EMILIA PEREZ – INTERVISTA ALLA VINCITRICE DEL GOLDEN GLOBE ZOE SALDAÑA
Perché, secondo lei, Jacques Audiard l’ha scelta fin da subito per la parte di Rita dopo averla incontrata su Zoom?
In un mondo perfetto, o se fossi più sicura di me come artista, direi che gli è piaciuta la mia voce e il fatto che ho dei trascorsi da ballerina… Ma la verità è che non lo so. Quello che so è che quando abbiamo fissato l’incontro e mi è arrivato il link di Zoom, ho fatto del mio meglio per non essere troppo nervosa. È uno dei miei registi preferiti e guardo film francesi da quando ero bambina.
Cosa ha pensato quando ha letto per la prima volta la sceneggiatura?
Che era assolutamente straordinaria: non era una trama come le altre e queste non erano persone come le altre. I personaggi vivono tutti al di fuori degli schemi convenzionali. Poi ho sentito le canzoni e mi sono esaltata ancora di più. Da quel momento in poi, ho dovuto solo convincermi che sarei riuscita a farlo.
Dovendo attribuire una nazionalità al film, quale sarebbe quella di Emilia Pérez?
Io lo vedo come un film di Jacques Audiard. La storia è ambientata in un’iperrealtà, ma al di là di questo si tratta di persone che lottano. Emilia Pérez parla di persone che sono intrappolate in situazioni impossibili e concepiscono soluzioni impossibili.
Come si manifesta questa natura così inarrestabile in Rita, il suo personaggio?
Rita è un’immigrata in un posto non convenzionale ed è in cerca di qualcosa di diverso. La possibilità che le viene offerta è piena di rischi e anche se la testa le dice che non è una buona idea, il suo cuore ci vuole provare lo stesso.
Lei dice che Rita è un’immigrata… Non credo che questo sia presente nel copione. Fa parte di un retroscena che ha creato quando ha studiato per la parte?
Sì, fa parte di una storia che mi sono creata da sola. In questo Jacques mi ha sostenuta fino in fondo, perché mi ha aiutato a dare vita a Rita.
Com’è stato per lei recitare in spagnolo?
Io provengo dall’America Latina e dei Caraibi, per me è stata la prima lingua che ho sentito. Poter creare la mia arte nella mia lingua madre è stato molto speciale: non mi capita tutti i giorni di avere questa opportunità.
Questo l’ha fatta sentire rappresentante anche di un altro gruppo di persone, in quanto attrice latina a Hollywood?
Ho deciso di non pensare a cosa rappresentavo per evitare di assumermi una responsabilità sociale. All’inizio della mia carriera questo era un aspetto a cui pensavo spesso, sentivo la responsabilità che gravava sulle mie spalle in quanto “rappresentante” di altre persone. Ma ultimamente ho deciso di concentrarmi sul mio mestiere, sul mio lavoro e sulle mie aspirazioni.
Ha fatto molte prove prima di cominciare le riprese. Questo cosa ha aggiunto alla sua performance?
Sono cresciuta ballando e facendo teatro, quindi per me perché qualcosa funzioni bene deve per forza essere prima provato, preparato, studiato e poi messo in pratica. Mi sento più sicura quando ho la possibilità di fare tutto questo. Certo, è un sacrificio, perché è molto impegnativo, ma una volta sul set si ha piena libertà di essere flessibili con il regista, in modo che se lui o lei vuole cambiare qualcosa, si può contare su queste ore di preparazione. Sono anche molto ansiosa, e sono pure dislessica, quindi mi piace provare e riprovare. È il mio modo di meditare.
Ha sempre applicato alla recitazione questa disciplina ereditata dalla sua formazione nella danza?
L’ho sempre applicata alla dimensione fisica dei miei personaggi, ma a causa della mia dislessia di solito passo pochissimo tempo a memorizzare le mie battute. Preferisco concentrarmi sulla ricerca, sulla costruzione di una storia precedente, sulle conversazioni e sulle e-mail con il regista… La mia paura è sempre stata quella di sedermi e iniziare a memorizzare le battute, anche se in questo film l’ho fatto. Ho assunto qualcuno che recitasse le battute con me e ho anche lavorato sull’accento messicano.
Qual è stata la scena più impegnativa da girare?
Le scene con altri attori, soprattutto se sono molto coinvolti e sanno cosa vogliono fare, spesso mi spaventano. La scena al ristorante in cui Emilia mi rivela di essere Emilia è stata particolarmente impegnativa da questo punto di vista. C’erano molte comparse, c’è una canzone che si ripete per tutta la scena e poi abbiamo sperimentato molto durante le riprese. Jacques doveva destreggiarsi tra mille cose, e pure Karla Sofía, e pure io … Anche se all’apparenza ero molto calma, dentro di me ero molto spaventata.
Quanto tempo ha avuto per lavorare con Karla Sofía prima delle riprese?
Ho conosciuto Karla un anno prima di iniziare le riprese e abbiamo fatto molte prove con Jacques, quindi ero molto a mio agio con lei. Karla era molto preparata e, poiché questo tema le sta molto a cuore, è riuscita davvero a incarnare Emilia e Manitas, il che è stato meraviglioso. Il livello di rispetto e ammirazione che ho per tutti gli attori coinvolti è infinito. Selena era così plasmabile, avventurosa e flessibile.
Per quanto tempo ha lavorato sulla scena del gala, in cui la sua performance come ballerina, cantante e attrice è decisamente spettacolare?
Per mesi! Abbiamo iniziato a lavorare a El Mal, la scena del gala, a gennaio, ed è stata una delle ultime scene girate a giugno. Abbiamo scoperto il set tre giorni prima delle riprese, il che è stato piuttosto stressante per Damien, il coreografo. Ma fortunatamente abbiamo potuto fare molte prove con il nostro operatore Steadicam Sacha Naceri, perché la scena era in sostanza una danza con lui. È stato divertente, incredibile, spaventoso… E doloroso! Ho avuto male alla schiena, ai gomiti e al collo per giorni, ma ce l’ho fatta! Adoro tutto di quella scena.
Può descrivere il suo lavoro sulle canzoni con Camille e Clément?
È stato molto tecnico e anche Jacques era molto coinvolto. Per me era un piacere vedere all’opera tre maestri: Jacques come narratore e Camille e Clément come musicisti. Ci siamo incontrati spesso, abbiamo parlato e discusso a lungo, volevo che fossero orgogliosi, che sentissero che stavo rendendo onore alla loro musica, e volevo che Jacques percepisse il mio rispetto per il personaggio di Rita. Sono cresciuta a New York facendo teatro, quindi conoscevo bene l’idea del musical. In un certo senso, lavorare con un regista, un coreografo, dei direttori musicali e mettere tutto insieme per vederlo prendere vita mi ha ricordato queste esperienze in teatro. Ma non avevo mai frequentato così assiduamente musicisti e compositori e ogni giorno mi lasciavano a bocca aperta.
Girare su un soundstage a Parigi è stato liberatorio o è stata una ulteriore sfida?
Il soundstage è un ambiente controllato, per me è sempre stato liberatorio. Quando si lavora su set esterni è quasi come avere un personaggio in più. Il tempo e la luce cambiano continuamente e influenzano il modo in cui si gira… Quando si gira in esterni si dipende da molti elementi che sono in continuo movimento. Ma quando ci si trova in un ambiente chiuso, scatta una sorta di manipolazione che ti dà una grande libertà creativa. Io sono una fan dei green screen perché ho molta immaginazione. L’unica cosa da tenere a mente è che tutta la preparazione va fatta prima di girare, ma se il regista mi aiuta e mi dà la possibilità di studiare e di prepararmi e poi di provare, riesco a ricreare qualsiasi cosa con la mia immaginazione. Mi è piaciuto molto.