INTERVISTA A SERGIO CASTELLITTO
Che cosa ti ha convinto a recitare in questo film?
Io e Giovanni Veronesi avevamo già lavorato insieme in passato nei suoi film Silenzio si nasce e Italians. Quando lui mi ha chiamato per chiedermi di leggere questo nuovo copione, ne sono stato subito entusiasta: la sensazione piacevole era quella di poter leggere una storia che riusciva a coniugare l’umorismo all’italiana con un certo gusto anglosassone della cattiveria comica, in cui i personaggi erano molto ben raccontati con un bellissimo equilibrio fra tenerezza e spietatezza, che è quello che fa funzionare una commedia.
Chi è il personaggio che interpreti?
Si chiama Federico Landi Porrini, è un grande regista teatrale sull’orlo di una crisi di nervi perché la sua carriera non va più come lui vorrebbe. Quando incontra la possibilità di dirigere per il Festival di Spoleto un importante allestimento di Romeo e Giulietta, che potrebbe dargli la sua ultima grande occasione, tenta di giocarsela nonostante un’insoddisfazione cronica che lo porta a essere indeciso su tutto.
Il destino e il comportamento degli altri gli rivelerà che il talento che lui presume di avere certamente viene accresciuto dal talento degli attori con cui lavora: le idee geniali che non riesce ad avere gli arrivano dagli altri e così il suo spettacolo, che sembrava votato al fallimento, si rivelerà un grande successo.
Landi Porrini è un intellettuale gay cattivo e incattivito dalla vita, ma anche con una sua tenerezza se si pensa all’amore sconfinato che ha nei confronti del teatro. Le storie d’amore che si incrociano nel film – quella tra lui e il suo assistente/compagno (Maurizio Lombardi) o quella della giovane attrice Vittoria (Pilar Fogliati) con il proprio fidanzato attore – funzionano tutte molto bene. Si assiste così a un divertente “rimbalzo” tra generazioni non solo dal punto di vista della sessualità, perché tutto è anche immerso in una tradizione shakespeariana: nel sedicesimo secolo, alle donne era vietato recitare e in teatro i personaggi femminili erano tutti interpretati da attori maschi. In fondo, questo gioco nella nostra storia viene così utilizzato e quasi moltiplicato.
Come ti sei trovato sul set?
Molto bene. Sul set si era creata una sorta di vera compagnia teatrale che provava dal vivo ogni giorno, con tutte le tipiche dinamiche di quell’ambiente e quel contesto.
Per me, girare questo film è stato molto gioioso: c’è stata una bellissima coesione tra tutti, l’atmosfera era divertente e appassionata. Ricordo quelle settimane della lavorazione del film trascorse al Teatro di Villa Torlonia di Roma come un periodo felice che mi ha permesso di tornare con la memoria a tutte le mie esperienze teatrali iniziate nei primi anni’ 80. Romeo è Giulietta è anche una commedia degli equivoci – tanto per citare Shakespeare – e non solo per la trama o per i colpi di scena, ma perché vengono messi in campo equivoci esistenziali: tutti noi pensiamo di essere qualcosa o qualcuno, per poi scoprire che non siamo veramente quello che crediamo di sembrare agli occhi degli altri.
Nel film si racconta un paradosso tragicomico come nelle migliori commedie: i personaggi non recitano per far ridere, ma recitano e poi fanno anche ridere.
Io provengo dal teatro, è un mondo che conosco molto bene con tutti i suoi vizi, difetti, nevrosi e qualità. Mi sono divertito ad andare a cercare i tic che conoscevo e che magari ho anche vissuto; ho cercato di prendermi in giro e prendere affettuosamente in giro certi personaggi e certe abitudini che avevo visto da vicino.
Come ti sei ritrovato con Giovanni Veronesi?
L’ho trovato addolcito e “arrotondato” rispetto alla sua tipica cattiveria toscana del passato. Credo che, senza avere mai perso quella sua speciale vis comica, abbia compiuto un bel salto con un intenso passaggio di maturità. Per esempio, abbiamo parlato a lungo, prima e durante le riprese, della psicologia dei personaggi che dà sempre densità e credibilità ai ruoli.
Siete rimasti fedeli al copione o c’è stata la possibilità di improvvisare in scena?
All’interno di una “gabbia” ben scritta e ben descritta, un attore ha la possibilità di sentirsi libero. Se ha del talento, diventa una sorta di co-sceneggiatore del film – in fondo, è a sua volta un narratore e non si deve limitare a eseguire o a compiere una prestazione eccellente, ma deve contribuire alla costruzione drammaturgica con comportamenti e pensieri.
Per quello che mi riguarda, io ho un “relais” che mi scatta automaticamente: se sento una battuta di un copione “plastificata”, mi viene naturale cercare di dare sempre qualcosa in più in scena senza limitarmi all’esecuzione della performance. Mi piace l’opera compiuta.
Che cosa pensi di Pilar Fogliati, come ti sei trovato in scena con lei?
Di lei penso sempre tutto il bene possibile. È bravissima, preparatissima, riesce sempre a trasformare il suo talento comico nel controcanto drammatico e questo non è mai automatico né semplice. Pilar è stata formidabile, appartiene alla categoria delle attrici cosiddette “comiche bellissime” e questa è una particolarità rara. Si è diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica, ma le scuole in generale “baciano” chi ha il talento, non rendono automaticamente dotato chi il talento non ce l’ha.