EMILIA PEREZ – INTERVISTA A KARLA SOFÍA GASCÓN

EMILIA PEREZ –   INTERVISTA A KARLA SOFÍA GASCÓN

Chi è Emilia Pérez?

Con Emilia Pérez è un po’ come se la Bella e la Bestia fossero rinchiuse nello stesso corpo. All’inizio del film è Manitas, una donna imprigionata in un’esistenza che non le appartiene che, a un certo punto, si ritrova ad avere l’opportunità di lasciarsi tutta questa vita alle spalle, una vita con cui non vuole più avere niente a che fare. Manitas è cresciuto in un mondo in cui i genitori preferiscono che i loro figli siano delinquenti piuttosto che “froci”. Quindi è intrappolato da entrambi i punti di vista: nella delinquenza e in una esistenza da uomo in cui non si ritrova.

Decide quindi di lasciarsi tutto alle spalle per diventare sé stessa…

Sì, che poi è la storia dell’umanità intera: dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro. Ma per lei questa è l’ultima possibilità e decide che è arrivato il momento di farlo, anche se nel corso del film in parte ci ripensa e cerca di mantenere ciò che più conta per lei: il rapporto con i figli.

Conosceva il lavoro di Jacques Audiard prima di iniziare a lavorare con lui?

Per niente, e non ho voluto vedere nessuno dei suoi film precedenti. Quando è uscito Parigi, 13Arr.avevamo già iniziato a lavorare su Emilia Pérez e ho deciso di non guardarlo. Non volevo farmi influenzare in alcun modo. Mi piace troppo la libertà. Vederlo come un dio o un genio mi sarebbe stato di intralcio, invece così abbiamo potuto sviluppare non tanto un rapporto di amicizia, ma un rapporto quasi familiare. Una delle prime cose che gli ho chiesto quando ci siamo incontrati è stata: “Come comunicheremo?”. Mi ha dato una risposta molto bella: “Telepaticamente!”. Ed era vero: funzionava! È il miglior regista del mondo con i suoi attori e gli voglio molto bene. Abbiamo la stessa passione per l’arte.

Ritiene che Jacques Audiard sia riuscito a cogliere la complessità del Messico, un paese che lei conosce molto bene perché è lì che ha costruito parte della sua carriera?

Direi proprio di sì. Quello che ha capito prima di ogni altra cosa è quanto le donne abbiano il potere di cambiare il mondo e questo concetto sta al cuore del film. Per quanto riguarda il Messico, è un Paese che ti cattura: ha degli aspetti molto ostici ma altri che sono molto belli. C’è qualcosa di tenero e di caloroso nella gente ed è un Paese in cui ho vissuto momenti davvero felici, dove ho sviluppato relazioni profonde e affettuose con amici molto cari.

Quando ha letto la sceneggiatura, si è sentita compresa sia come donna che come trans?

Sicuramente sì. Jacques pensava a questo progetto da tempo, aveva riflettuto a lungo sulla questione. Si è tenuto lontano dalle insidie più comuni, tra cui l’uso dei pronomi sbagliati.

Quanto è stato impegnativo, dal punto di vista emotivo e tecnico, rappresentare le scene di Manitas?

Di norma mi piace interpretare personaggi che siano il più possibile lontani da me e con Manitas non ho davvero nulla in comune … Ma naturalmente in alcune cose mi ci rivedevo anche io, in particolare nel suo profondo desiderio di cambiamento e nell’amore per i figli. Mi piace perché è libero, mentre Emilia è più sottomessa. Checché se ne dica, le donne sono soggette a una grande pressione a causa delle norme sociali, anche se sono più libere dentro. Quando abbiamo cominciato a girare, rappresentare Emilia è stato molto più impegnativo. Dovevo indossare un corsetto che mi limitava nei movimenti, una parrucca che mi stringeva la testa e pure i tacchi alti… Con Manitas, dopo essere stata truccata e aver applicato le protesi sul viso, ero libera di muovermi come volevo.

Come ha lavorato sulla sua voce per raggiungere il tono molto basso di Manitas e poi passare a quella di Emilia, che è molto più acuta?

La mia voce è a metà strada tra quella di Manitas e quella di Emilia, ma il doppiaggio mi appassiona. Anche nella vita reale, mi diverto sempre a inventare le voci delle persone. Per Manitas ho pensato a John Rambo, che guardavo alla TV con mio fratello quando ero piccola. Per Emilia, che ha un tono di voce più leggero perché deve sottolineare la sua delicatezza, mi sono ispirata alla voce della cantante britannica Samantha Fox.

Come ha affrontato le parti cantate?

Ho detto subito a Jacques e al resto della troupe che non sono né una cantante né una ballerina. Fortunatamente, però, sono una gran lavoratrice e abbiamo avuto molto tempo per provare, più di un anno prima di cominciare le riprese. Con il coreografo Damien Jalet ci siamo concentrati sui movimenti delle mani di Manitas ed Emilia. Con i compositori Camille e Clément è stato più difficile, soprattutto per le canzoni di Emilia che hanno una tonalità alta. Ma Jacques è abbastanza intelligente da accettare senza problemi le capacità e i limiti di tutti.

Com’è stato lavorare con Zoe Saldaña e Selena Gomez?

Se vent’anni fa mi avessero detto che avrei recitato in un film di Jacques Audiard accanto a Zoe Saldaña e Selena Gomez, non ci avrei mai creduto! Il trucco per non sentirmi sopraffatta dalla situazione è stato considerarle come sorelle e vederle in base ai ruoli che recitavano. Devo essere sembrata una pazza perché ero così immersa nel film che a volte il confine tra realtà e finzione sembrava venire meno: quando guardavo le scene di Selena con Edgar Ramirez, che interpretava il suo amante, provavo davvero la gelosia di Emilia.

Quali sono state le scene più impegnative da interpretare?

La scena dell’ospedale, quando Emilia si sveglia dopo l’intervento, è stata una delle prime che abbiamo girato ed è stata emotivamente impegnativa. E poi la scena di Emilia con suo figlio, nella sua stanza, mi ha fatto capire quanto fosse profondo il ruolo. Mentre ero sdraiata e guardavo le luci sul soffitto, sapevo che avrei avuto bisogno di una sorta di esorcismo alla fine delle riprese perché quello che stavo vivendo era davvero molto intenso. Sono una madre e sono stata un padre. Per me questo aspetto del film è stato molto intenso dal punto di vista emotivo, ma anche abbastanza facile da comprendere.

Con l’uscita del film, lei si farà portavoce della “causa” transgender e della lotta per i diritti delle persone trans. Come ci si sente?

Cominciamo col dire che prima che una paladina delle comunità trans e LGBTQI+, mi vedo innanzitutto come una persona che ha lottato per realizzare i propri sogni. Migliaia di attori in tutto il mondo faticano tanto per riuscire a lavorare e magari recitano su un palco in teatri quasi vuoti. Personalmente mi è capitato di recitare per un solo spettatore. È un lavoro molto difficile. Quindi, prima di ogni altra cosa, vorrei farmi portavoce di questo: del coraggio, del desiderio, della forza che ti aiutano a realizzare i tuoi sogni. Per quanto riguarda le persone trans, vorrei che smettessimo di essere liquidate, categorizzate e messe in una scatola, vorrei che smettessimo di essere prese in giro, insultate e odiate. Io ritengo di essere stata in un certo senso fortunata: grazie a mia moglie e alla mia famiglia sono riuscita a portare avanti la mia transizione continuando a vivere la mia vita. Ma dobbiamo pensare a tutte quelle donne trans che devono prostituirsi perché perdono il lavoro e non hanno mezzi di sussistenza. Vorrei che tutti potessimo vivere alla luce del sole e, soprattutto, vivere una vita normale.

 

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