INTERVISTA A PAOLA CORTELLESI – 26 ottobre – ITALIA – “C’è ancora domani”

“Come è nata l’idea del film e che cosa ti stava a cuore raccontare?”

“È nata dalla voglia di raccontare le storie delle persone che hanno vissuto nell’immediato secondo dopoguerra,
storie che ho appreso dai racconti dai veterani della mia famiglia: le nonne, ma anche le zie, i miei genitori.
In quei racconti c’erano gioie e dolori delle vite che avevano incrociato: i parenti, i vicini di casa, le comari
nel cortile, i bambini in strada. Storie drammatiche, divertenti, paradossali, a volte tragiche. In ognuna di esse
c’erano donne comuni che avevano accettato una vita di prevaricazioni perché così doveva essere, senza porsi
domande. Desideravo raccontare questa disillusione – in un’epoca in cui i diritti femminili erano pressoché
inesistenti- e insieme la nascita di una consapevolezza, un germe spontaneo, nella vita di una donna qualunque.
Insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, abbiamo immaginato la storia di una donna comune di
quell’epoca.

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“Che tipo di collaborazioni avete avuto in fase di documentazione e di scrittura?

 
“Abbiamo decisamente attinto dalle nostre conoscenze familiari ma trattandosi di una storia inserita in un
contesto storico molto specifico ci siamo avvalsi della consulenza storica di Teresa Bertilotti, che ci ha messo
a disposizione la sua conoscenza sull’ argomento. Sin da piccola, ho sempre immaginato le storie che mi
raccontavano in bianco e nero, certamente influenzata dai film ambientati in quel periodo storico, molto amati
in casa nostra: la grande produzione di cinema neorealista dell’epoca la commedia all’italiana poi. Nel mio
film però mi piaceva fare riferimento al cosiddetto neorealismo rosa, che narrava fatti e personaggi realistici
ma inseriti in un contesto romantico, in cui motore in fin dei conti era una storia d’amore (penso ad esempio a
“Campo dei fiori” di Mario Bonnard, o “Abbasso la miseria!” di Gennaro Righelli). A questo proposito ho
usato il formato 4/3 per la sequenza che apre il film prima dei titoli di testa; mi piaceva riprodurre, nei primi
minuti del film, le atmosfere quel cinema, per poi “allargare” sia il formato che il discorso.
“Chi è la Delia che interpreti e come si sviluppa nel tempo il suo itinerario di redenzione?
“Delia è una donna piuttosto inconsapevole, come tantissime donne dell’epoca che non hanno mai potuto
scegliere nulla della propria esistenza. Non ha ambizioni se non quella di un buon matrimonio per sua figlia (
è incredibile che per molte famiglie e molte giovani, questo sia tutt’oggi ancora considerato un traguardo, un
punto di arrivo); ma è proprio osservando Marcella che Delia capisce di dover rivoluzionare il corso, già
delineato, delle loro vite.

 

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“Come avete costruito il personaggio del dispotico Ivano, simbolo del maschilismo ottuso consolidatosi
durante il fascismo? C’è stata una costruzione comune con Valerio Mastandrea a livello creativo?”

 
In fase di soggetto, quando il personaggio non era ancora approfondito, avevamo immaginato un uomo che
avesse anche nella fisicità, nei tratti, una durezza molto evidente ma andando avanti nella scrittura ci è venuto
naturale sviluppare Ivano come un uomo comune, violento e a tratti spaventoso ma anche ignorante, goffo,
ridicolo. Non un mostro dunque ma uno qualsiasi, che agisce in una “normalità” che prevede una abituale e
indicibile violenza e prevaricazione. Per interpretare un ruolo così complesso era fondamentale un interprete
che possedesse entrambi i registri e potesse usarli a volte quasi contemporaneamente. Valerio ha la capacità
di rendere autentico tutto ciò che fa. Ha colto fin dal primo racconto le sfumature del personaggio e le ha
sposate totalmente. In fase di preparazione poi, visto il mio duplice ruolo di regista e interprete abbiamo fatto
tre settimane di prove con tutti gli interpreti, come accade abitualmente in teatro, e in quella fase il confronto
con Valerio è stato per me irrinunciabile e prezioso.
 

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“Come e perché hai scelto i tuoi attori, che cosa hai trovato in ognuno di loro che ti ha convinto a scritturarli?”

 
“Valerio, Giorgio, Emanuela, Vinicio, sono attori straordinari con cui tutti vogliono lavorare, quindi piuttosto
che spiegare perchè li ho chiamati mi sentirei di ringraziarli per aver accettato di essere nel mio film! Grazie
alle brillanti proposte delle casting Laura Muccino e Sara Casani poi ho potuto conoscere i giovanissimi
Romana Maggiora Vergano (la figlia Marcella) e Francesco Centorame (il suo fidanzato Giulio). Sono stata
folgorata dai loro provini e dalle loro sbalorditive doti attoriali. Hanno entrambi una preparazione eccellente
e in più hanno un talento e una sensibilità fuori dal comune.

 

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“Ricordi qualche momento della lavorazione che ti ha dato più soddisfazione e più emozioni?
“Ce ne sono stati tanti, è stato un set sereno e avvolgente, in cui ho avuto il piacere e la fortuna di poter
condividere tutto con una troupe che ha avuto fiducia in me, che mi ha voluto bene e mi ha emozionato ogni
giorno. Elettricisti, macchinisti, i reparti di fotografia, scenografia, costumi, trucco e acconciature, mi sono
sempre stati tutti vicini, coinvolti e complici, creativi per ogni piccolo aspetto o dettaglio e hanno dato sempre
il massimo. Il momento più emozionante è arrivato quando durante le riprese della sequenza finale ho
proposto un fuori programma e ho chiesto a circa 300 generici di chiudere la bocca e serrare le labbra: lo
hanno fatto nel migliore dei modi, con grande partecipazione emotiva. Mi hanno commosso… però non ho
mica pianto sa, ho detto: “Bella! Ne facciamo un’altra”.

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