Cinema italiano in coma di Roberto Faenza ESTRATTO DELL’ARTICOLO DA IL FATTO QUOTIDIANO

Cinema italiano in coma di Roberto Faenza ESTRATTO DELL’ARTICOLO  DA IL FATTO QUOTIDIANO

Il cinema italiano sta morendo? A guardare i recenti risultati del box office si direbbe proprio di sì. Quest’anno ci sono state settimane in cui i nostri incassi hanno segnato un deficit di oltre il 40% rispetto al 2011, che già non è stato fortunato. Ma la cosa più grave è la disaffezione del pubblico verso le pellicole targate made in Italy, in particolare nei confronti del cinema d’autore. Prova ne è la deludente performance al botteghino dei film di Venezia usciti sinora. Non staremo qui a entrare nella risibile polemica contro il presidente della giuria, il regista Michael Mann, accusato di non avere voluto omaggiare un titolo nostrano. Quando si accetta un concorso, si accettano anche i verdetti. Basti pensare che a Cannes i film francesi quasi sempre restano a bocca asciutta, eppure non si lacerano le vesti come succede da noi. Né risponderemo all’idiozia di chi sostiene che i film italiani sono “provinciali”, quando proprio i nostri film più minimalisti, da “Miracolo a Milano” a “I vitelloni”, sono quelli che hanno riscosso il maggiore successo internazionale. …….

Contiamo i cadaveri. Le sale cittadine sono in via di estinzione e sopravvivono solo più i multiplex. Mentre da noi si piange miseria, nella vicina Francia, a parità di popolazione, si stacca il doppio di biglietti, si produce il doppio di film, si incassa più del doppio che da noi. Basti un esempio: da noi un film meraviglioso come il premio Oscar “Una separazione” è stato visto da poco più di centomila spettatori. In Francia da oltre un milione. Quando faccio questo esempio, l’amico Gian Antonio Stella mi chiede con sarcasmo: significa che i francesi sono dieci volte più intelligenti e colti di noi?

 

….. E’ noto infatti che nessun film di budget consistente può essere prodotto senza l’ausilio di uno dei due network. Il che avviene solo da noi. La dipendenza del cinema dalla televisione comporta non pochi guai. Il primo è l’autocensura, di cui forse né gli autori né i produttori si rendono interamente conto. Si tratta di un meccanismo perverso di innegabile portata, che si palesa quando si va a chiedere soldi alla televisione, la quale come è noto non è proprio cuor di leone se si tratta di affrontare temi controversi. Provate a voler proporre alle televisioni un film sulla trattativa, magari critico del presidente Napolitano. Vedrete cosa vi rispondono. Basta osservare lo scempio della fiction generata dalle reti cosiddette pubbliche, dove trionfa una improbabile galleria di preti e santi che neppure ai tempi dell’Inquisizione erano tanto esaltati. Altro guaio della dipendenza dalla tv è la mancanza di combattività da parte dei produttori nei confronti di quei network che agiscono in barba alle leggi comunitarie in difesa delle ”quote” di produzione, che la maggior parte delle reti si guarda bene da rispettare. Come possono essere messe in mora da quegli imprenditori i cui principali cespiti dipendono da quelle stesse reti? E infatti costoro alla lotta preferiscono il letargo. Dicevamo prima delle sale cittadine che spariscono. Solo a Roma hanno chiuso oltre trenta sale in pochi anni. Il risultato è catastrofico, perché il pubblico adulto che non ama frequentare i multiplex, dove si aggirano orde di ragazzini assetati di sangue e di effetti speciali, si trova di fatto senza locali dove andare. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: il cinema di qualità è in crisi perché i suoi spettatori, per lo più adulti, non trovano più dove vederlo. A fronte di questa panoramica non certo edificante c’è un solo dato che induce a non suicidarsi: il fatto che sta crescendo nel paese un sentimento di disgusto nei confronti dei nostri maggiorenti, alimentato da tantissimi giovani autori, sceneggiatori, attori, registi e anche produttori, che si affannano a cercare nuove strade, inclusa Internet, pur di sentirsi liberi.

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