MICAELA RAMAZZOTTI : PUPI E’ UN CATERPILLER la sua formula magica è AZIONE, AZIONE, AZIONE!

MICAELA RAMAZZOTTI : PUPI E’ UN CATERPILLER la sua formula magica è AZIONE, AZIONE, AZIONE!

SARA’ L’EVENTO DEL FESTIVAL DI ROMA  : Il cuore grande delle ragazze

 

INTERVISTE A MICAELA RAMAZZOTTI,  A PUPI AVATI,A CESARE CREMONINI,AL PRODUTTORE ANTONIO AVATI

Pupi sa già tutto,  è un caterpillar che non si ferma mai e la sua formula magica è AZIONE, AZIONE, AZIONE!
INTERVISTA A MICAELA RAMAZZOTTI

Come e quando è stata contattata da Avati, conosceva bene il suo cinema prima di lavorare con lui?

Ho ricevuto una telefonata da Pupi a dicembre dell’anno scorso e ho avuto subito un tuffo al cuore, perché erano 15 anni che aspettavo di fare un film con lui. Nel 1996 Antonio Avati mi pescò dal nulla, forse dopo aver visto una mia foto da qualche parte, e mi affidò un minusculo ruolo in un piccolo film realizzato dalla  loro produzione, la DueA. Avevo diciassette anni. Qualche mese dopo finii sul set  di un film di Pupi per una cosa ancora più ridotta. Il film era La Via degli Angeli e la scena per me consisteva in una specie di comparsata: dovevo pedalare su una bicicletta e suonare una trombetta. Non avevo neanche mezza battuta, ma ero così felice ed emozionata mentre facevo perepé con quella trombetta, che probabilmente devo aver fatto anche qualche errore, perché ricordo che Avati mi chiese di rifarlo tante volte. Ma era il primo set di un film importante dove mettevo piede, e me lo ricorderò per sempre.

E questa volta come è andata?

A distanza di tanti anni mi è sembrato che finalmente si avverasse il sogno di quella ragazzina che pedalava in bicicletta: Pupi mi voleva per fare la protagonista del suo nuovo progetto. Non mi ha dato subito il copione, prima mi ha raccontato la storia a voce, col suo vocione da burbero bolognese, e mi ha subito incantato. Mi sono innamorata del personaggio di Francesca, così romantico ed esilarante. Di quel mondo, quell’Emilia Romagna un po’ fiabesca un po’ verace, che è un po’ il marchio di fabbrica di tante sue storie. Io li adoro i suoi film. Storie di ragazzi e di ragazze, Una gita scolastica, Fratelli e sorelle, li ho visti mille volte, prima al cinema, poi in cassetta o in dvd. E, più recentemente, La seconda notte di nozze è un film che mi è rimasto nel cuore. Ma, a proposito di cuore, anche Il cuore altrove o Il papà di Giovanna. Pupi è uno dei grandi romanzieri del nostro cinema, un poeta spiritoso e amaro, ma anche tenerissimo e sentimentale. Recitare in un suo film per me è stato come andare ad  abitare dentro un monumento, che avevo molto ammirato e anche studiato.

 

Che cosa le è piaciuto della storia e del personaggio quando le è stata raccontata e quando ha letto la sceneggiatura?

È la storia di un amore impossibile, quello tra Francesca e Carlino. Un amore inopportuno, che non avrebbe dovuto accadere, perché non conviene a nessuno. Un amore sconveniente per tutti. Infatti i parenti ce la mettono tutta per impedirlo, per ostacolarlo. Ma questi due innamorati un po’ disgraziati e scemi, molto ostinati, sono commoventi e buffi, spezzano il cuore e fanno ridere. È un film romantico e comico, e ho la sensazione che l’ispirazione della storia venga da qualcosa di autentico della storia familiare di Pupi, qualcosa di vero e toccante, di umano e allo stesso tempo di magico, che ha contagiato e stregato finora tutti coloro che hanno lavorato a questo film e che, sono convinta, farà innamorare anche gli spettatori.

Quali sono secondo lei le caratteristiche principali di Avati nel lavoro e nella vita?

Pupi sa già tutto, è come se avesse già visto e rivisto il film prima di averlo girato. Scrive i suoi copioni come se fossero piccoli romanzi. Conosce a menadito i  suoi personaggi, come se li avesse incontrati per davvero, ed in effetti spesso è davvero così. Dirige gli attori con attenzione, diciamo che vuole bene alle persone prima che agli attori, li comprende profondamente e infatti li sa prendere in giro e non gli sfugge mai nulla. Per questo è così capace di cavare la verità e la poesia da ogni suo personaggio, anche quello più piccolo che dice solo una battuta, o che non dice niente e suona una trombetta. È una persona autentica, nei suoi grandi pregi di generoso raccontatore di storie, uno che durante le riprese è continuamente ispirato e ti regala al mattino scene non previste che ha scritto di notte. E nei suoi umani difetti, di capocantiere che va al sodo, di trascinatore senza fronzoli e senza tante cerimonie, di uno che siccome non si stanca mai, non concepisce e non ammette che gli altri si pos sano stancare. Infatti è un caterpillar che non si ferma mai e la sua formula magica è AZIONE, AZIONE, AZIONE! Sempre e comunque, davanti ad ogni difficoltà, incurante degli orari. Tra l’altro non si vergogna di essere enormemente competitivo, come tutti noi che invece ci vergogniamo di ammetterlo. Anche se lui lo è in modo particolarmente spiritoso e autoironico.

 

Chi è la Francesca che lei interpreta?

È una ragazza degli anni Trenta, cresciuta dalle suore a Roma, ma ha un carattere moderno e volitivo, per certi versi è una giovane donna completamente anacronistica. Ostinata, determinata, anche matta, ma così viva da tentare il suicidio per amore. Mi piace tanto e le ho voluto bene perché in fondo è un’inguaribile credulona romantica, innamorata fin dal primo istante di questa specie di infingardo che è Carlino, ignorante ma irresistibile con quel suo alito di Biancospino. Combattiva fino all’ultimo, e litigiosa, indomabile, irragionevole. Mi sa che Francesca ed io ci somigliamo tanto, anch’io come lei quando mi metto in testa una cosa è quella, siamo ragazzacce cocciute tutt’e due!

 

Come si è trovata con Cesare Cremonini e con gli altri interpreti?

Cesare è un ragazzaccio di Bologna intelligente e molto sensibile, una rivelazione. Incanta tutti, ma soprattutto le ragazze, con la sua voce e la sua intensità di cantastorie. Amavo già le sue canzoni, ma forse pensavo che fosse più superficiale e un po’ “stronzo”, come i cantanti famosi che se la tirano e fanno i fanatici. Invece è una delizia. Timido, delicato, modesto, curioso degli altri, desideroso di imparare e pronto a prendersi in giro e sminuirsi. Mi ha stupita molto, soprattutto in un paio di scene complicate. Ho adorato come si è buttato di cuore nel ruolo di Carlino. Credo che abbia un gran talento anche come attore e ho l’impressione che insieme, sulla scena, siamo una coppia piuttosto buffa: lui con quel suo accento bolognese grazioso e dolce, io con la parlata da romanaccia antica, rustica e impertinente che ha voluto Pupi. Gli altri attori erano quasi tutti degli habitué dei film dei fratelli Avati e contribuivano a creare un’aria di famiglia, informale, affettuosa, comica e anche un po’ pitt oresca. Ma vorrei dire anche qualcosa di Antonio Avati, il fratello produttore di Pupi: non ho mai visto uno del suo mestiere così presente sul set e appassionato, così capace di trasmettere forza ed entusiasmo a tutti.

Che tipo di rapporto si è creato sul set con i suoi colleghi?

È uno dei film cui ho partecipato dove forse mi sono divertita di più. L’autore ci ha stregati tutti, tutti noi attori, Cremonini, Cavina, Roncato ma anche gli interpreti dei ruoli più piccoli, ci sentivamo profondamente immersi nell’atmosfera di questa sua fiaba spiritosa, dolce e perfida. Giravamo tante scene al giorno, piuttosto alla  svelta, in modo a volte anche frenetico e rocambolesco. Ma è stato un set pieno di umorismo e di fervore allegro, perché eravamo molto liberi anche di buttarci e di improvvisare, ma lo facevamo con fiducia e anche con incoscienza perché ci sentivamo in buone mani, guidati come un gruppo di creature buffe, fragili e sventurate da un grande guru con la barba, energico e instancabile, che ci portava in giro nella sua Emilia Romagna immaginaria. Nessuno si preoccupava di apparire bello, bravo, perfetto. Nessuno si riguardava al monitor, anche perché il monitor non c’era. Non ho mai avuto una sensazione di libertà totale come quella provata con questo gruppo, e credo di aver fatto  anche tantissime figuracce, di aver detto un mucchio di strafalcioni, di aver fatto la buffona, ma ero davvero immersa in un clima dove tutto sembrava consentito e ci sentivamo incoraggiati ad essere autentici e a sfidare senza pudore il ridicolo

 

Può ricordare qualche momento particolare della lavorazione che l’ha colpita, emozionata o divertita, sul set o fuori?

Fare un film in poco tempo è un’impresa, ma quando il trasporto è forte e prepotente come in questo caso, ci si nutre di adrenalina e ogni impresa diventa  possibile. I momenti che non dimenticherò sono tanti, ma ce n’è uno in particolare  che riguarda proprio il finale, quindi non posso svelarlo perché toglierei allo  spettatore il piacere di godersi il segreto di questo piccolo, grande poetico film.

 

 

IL PRODUTTORE ANTONIO AVATI PARLA DEL PROGETTO

Questo nuovo film prodotto come di consueto con la nostra DueA è una commedia in cui ci si commuove, ci si intenerisce ma si ride anche tanto. Il progetto si è concretizzato grazie al rinnovamento proficuo della nostra collaborazione con Medusa (con i cui dirigenti abbiamo ritrovato lo stesso affetto e calore di sempre), con la Film Commission delle Marche e soprattutto con la città di Fermo che ci hanno offerto una serie di servizi, ospitalità, trasporti, location e comparse a titolo semigratuito che ci hanno permesso di ammortizzare i costi. È stato decisivo in questo senso l’apporto dell’ex sindaco di Fermo Saturnino Di Ruscio che ci ha sollecitati a lungo perché andassimo a girare in città e nei dintorni dopo il feeling straordinario creatosi grazie a due retrospettive dei film di Pupi organizzate negli ultimi anni. Mio fratello in questa occasione ha voluto cimentarsi di nuovo con successo con un cinema più a basso costo rispetto agli ultimi tempi, non abbiamo
esagerato nelle ricostruzioni in studio, abbiamo preferito riprendere tutto dal vero come una volta con l’apporto decisivo di una troupe ridotta in cui ai collaudati professionisti romani si sono aggiunti diversi giovani locali provenienti da accademie di scenografia o di recitazione desiderosi di affrontare la nostra realtà professionale con insolito entusiasmo.Per quanto riguarda la scelta degli attori, una nostra collaboratrice di Bologna,Chiara Caliceti, mi aveva comunicato da qualche anno il desiderio di Cesare Cremonini di conoscerci e di far parte dei nostri cast, non solo come attore ma anche come musicista. A me lui era molto simpatico e piaceva molto, poi Pupi lo ha visto casualmente in tv e ha trovato un tale tipo di sincerità e di risposte spiazzanti e carine che si è “innamorato” anche lui. Abbiamo chiamato Cesare e dopo cinque minuti lui era già nel nostro ufficio: è una persona eccezionale, dopo due ore aveva già capito tutto del cinema e lo ha dimostrato in seguito intonandosi facilmente con tutti. Interpreta un “bello” conquistatore ma anche un po’ tontolone, questa cosa gli è piaciuta molto e l’ha sfruttata benissimo in scena recitando con dei tempi comici perfetti accanto a gente esperta come Micaela Ramazzotti che secondo me è la più brava attrice in circolazione oggi in Italia. Micaela aveva iniziato con noi quando era solo una ragazzina in una piccola serie tv di Rita Vicario per Sat 2000 dal titolo La famiglia Donati, poi ha recitato anche nel nostro La prima volta di Massimo Martella nel ruolo di una tossicodipendente. In seguito sognava di inserire il nome di Pupi nel suo curriculum e le facemmo fare una “comparsata” ne La via degli Angeli. Un’ultima citazione poi per Andrea Roncato che da tempo sognava di esser “sdoganato” grazie a Pupi: non solo si è confermato un comico di razza ma si è rivelato anche un grande attore “completo”.

 

INTERVISTA A PUPI AVATI

Come è nata l’idea di questo film?

Lo spunto è arrivato da una perlustrazione che compio da tempo nei riguardi del mondo contadino di mia madre che fondava le sue radici nella cultura rurale in cui mi sono formato – a Sasso Marconi, vicino a Bologna – e dove la mia famiglia era “sfollata” a causa della guerra. Si sa che i primi anni di vita di una persona sono quelli che producono un “imprinting” e io col tempo ho fatto di tutto per non liberarmi di quei ricordi: a quell’universo sono molto riconoscente e se sono diventato regista lo devo a quel contesto così particolare in cui ho imparato a fantasticare.

 

Che cosa le interessava raccontare con Il cuore grande delle ragazze?

Soprattutto il modo di essere maschi e quello di essere femmine in anni molto diversi da quelli di oggi. Mi è piaciuto dar vita alla “scandalosa” proposta di analizzare certe mentalità molto differenti dalle attuali attraverso la storia di un matrimonio che è in gran parte uguale a quella dei miei nonni. Mia nonna e le donne degli anni ’20, infatti, somigliavano molto alla ragazza che si innamora del nostro protagonista Carlino Vigetti, il tipico “Sbagerla”, come viene soprannominato in Emilia, un uomo completamente inaffidabile e alla continua ricerca di conquiste. Un tipo che nessun genitore vorrebbe per le proprie figlie. La capacità di piacere alle donne non ha che fare con la bellezza o la ricchezza, è un talento misterioso ed occulto che uno ha o non ha. La storia di quello che fu il matrimonio dei miei nonni materni mi è sembrata perfetta per ricavarne una commedia brillante e luminosa: mia nonna si innamorò dell’essere umano peggiore di tutta Sasso Marconi e arrivò illibata alla prima notte di nozze nonostante mio nonno avesse cercato in mille modi di… anticipare l’evento.Obbedendo alle regole di tanta narrativa sui matrimoni ostacolati, alla fine le nozze si avranno da fare e si faranno, ma Carlino continuerà a essere l’uomo inaffidabile di sempre. Arrivati nell’ albergo in cui alloggiavano per la luna di miele, lui con un pretesto si allontanò per quattro ore e tradì la moglie sposata poco prima: credo che per l’epoca una simile eventualità non fosse affatto rara. La nonna scappò a Bari per tre mesi ma poi tornò a casa e il matrimonio andò avanti nonostante lui continuasse regolarmente a tradirla: ricordo le urla della nonna tutte le volte che trovava in casa le foto delle altre donne. A differenza della nostra epoca (in cui se ne parla tanto senza che ci si dedichi troppo), il sesso in passato era praticato con continuità, costanza ed innocenza, la gente sapeva a malapena leggere, le prospettive e gli interessi non erano tanti, non si andava al cinema, si faceva poco sport e gli uomini si dedicavano alla caccia, ai caffè,all’osteria ma soprattutto alle donne. L’attrazione sessuale era una prerogativa dei maschi, il piacere rappresentava un loro territorio esclusivo. Questo film è dedicato alle donne che in quegli anni avevano un cuore enorme ed un’incredibile capacità di sopportare, capire e perdonare i comportamenti dei mariti, cosa che le donne di oggi difficilmente accetterebbero. E la vita le risarciva di questa generosità, dando loro un misterioso ascendente definitivo sugli uomini, che alla fine tornavano sempre da loro, sovrane indiscusse della casa. Il cuore grande, le donne, lo conservano ancora oggi. Forse non sono più disposte a perdonare come allora, ma hanno conservato uno sguardo sulle cose molto ampio, riescono ad avere un misterioso coinvolgimento nelle relazioni, sono più affidabili. Si appassionano di più a quello che fanno e hanno una dose maggiore di sensibilità. È incredibile pensare alla resistenza a quell’epoca di un istituto come il matrimonio Il cuore grande delle ragazze (oggi i  legami sono tutt’altro che eterni, saltano in aria per niente, dopo un anno o due ogni pretesto è buono per farli finire..), sia mia nonna sia la nostra protagonista non hanno ceduto mai, così come non hanno poi ceduto nemmeno i rispettivi mariti. È commovente pensare a quello che è stata mia nonna per mio nonno, insistette nel volerlo sposare proprio perché lui era così inaffidabile. Del resto anche diversi anni dopo, quando io ero giovane, i tipi inaffidabili sono sempre piaciuti di più della gente normale, io ad esempio dovevo fare di tutto per sembrare meno “bravo ragazzo” altrimenti non si arrivava a niente: per avere una mia allure e darmi un tono ho dovuto cominciare a bere, sono stato un uomo che ha sempre rincorso le donne con una fatica terribile, poi ne ho raggiunta una, l’ho sposata e ci vivo da 46 anni…

Qual è secondo lei l’attualità di questo nuovo film?

Prima di dedicarmi a questo progetto provenivo da due esperienze professionali che guardavano al mondo con uno sguardo poco gioioso e rassicurante: Il figlio più piccolo che riguarda la corruzione dilagante e Una sconfinata giovinezza, una vicenda incentrata sull’Alzeheimer, difficile, dolorosa, “plumbea”, ma a me molto cara. Sentivo pertanto la necessità e il desiderio di entrare in una storia luminosa, festosa, leggera ma con un suo significato. Vedendo questo film oggi forse il pubblico sarà portato a pensare che molti dei fatti rievocati siano inventati, invece provengono in gran parte dalla realtà vissuta. Il racconto dell’oggi si è spogliato dello ieri, siamo tutti insoddisfatti del nostro presente da un punto di vista economico, sociale, politico, morale, etico ma è raro che lo si viva pensando di paragonarlo al passato. Credo invece che non faccia male raccontare ogni tanto come eravamo ieri, anche se ovviamente questo non vuol dire che io vagheggi nostalgicamente un ritorno a quegli anni. Quando racconto il tempo passato mi sento più libero di inventare mentre invece mi risulta difficile immaginare un oggi più “fresco”, c’è sempre un certo incupimento in agguato.

Che cosa può raccontare a proposito della scelta degli attori?

Mio fratello Antonio mi parlava da tempo di Cesare Cremonini e una sera l’ho visto per caso in una trasmissione tv. Essendo una pop star pensavo dovesse obbedire a certi stereotipi “maledetti”, invece si trattava di un bravo ragazzo che parlava di famiglia con una compostezza che ho riconosciuto essere la mia: le cose che diceva, il suo modo di pensare mi hanno ricordato il modo di essere bolognese di sempre e l’ho cercato subito perché ho rivisto in lui molto di me stesso alla sua età.

Anche Micaela Ramazzotti mi è stata suggerita da mio fratello, aveva lavorato da ragazzina in alcune nostre produzioni, è una bravissima attrice ma in questa occasione ho voluto che il personaggio fosse quello di una donna romana come lei, le ho dato la possibilità di recitare con la sua vera inflessione e ho trovato in lei dei potenziali brillanti da sviluppare perché è un grande talento comico. Gianni Cavina interpreta il ruolo di un facoltoso possidente patrigno della protagonista sposato in seconde nozze con Manuela Morabito, un’ex impiegata postale romana. Il padre di Carlino è interpretato da Andrea Roncato, perfetto perché recita forse per la prima volta con misura e credibilità. Massimo Bonetti è lo zio di Cremonini che ha sposato un’ ex prostituta (Sydne Rome) rimasta senza un occhio, altro dato che proviene direttamente della nostra infanzia. Quello che mi induce a scegliere un attore è la curiosità, che è l’energia e il propulsore di ogni aspetto. La cosa più importante è che io abbia davanti a me una persona dotata di umanità e generosità. Se poi ha un vissuto esterno al Il cuore grande delle ragazze mondo del cinema, è anche meglio, perché lo porta con sé sul set e quindi nel film. È questo il motivo per cui non faccio mai provini, mi fido dell’intuito mio e di mio fratello e finora è andata bene. Poi c’è senz’altro da parte mia una vicinanza pressante e affettuosa, una certa complicità che permette di creare rapporti in grado di produrre certi risultati e da parte mia una grande riconoscenza per gli attori che ho diretto.

 

 

INTERVISTA A CESARE CREMONINI

Che cosa ha provato quando è stato contattato da Pupi Avati per questo film?

Onestamente ho pensato a un bellissimo regalo del destino, ammiro da sempre il suo cinema e sognavo da tempo, in segreto, di poter lavorare un giorno con lui: in fondo questo è il primo vero film, la precedente esperienza come attore era stata piuttosto inconsapevole, una sorta di divertente vacanza nata dal successo che avevo raggiunto con i Lùnapop. Quando Pupi mi ha telefonato dicendomi che era stato colpito da una mia intervista televisiva e che voleva offrirmi un ruolo nel suo nuovo film, mi sono sentito fortunato ed onorato, ma immaginavo che mi cercasse per una comparsata o poco più. La parte che voleva affidarmi, invece, era quella del protagonista e, con mia grande sorpresa ho scoperto che l’avevo già ottenuta “sulla fiducia” perché lui non pensava di sottopormi a nessun provino: non mi aveva mai visto prima di allora ma voleva me e basta. Un vero artista si fida del proprio intuito.

Che impressione ne ha ricevuto in seguito?

Mi sono accorto col tempo che si trattava di una persona che andava oltre ogni mia ottimistica aspettativa, non avevo mai incontrato nessuno che sapesse conciliare così bene e con grande poesia, ricchezza d’animo e generosità artistica, una visione acuta e precisa della realtà e un certo sano cinismo. Per un giovane come me che si trova in una fase intensa della vita come quella attuale, questa occasione ha rappresentato un dono inestimabile, qualcosa di unico sia da un punto di vista artistico che umano. Del resto, ho scoperto, il mio è un punto di vista comune a tante altre persone: ogni volta che ho ascoltato o letto un grande attore parlare di Pupi e del suo lavoro insieme a lui, gli ho sentito riferire più o meno le mie stesse sensazioni con la mia identica meraviglia..

Come definirebbe questo film e che cosa rende secondo lei Avati un regista fuori del comune?

È una bella favola surreale e fantastica che si intreccia al realismo tipico dei ricordi che si perdono nel tempo e che certe volte come nelle favole ritornano coloriti: solo un maestro come Pupi poteva mescolare così abilmente la ricostruzione fedele degli anni 30 con la poesia che nasce dalla memoria. Quello che lo rende così diverso dagli altri suoi colleghi è la costante curiosità che insieme all’amore continua ad essere il motore principale della sua ricerca artistica: una grande parte dei suoi film è sempre dedicata all’amore, anche quando magari viene raccontato in forma di follia o con venature di sarcasmo. Nonostante non sia più un ragazzino, Pupi è una persona che continua a cercare, nel cinema, nella letteratura nell’arte e nella vita.

Che approccio ha avuto con il suo personaggio e con la vicenda portata in scena?

È stato tutto piuttosto facile da subito, Avati mi ha chiesto quello che in fondo per me è la cosa più semplice, di essere naturale e spontaneo per dar vita ad un ragazzo degli anni Trenta della provincia bolognese. Carlino, le cui vicende sono ispirate a quelle reali vissute dal suo vero nonno da giovane, a Sasso Marconi, durante il ventennio fascista. Senza mezzi né titoli di studio si ritrova indeciso tra il sentimento verso la ragazza che scopre di amare (e che decide di sposare, creando scompiglio in varie famiglie) ed il richiamo indomabile degli impulsi carnali verso qualsiasi donna gli capiti a tiro. Pupi mi ha raccontato il mio personaggio e il contesto in cui si muove prima che io leggessi il copione, sapeva bene che avrei dovuto cercare dentro di me le corde di questo ragazzo figlio di mezzadri che in qualche modo mi somigliava: questa vicinanza l’ho scoperta rispecchiandomi pienamente in lui perché anche io sono una persona che tende ad idealizzare l’amore, considerandolo spesso qualcosa di alto,  sacro ed irraggiungibile, ma allo stesso modo convivono in me una certa leggerezza e una voglia di conoscere la realtà dell’universo femminile che mi sembrano molto terrene e carnali. In un primo tempo non mi era chiaro se Carlino fosse un uomo che pensa all’amore vero o un mascalzone che vuole solo portarsi a letto tutte le donne che incontra. Pupi però per vincere le mie perplessità mi ha fatto notare che anche io sono così nella vita: nelle mie canzoni canto l’amore, inseguo l’amore puro ma poi vengo costantemente attratto dal mondo femminile, anche nei testi che scrivo questi due aspetti convivono perfettamente.

Come si è trovato ad interpretare un uomo degli anni ‘30?

Piuttosto a mio agio, mio padre oggi ha 80 anni e quando sono nato io ne aveva oltre 50, il suo modo di essere genitore e di educare non somigliava tanto a quelli di un uomo moderno ma sembrava tipico di uno delle generazioni passate. Sono cresciuto a Culunga, un piccolo paese a 10 chilometri da Bologna, in una casa di campagna con le galline, e la bellissima ambientazione negli anni ’30 del nostro film mi ha ricordato molto da vicino la mia adolescenza. I punti chiave della nostra storia sono due. Il primo è il rapporto tra gli adulti ed i ragazzini, che era molto più marcato negli anni ’30 rispetto ad oggi, i “grandi” decidevano da subito quello che sarebbe accaduto ai loro figli nel loro futuro: nel nostro caso Carlino viene utilizzato come oggetto di scambio da suo padre (Andrea Roncato) perché sposi una delle figlie zitelle di una famiglia benestante al fine di ottenere la concessione  di lavorare la loro terra come mezzadro per ulteriori 10 anni. Il secondo, più intimo, è quello che si crea tra il prota gonista e la donna di cui si innamora, la bellissima sorellastra delle suddette zitelle, Francesca (Micaela Ramazzotti), figlia di un facoltoso possidente (Gianni Cavina) rimasto vedovo e risposatosi con un’improbabile signora romana. Credo che si tratti di un racconto in grado di raccontare benissimo la femminilità , il modo di essere donna in un’epoca come gli anni ‘30 in cui la condizione femminile voleva dire soprattutto sopportare il maschilismo e la libertà.. di libertinaggio degli uomini, ma anche conservare una composta dignità.

Sul set avete seguito fedelmente il copione o potevate assecondare la vostra creatività del momento?

Pupi da persona intelligente chiede sempre ai suoi interpreti di coltivare la loro spontaneità, quando sentiva che una mia eventuale naturalezza sarebbe stata utile alla scena mi lasciava improvvisare volentieri, soprattutto nelle sequenze brillanti. Questo film portava con sé un insolito tipo di allegria surreale e così mi divertiva molto l’opportunità di inventare qualcosa di mio strada facendo, forse perché mi trovo in un momento in cui la spontaneità e la creatività sono alla base della vita di ogni giorno. E così grazie all’ottimo rapporto che si era creato con gli attori e con la troupe, è stato bello mettersi in gioco e verificare fin dove si poteva arrivare. Tutti ci sentivamo comunque tranquillizzati dalla fiducia in una guida sicura ed esperta come quella del regista.

 

 

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