RIFLESSIONI SULL’INDUSTRIA E SULL’ATTIVITÀ DI RAI CINEMA

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un grande sviluppo del settore audiovisivo in termini produttivi, grazie all’ingente intervento del governo anche in risposta alla pandemia, agli investimenti da parte delle piattaforme soprattutto in serialità, alle grandi produzioni delle società italiane acquisite da operatori internazionali, al dinamismo dei piccoli produttori indipendenti e anche al ruolo svolto da Rai Cinema.

Come servizio pubblico, durante la pandemia ci è stato chiesto di fare la nostra parte e dare tutto il sostegno possibile all’industria del cinema. Lo abbiamo fatto contribuendo nel quadriennio 20/23 alla realizzazione di 280 film e 120 documentari, collaborando con 190 società di produzione e 330 registi e investendo 325 milioni di euro. Sono numeri che fanno riflettere sul momento straordinario che abbiamo vissuto e a cui, come azienda, abbiamo cercato di dare una risposta svolgendo una vera e propria funzione di volano economico con ricadute sull’occupazione, sull’economia e sulla fiscalità. Ma questo determina anche un prezzo da pagare sul futuro.

Il contesto negli ultimi mesi è cambiato per molteplici ragioni.
Come conseguenza dell’emergenza pandemica, viviamo una forte difficoltà di assorbimento da parte dell’esercizio rispetto ad un numero di film fisiologicamente non sostenibile dal nostro sistema cinematografico. E assistiamo anche da tempo ad un’evidente crisi degli incassi di quelli che una volta venivano considerati come i film medi e che costituivano l’ossatura del nostro sistema cinematografico con una polarizzazione degli incassi sul film italiano eventizzabili.

Un evidente aumento dei costi produttivi del 40%.

Il tendenziale ridotto assorbimento da parte delle piattaforme e delle pay tv del nostro cinema: ci sono forti segnali che evidenziano la riduzione dell’acquisto della prima finestra di sfruttamento dopo la sala (pay o Svod) che rappresentano una criticità rilevante per la stragrande maggioranza dei film con ricadute preoccupanti per i produttori a cui inizia a mancare un apporto fondamentale nei loro piani economici. Altro problema connesso a questo aspetto è la minore visibilità del cinema italiano causata da una minore diffusione della finestra di cui abbiamo parlato.

Rai cinema ha dato veramente tanto all’industria negli ultimi anni, ma aver fatto così tanti film ha significato attingere anche a risorse pianificate per il futuro generando delle tensioni che adesso si realizzano sui budget futuri, soprattutto rispetto al prossimo budget 2024 che non consentirà di mantenere questo livello di volumi produttivi anche alla luce di indicazioni di sistema che vanno verso una riduzione del numero dei film.
Naturalmente non abdicheremo alla nostra mission di supporto all’industria e faremo il possibile per realizzare il meglio del cinema italiano: dai grandi autori a quelli emergenti, senza dimenticare il cinema più sperimentale, tenendo però conto di una necessaria riduzione del numero dei film a cui riusciremo a dare il nostro supporto, semplicemente tornando a quello che si riusciva a fare pre-pandemia.
Ci aspettiamo che gli addetti al settore e i produttori in particolare riconoscano il valore del nostro operato in questi anni e comprendano la situazione attuale, evitando pressioni sulla società che non agevolano il nostro lavoro.

Un altro tema importante sull’industria dell’audiovisivo è quello connesso alla certezza delle risorse che il servizio pubblico può impiegare in virtù delle quote di investimento obbligatorio previste dalla legge.
Gli investimenti sull’audiovisivo, siano essi cinema, fiction, documentari o animazione, hanno una natura pluriennale e quindi hanno necessità di una programmazione ben definita nel medio periodo. Una riduzione delle risorse Rai automaticamente avrebbe un impatto sugli investimenti.

Peraltro in un momento in cui aziende sovranazionali a causa di problemi economico finanziari potrebbero andare verso una riduzione nella produzione locale in vari Paesi europei, il servizio pubblico potrebbe rappresentare uno strumento di politica economica a salvaguardia e al potenziamento della nostra cultura e della nostra identità. Come? Se come è stato richiesto nei mesi scorsi dalla Rai si riconoscesse all’azienda la totalità del canone, che in parte oggi viene dirottato per altri utilizzi, magari legandolo ad un indirizzo di scopo ben preciso a supporto dell’industria dell’audiovisivo, il sistema produttivo e la produzione culturale italiana ne beneficerebbero in modo rilevante. Si fa riferimento ai “famosi” 110 milioni, cioè quella parte del canone che non arriva alla Rai.

Ricordiamo che il canone italiano era già il più basso dei principali paesi d’Europa (138 Francia, 212 Germania, 183 BBC). Ad oggi risulterebbe pari a 5,8 euro al mese, un prezzo molto più basso rispetto a quanto si paga per quasi tutte le piattaforme a fronte di un’offerta molto più ampia e variegata.

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