI GIORNI è un film sentimentale toutcourt. Mi sorprendo ogni volta che Paolo sia capace di cambiare registro così facilmente, e che sia in grado di dar vita ogni volta ad una commedia diversa, è qualcosa che in Italia è davvero poco praticato. Se si eccettua poi TUTTA LA VITA DAVANTI - per cui avevamo preso da un libro di Michela Murgia l’ambientazione in un call center – è la prima volta che in fase di sceneggiatura io e Virzì abbiamo avuto come riferimento di partenza un libro, non prendendone solo l’idea di fondo, ma seguendone la falsariga, appoggiandoci di più alla narrazione e al tono del testo. È curioso e sorprendente poi che Paolo, abituato a lavorare con finanziamenti adeguati e provenendo peraltro da un successo, abbia scelto di girare un film quasi in tono minore: senza star, low-budget, dallo spirito simile a certe produzioni indipendenti stile Sundance Festival.

Che cosa pensa dei due protagonisti e degli altri interpreti?

Luca Marinelli dà vita ad una specie di

 

nerd con gli occhiali molto dolce, che parla toscano, mentre l’esordiente Thony, padre siciliano e madre polacca, una bellissima sorpresa, è stata scelta grazie ad un suo video su Internet in cui suonava in un locale: è stata un’invenzione di Paolo, che l’ha cercata per provinarla e l’ha scelta con grande intuito e coraggio. Poi, approfittando della sovrapposizione tra personaggio vero e quello del film, ha deciso di affidare la colonna sonora e le musiche proprio a lei, alla sua chitarra elettrica ed alla sua voce di gran classe, alla Joni Mitchell. Oltre all’ex-top model Benedetta Barzini, che interpreta la madre di Guido in un piccolo cammeo, ci tengo a segnalare poi la presenza del filmmaker Giovanni La Pàrola, che dà vita alla sorprendente caratterizzazione di un personaggio indimenticabile, un rockettaro malvissuto e piuttosto buffo, ex-fiamma di Antonia, con cui si intuisce un burrascoso trascorso musicale e sentimentale.

Intervista a Simone Lenzi (sceneggiatore ed autore del libro

La Generazione)

Come e quando è nata l‟idea del film e della sua collaborazione alla sceneggiatura?

Avevo mandato a Paolo Virzì

 

La generazione in bozze, siamo amici da venti anni e mi faceva piacere avere un suo parere, senza immaginare che lui potesse essere interessato ad un romanzo che non sembrava proprio scritto per il cinema.

Quando Paolo mi ha telefonato dicendomi: «perché non vieni a trovarmi a Roma, sarebbe interessante tirarci fuori l’idea per un film?» sono stato il primo a sorprendermi.

Che genere di collaborazione si è creata in fase di sceneggiatura con lui e con Francesco Bruni?

Ci siamo confrontati a lungo, ci scambiavamo strada facendo le varie versioni della sceneggiatura, c’è stata una bella creatività comune, mai seriosa, segnata dal piacere della condivisione e dalla consapevolezza che stavamo dando corpo a una storia emotivamente densa. A volte, quando eravamo insieme, telefonavo a mia moglie e le dicevo: «scusa, ora devo tornare a lavorare», ma Paolo e Francesco scoppiavano a ridere… «non gli dar retta – dicevano – siam qui che ci si diverte».

L’atmosfera è sempre stata di questo tipo. Ho avuto insomma la conferma sul campo di come Virzì riesca a coniugare il mestiere con la passione autentica di un artista vero.

Quali cambiamenti sostanziali ci sono stati?

Il film non è una trasposizione del libro, ma è liberamente ispirato ad esso. L’importante era mantenere il nucleo della storia e l’unità emozionale di quella vicenda, ma Paolo ne ha fatto una cosa sua, come era giusto che fosse. Una mera illustrazione sarebbe stata un fallimento, un modo sbagliato di interpretarlo. Un regista forte come lui non può che dare delle interpretazioni forti. Secondo il mio punto di vista questo è il modo migliore di

essere fedele a un libro come il mio, che non è fatto di trama ma di scrittura. In fondo per me è stato la riprova del fatto che quello che avevo scritto parlava davvero a qualcuno: mi fa sempre piacere se le cose che faccio stimolano altre persone, portandole a crearne di nuove. Rispetto al mio romanzo, nel film è più presente il personaggio femminile ed è maggiormente sviluppata la storia personale della coppia. Poi c’è di nuovo la reazione di Antonia al fallimento che ne consegue, da cui derivano nuovi sviluppi della trama, ci sono personaggi inediti che servono allo sviluppo narrativo, come i vicini di casa o l’ex fidanzato musicista cialtrone e sconclusionato. Comunque il tono generale è divertente, ci sono ampi spazi di leggerezza, se non di comicità vera e propria, per lo meno di sorriso e di ironia, e questo ancora una volta riflette il tono della mia scrittura. D’altra parte spesso è proprio con il pudore della leggerezza che si può raccontare efficacemente un dolore autentico.

Qual è stata per lei la sorpresa principale vedendo il film finito?

Mi è piaciuto il fatto che riesca ad offrire una versione inedita di Roma, anche per quanto riguarda la fotografia, con la nuova stazione Tiburtina ultramoderna e il quartiere periferico dove i due protagonisti abitano, tutto questo rende il racconto meno localizzato e un po’ più universale.

 

TUTTI I SANTI GIORNI sembra un film indipendente americano, è poco italiano, mi fa piacere che Virzì pur essendo l’erede migliore della tradizione di Dino Risi e degli altri maestri della commedia, abbia trovato qui uno sguardo nuovo, è come se per lui fosse un nuovo inizio, come se fosse ripartito da OVOSODO, ma con tutta l’enorme esperienza accumulata negli anni. E poi sono entusiasta della bravura e della verosimiglianza degli interpreti: Luca Marinelli è un attore completo, bravissimo, ma lo sapevo già; sono rimasto colpito ancora di più da Thony che, essendo un’esordiente assoluta, rappresentava una scommessa: ci sono due-tre suoi momenti in cui è da applauso a scena aperta, c’è la scena della litigata con i genitori in siciliano che fa ridere ma allo stesso modo è molto toccante, fa capire il dolore profondo del personaggio, quanto lei sia irrisolta rispetto alla propria storia familiare.