INTERVISTA A GIOVANNI VERONESI
Che cosa hai scelto di raccontare questa volta?
Il film porta in scena un celebre regista teatrale a fine carriera, il cinico ed egocentrico Federico Landi Porrini (Sergio Castellitto), che intende allestire un’ennesima versione del “Romeo e Giulietta” di Shakespeare che dovrebbe consacrare definitivamente il suo prestigio e concludere la sua carriera nel migliore dei modi. Si mette così alla ricerca di giovani attori e li sottopone regolarmente a estenuanti provini, in cui finisce con l’aggredirli ferocemente. Ma la sua rabbia ha una genesi diversa: in realtà, non ha nessuna idea su come mettere in scena lo spettacolo e vive la sua crisi creativa in una bolla di pochezza. Tra le varie candidate al ruolo di Giulietta arriva un’attrice trentenne, Vittoria (Pilar Fogliati) – che cerca di riabilitarsi dopo varie vicissitudini professionali in cui era stata accusata di plagio – ma anche lei viene brutalmente scartata. Presa da una rabbia incontenibile, anche perché per lei quella rappresentava l’ultima occasione di riscatto, e determinata a dimostrare comunque il suo talento, Vittoria decide di vendicarsi. Con la complicità di una sua amica truccatrice (Geppi Cucciari) si traveste da uomo, si ripresenta ai provini e si propone per il ruolo di Romeo con il falso nome di Otto Novembre. Con sua grande sorpresa, convincerà il regista e verrà scelta per la parte e a quel punto, invece di rivelare la sua vera identità e prendersi la propria sognata rivincita, Vittoria accetterà la parte di Romeo. Quell’essere così diverso, quella specie di efebo misterioso e sfuggente fa colpo un po’ su tutti, compreso Landi Porrini che, essendo omosessuale, finirà con l’invaghirsi di lui. Ma quando verrà scelto per interpretare il ruolo di Mercuzio il suo fidanzato Rocco (Domenico Diele), per Vittoria la sfida si farà più difficile: riuscirà a nascondere la propria identità persino a lui? Da questo punto in poi la storia diventerà una sorta di “macchina da guerra”, che incastrerà le vicende di tanti personaggi, raccontando molti amori, alcuni impossibili. Ma non l’impossibilità dell’amore.
Com’è nato lo spunto, cosa ti stava a cuore raccontare?
Volevo descrivere la confusione che c’è nella testa dei trentenni di oggi, che hanno tanti problemi perché vivono una società che non dà loro fiducia, non sanno chi sono e dove stanno andando. Questo tempo e i suoi pericoli generano una condizione di ansia, il diffondersi di timori, di insicurezze, una costante paura di sbagliare, un bisogno permanente di autostima confermata. Il mio tentativo è quello di capire questo modo di essere di oggi, molto diverso da quello di 30 anni fa quando vivevamo in una società meno effimera, meno concitata: Romeo è Giulietta è un film sull’identità generale, non su quella di genere. Mi sembra che questo dell’identità sia il problema di questa generazione. I ragazzi dei quali parlo sono in cerca del proprio posto nel mondo, cercano in tutti i modi di realizzare i loro sogni e sfuggire alla precarietà e al destino che viene loro imposto. Sono disposti a tutto, anche a mettere in discussione la loro identità di genere dando vita a equivoci e opportunità. Io e miei sceneggiatori Pilar Fogliati e Nicola Baldoni siamo partiti con il pretesto di voler raccontare persone di diverse età che hanno un po’ perso la loro identità: il regista teatrale, perché non ha idea di come allestire il suo nuovo spettacolo; la giovane attrice, scelta alla fine per il ruolo di Giulietta (Serena De Ferrari), perché proviene dal reality e viene catapultata in un contesto non suo. Sono tutte storie d’amore impossibili – così come lo era quella tra Romeo e Giulietta – tranne quella tra Vittoria e il suo fidanzato, perché c’è di mezzo il travestimento. Vittoria, in passato, aveva rubato un testo a una comica cilena e lo aveva portato in scena spacciandolo per suo, poi cambia sesso… e allora è chiaro che ha dei problemi con la propria immagine e con la sua identità e cerca in giro se stessa attraverso varie maschere. Quell’esperienza di cambio del sé, di fluidità di genere e di interpretazione della sua parte maschile le permetterà di scoprire molte cose su se stessa e anche sulle persone che la circondano.
Avete avuto come riferimento qualcuna delle tante commedie del passato incentrate sul travestimento di un personaggio?
Certo. C’erano predecessori illustri a cui ispirarsi come Tootsie, Shakespeare in love, Mr. Doubtfire, Victor Victoria… ma i travestimenti mi danno sempre lo spunto per raccontare qualcosa di originale. In casi simili, un autore è costretto a spostare completamente l’orbita e a posizionare desideri e volontà di un uomo nei panni di una donna o viceversa, come nel nostro caso. Lo sforzo di chi scrive e dirige è quello di cercare di capire cosa può succedere a una donna che si traveste da uomo.
E poi mi piace molto la casualità: il nostro è anche un film sulla casualità dell’arte. C’era la volontà di pensare che, se Shakespeare fosse vissuto ai nostri giorni, chissà come avrebbe scritto quella storia d’amore così impossibile… magari non l’avrebbe raccontata nel modo che conosciamo, con le faide familiari, ma forse in una maniera diversa, inserendovi elementi nuovi. Nel nostro film, il regista Landi Porrini “compone” casualmente una scena perché i suoi collaboratori, dopo aver proposto varie idee a vanvera, finiscono col dargli lo spunto per disegnare una scena davvero improbabile per un Romeo e Giulietta, e cioè un quadro metafisico e una scacchiera che alla fine, però, sembrano quasi plausibili.
È casuale anche che Vittoria, una volta rifiutata dal regista, coltivi un desiderio di vendetta, salvo poi rendersi conto che recitare è comunque un travestimento anche se non cambi sesso: per un’attrice non c’è niente di diverso nel travestirsi da uomo, devi sempre entrare nei panni di un altro.
Nel film il mondo del teatro è un vero coprotagonista.
È bello mescolare un po’ le carte. È un mondo bellissimo per chi lo fa; un po’ meno, spesso, per chi lo vede.
Io non ho mai amato il teatro, mi sono sempre addormentato, perfino durante la prova generale di un mio spettacolo, perché non sopportavo un monologo di Alessandro Haber scritto da me. Ho sempre saputo di essere in difetto, e così questa volta ho cercato di pareggiare i conti e rendere omaggio al teatro a modo mio, rendendolo protagonista con le sue nevrosi e la sua magia.
Il cinema rispetto al teatro sembra più un gioco; è il suo fratello più piccolo, ha molti meno anni, è ancora infantile. Mentre, invece, il teatro ha una potenza e una profondità molto diversa.
Secondo te, questo film potrà piacere anche a chi non segue da vicino il teatro?
Certo. In realtà, come dicevo, si tratta di un film sullo scambio di identità… e chi non ha sognato, almeno una volta nella vita, di essere qualcun altro? E poi ci sono i meccanismi tipici da commedia vera e propria, con gli inevitabili equivoci e ribaltamenti.
Non riesco a fare mai a meno della comicità: anche se mi capita di dover raccontare qualcosa di estremamente drammatico, non rinuncio mai a una dose di sarcasmo, ironia e grottesco.
Se si sceglie, poi, di raccontare i sentimenti, credo che vadano raccontati con garbo e gentilezza, perché sono molto fragili e si rompono facilmente. Ho capito che quando si vedono due persone litigare per amore non bisogna mai schierarsi, perché entrambi i contendenti potrebbero avere ragione. Nel film ci sono storie d’amore delicate, diverse e impossibili, che andavano trattate con gentilezza. Forse è venuto fuori romantico anche per questo motivo, e non solo perché sono invecchiato.
Come ti sei trovato con Sergio Castellitto?
Avevo già diretto Sergio in passato, in Silenzio si nasce e Italians. Sapevo che era un vero attore di commedia che possiede tutti i registri: drammatico, comico, romantico. È sempre molto “performante”, capisce al volo quello che vuoi e ci aggiunge del suo, offrendo tante possibilità diverse. E così abbiamo girato ogni volta una versione diversa di ogni sequenza in modo che poi io potessi scegliere la migliore: lavorare con lui è come guidare una Rolls Royce.
Con Pilar Fogliati avevi già lavorato in Romantiche, la sua prima commedia per il cinema firmata come regista e interprete.
Pilar è solare, ironica e inquieta. L’ho scoperta anni fa, in un video che mi mandò un parrucchiere. Stava con me in radio una volta a settimana, e non le dicevo mai cosa doveva fare: sapeva improvvisare perché ha grande intelligenza.
È un soldato che capisce esattamente quello che voglio ed è ormai diventata un po’ il mio alter ego di questi anni. Insieme ci completiamo, perché è un’attrice che può dare vita a momenti comici rimanendo nella sfera della credibilità, e quindi è perfetta per la commedia. Con lei mi diverto molto perché, oltre ad essere un’interprete ormai completa, è molto brava anche come sceneggiatrice. Mi aiuta molto, mi porta in un territorio che conosco relativamente poco – quello dei giovani – e così, dovendo raccontare storie di trentenni, si è rivelata indispensabile per farmi sintonizzare con quel mondo, costringendomi a impegnarmi al massimo per cercare di navigarci al suo interno.
Il nostro è un percorso che stiamo facendo con grande soddisfazione reciproca, ma non so ancora dove ci porterà e fino a quando durerà.
Come e perché hai scelto gli altri attori?
Domenico Diele ha sostenuto un provino per il ruolo di Rocco, il giovane attore fidanzato con Vittoria, ed è stato il migliore. Il suo è un felice ritorno in scena, riempie il suo personaggio di sfumature più profonde perché, a causa di una tragica esperienza che lo ha coinvolto qualche anno fa, ha maturato molto probabilmente un dolore vero e ha trattenuto maggiore intensità e profondità. Ho diretto Margherita Buy molte volte nei miei film e me la porterei dietro fino all’ultimo. Quando le ho proposto di interpretare un’ottantenne mi ha subito insultato, ma poi si è accorta che si poteva divertire a recitare l’anziana e celebre attrice di teatro che insegna a sua nipote Vittoria come interpretare la parte di Giulietta.
Avevo già diretto Geppi Cucciari dieci anni fa in Una donna per amica. Lei mi fa molto ridere, è una persona dotata di un umorismo e una comicità tutti suoi, e io amo molto quelli che non copiano da nessuno.
Per il ruolo dell’assistente e compagno di vita del regista Landi Porrini ho scelto Maurizio Lombardi, che ha rappresentato per me una vera scoperta: sapevo fosse un bravo attore, ma non sapevo quanto, e ora lo so.
Ho poi diretto tante volte nei miei film Alessandro Haber, che qui interpreta un venale produttore teatrale attento solo ai soldi. Per me è una garanzia: quando è su un mio set, io mi sento veramente a casa.
Per il ruolo della ragazza che viene scelta per interpretare Giulietta in teatro ho poi trovato Serena De Ferrari grazie a un provino. Mi ha spiazzato subito: la vedevo più superficiale in quanto proveniente dal mondo fatuo degli influencer e invece l’ho scelta perché, così come Diele, dà al personaggio una profondità non prevista ma molto efficace. Forse l’esperienza nelle prime serie della fiction Mare Fuori, nella quale interpretava una cattiva, ha fatto crescere in me il desiderio di farle interpretare un personaggio più leggero e sentimentale.