DAL 22 GIUGNO Chef La nuova commedia gastronomica con Jean Reno Tutte le curiosità
DANIEL COHEN REGISTA E SCENEGGIATORE
Reinventare la ricetta
Dopo l’uscita del mio film precedente, LES DEUX MONDES, Sidonie Dumas, la mia produttrice e direttrice della Gaumont, desiderava proseguire la nostra collaborazione e mi ha chiesto quali fossero i miei progetti. Avevo una gran voglia di fare un film con un duo come protagonista. Agli esordi della mia carriera sono stato un attore di teatro e mi è capitato spesso di interpretare questo tipo di ruoli, in classici come quelli di Shakespeare, Goldoni, Molière e Feydeau. È una dinamica che mi piace molto. Anche l’universo della cucina è arrivato rapidamente. Da giovane avevo una vera e propria passione per la cucina, e secondo me il mondo della grande gastronomia non veniva trattato sul grande schermo da parecchio tempo. All’epoca in cui è nato il progetto, la gastronomia francese non andava affatto di moda e i concorsi culinari non avevano ancora invaso la televisione. Il soggetto mi appariva come un terreno vergine. Si era parlato di ristoranti, di caffè, gli Americani avevano fatto RATATOUILLE, ma dai tempi di L’ALA O LA COSCIA e CHI HA RUBATO IL PRESIDENTE sono trascorsi trentacinque anni senza che nessuna commedia degna di nota abbia trattato questo mondo particolare. L’entusiasmo che suscita al giorno d’oggi la cucina, tanto nei media quanto nella vita delle persone, offre una bella eco a questa storia che, oggi più che mai, è diventata di grande attualità.
Le mani in pasta
È la prima volta che scrivo un film su un mondo di cui ignoro tutto, perciò mi sono documentato moltissimo. Ho incontrato dei grandi chef come Alain Passard, Alain Ducasse e Pierre Gagnaire. Sono andato nelle loro cucine, ho parlato con loro. Quando si entra per la prima volta in una cucina stellata si ha l’impressione di penetrare nelle gioiellerie di place Vendôme. Vederli curare ogni minimo dettaglio con una cura e una precisione incredibili è affascinante. I cuochi sono delle persone impressionanti. La loro passione li colloca in un altro mondo. Con ogni piatto, ogni giorno, rimettono in gioco la loro reputazione e il loro rango. Devono costantemente cercare la perfezione e lottare contro la routine. Quando arrivavo da loro, avevo quasi l’impressione di arrivare da un maestro della pittura del XVIII° secolo. Gli apprendisti che li circondano compongono i piatti come se creassero una tela. Possiedono un lato demiurgo e possono arrivare a parlare di un legume come si parla di un Rembrandt. Quello che riescono a fare con dei semplici legumi è incredibile. Da Alain Passard ho avuto la possibilità di gustare un consommé di piselli che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. Ho avuto l’impressione di non aver mai mangiato prima, o forse al contrario di aver ritrovato un sapore dell’infanzia. È una cucina appassionante che mi ha colpito molto. Partendo da ciò che conoscevo come dilettante e da quelle visite ho tratto una materia, delle scene, delle situazioni a cui, assieme a Olivier Dazat, il mio co-sceneggiatore, abbiamo dato una struttura. Avevo voglia di utilizzare un approccio ludico al cibo, di vedere quel grande chef mangiare dei dadini o degli spaghetti blu. Ci tenevo a certi dettagli, a inserire elementi emblematici o rivelatori di un ambiente e di un mestiere affascinanti che, successivamente, abbiamo incorporato in questo incontro tra un maestro della gastronomia e un fan, che conosce ogni cosa del lavoro del suo idolo.
Toccare il cuore attraverso le papille
La cucina è un soggetto molto forte che tocca allo stesso tempo l’intimo delle persone e il loro immaginario. Ci sono piatti che consumiamo ogni giorno, pietanze che ci fanno provare sensazioni diverse, le persone per le quali cuciniamo, coloro che ci amano… La cucina tocca tanti aspetti differenti. È un’attività umana piena di sentimenti e di emozioni. In questo contesto bisognava riuscire a dosare tutti gli ingredienti della storia, come in una ricetta: commedia, dramma e sentimento. Siamo in una commedia ma, anche se certi passaggi arrivano quasi a sfiorare il ridicolo, la realtà di questa passione e l’umanità dei personaggi non dovevano mai passare in secondo piano. Tutte le situazioni, per quanto pazzesche siano, compongono la storia e sono al suo servizio.
A contatto l’uno dell’altro, i due personaggi principali reagiscono. Il più anziano dei due ritrova la voglia delle cose, dopo essere arrivato a perderle di vista, mentre il più giovane, alla fine, trova il modo di realizzarsi. Mi piaceva l’idea di sviluppare un incontro tra un appassionato spinto dalla passione, dalla curiosità, desideroso di diventare un professionista, e una persona che, invece, è un po’ stanca di tutto. Assieme i due cambiano, si rimettono in gioco e si migliorano a vicenda. È un’idea semplice ma bella che acquisisce tutta la sua dimensione nel momento in cui viene incarnata da persone della dimensione e della profondità di Jean Reno e Michaël Youn.
Pentole contro provette
Durante le mie ricerche mi sono reso conto che la cucina raggruppa numerose correnti il cui scopo non è mai il medesimo. La cucina industriale mira a nutrire la massa, mentre la cucina gastronomica cerca di offrire il meglio attraverso delle sensazioni che vengono reiventate di volta in volta. Nell’ambito dell’alta cucina esistono movimenti differenti che qualche volta si scontrano. Ho constatato che la cucina molecolare è molto apprezzata dalle guide e, attualmente, è anche quella più stimata dai critici. Lo spagnolo Ferran Adrià è uno dei più celebri rappresentanti della cucina molecolare, ed è per questa ragione che c’è uno spagnolo nel film, interpretato dalla star comica, Santiago Segura. Nella storia c’è anche un giovane chef inglese, perché vanno molto di moda. Mi sono divertito a giocare con questi riferimenti, sono per gli intenditori che vedranno il film. Le mie ricerche mi hanno permesso di integrare questa realtà nella mia storia. Per quanto mi riguarda, non ho voluto prendere parte a questi dibattiti. Il vero verdetto è quello che ciascuno prova assaggiando. Diversamente da quello che dice il personaggio di Michaël quando è depresso, le persone sono perfettamente in grado di riconoscere la qualità.
Scegliere dei buoni ingredienti
Ho avuto la possibilità di mettere assieme il cast che volevo. Chi altri se non Jean Reno poteva incarnare un grande chef francese? Lui ha la statura e la forza necessarie, e inoltre porta tutta la sua umanità. Nel ruolo di quest’uomo di talento, discreto ma caparbio, è perfettamente credibile, e i valori dell’alta gastronomia gli si addicono perfettamente. L’abbiamo contattato molto presto, e anche se il progetto gli piaceva, non era disponibile. E allora abbiamo deciso di aspettarlo. La ragione della scelta di Michaël Youn è anch’essa evidente. Già dopo la mia prima regia, volevo proporgli di partecipare a uno dei miei film. Forse è perché vengo dal teatro, dove Arlecchino è il mio personaggio preferito, che amo quei personaggi un po’ banditi ma affascinanti, che non sai mai se sono dei pazzi o dei geni. Avevo voglia di lavorare assieme a Michaël e lui ha accettato immediatamente.
Avevo notato Raphaëlle Agogué in VENTO DI PRIMAVERA e l’ho incontrata per il ruolo della compagna incinta del personaggio di Michaël. Il suo fascino, la sua vivacità e la sua serietà rendono credibile l’indipendenza di questa giovane donna. Lei non ha bisogno di lui e può lasciarlo anche se è incinta. Il fatto di perderla rappresenta un rischio enorme per Jacky. Nel ruolo del cattivo, Julien Boisselier da prova di un’eleganza velenosa. È allo stesso tempo magnifico e spaventoso. Abbiamo riso moltissimo sul palco. Adoro quel che fa, la sua dizione, il suo modo di possedere il testo alla perfezione e di recitarlo con virtuosità. Volevo che Jean e Michaël fossero circondati da attori solidi e Julien è perfetto nel suo ruolo. Lo conosco da molto tempo perché avevamo lavorato assieme come attori in un film. L’ho sempre tenuto in un angolo della mia mente. Nel ruolo della figlia del personaggio di Jean, Salomé Stévenin è stata formidabile sin dalle prove. Come tutte le donne del film, ha carattere e stile. È formidabile nel suo rapporto con Jean. Sul set si commuoveva di fronte all’interpretazione di Jean, ed entrambi erano davvero toccanti.
Primi aromi
Al di là delle loro rispettive qualità, ero impaziente di vedere come Jean e Michaël avrebbero funzionato assieme. Il giorno delle prove abbiamo fatto una specie di teaser per presentare il film. Come accade nella trasmissione che presentano nel film, Jean e Michaël annunciano che stanno per cucinare qualcosa. La complicità è stata immediata. C’era qualcosa nel loro rapporto sul set che era molto simile ai loro personaggi. Jean, il più anziano, benevolo e solido contro Michaël, sempre in agguato, guardano verso il grande fratello con sguardo ammiccante. La loro intesa e complementarità sono una delle grandi forze del film. Vederli formare questo duo è davvero meraviglioso. La prima scena del film che abbiamo girato è stata quella del loro incontro, nel cortile della casa di riposo. Ci troviamo subito nel centro della storia. Ci troviamo anche in un paradosso perché quello che sta giù psicologicamente sta su fisicamente, mentre l’altro si trova nella situazione in cui si chiede chi sia davvero il maestro. Dalla sceneggiatura mi ero immaginato Alexandre che solleva la testa verso una persona che si trova in fondo a un abisso … Questa scena riassume un po’ lo spirito del film, è uno di quei momenti che solo la vita sa orchestrare
La sorpresa dello chef
Sapevo che avere due personalità così forti sul set avrebbe richiesto grande energia da parte mia. Non volevo sprecare quest’opportunità, e allora Jean, Michaël ed io ci siamo preparati moltissimo. Volevo che si sentissero bene, che potessero portare quanto più possibile nei loro personaggi, senza perdere il tono particolare che desideravo ottenere. Durante le riprese, tutti i sabati ripetevamo le sequenze della settimana successiva. Jean e Michaël, ciascuno a suo modo, mi hanno costantemente sorpreso. Michaël, nonostante il suo fantastico humour, ha una grande sobrietà. Improvvisamente, è la sua umanità e la sua dolcezza che scopriamo. Senza perdere la sua energia riesce a essere toccante, ben oltre a quello che avrei immaginato. Credo che nella vita sia abbastanza simile al personaggio di Jacky. Jean mi è piaciuto molto perché non fa mai quello che ci si aspetta da lui. I grandi cuochi dicono che la cucina è un gesto, ed è quello che Jean apporta alla ricetta che gli si propone. È come un prisma attraverso il quale s’inviano tante informazioni, lui riesce a integrarle per fare scaturire un colore solo. Ha una presenza incredibile e molto commovente
Affannarsi ai fornelli
Abbiamo girato il film in otto settimane a Parigi e nei suoi dintorni. Le scene della cucina sono state girate presso la Scuola Grégoire-Ferrandi. È lì che generazioni di grandi chef francesi e stranieri hanno studiato. È un ambiente davvero spettacolare. Per il ristorante di Alexandre, il Cargo Lagarde, ci siamo immaginati un luogo che fosse la quintessenza di ciò che immaginano le persone quando si parla di gastronomia d’eccezione. Ma ambienti di questo genere per dei ristoranti sono estremamente rari da trovare, perciò li abbiamo creati noi. Per quanto riguarda il ristorante molecolare di gran moda, dove Jean e Michaël si travestono da giapponesi, abbiamo girato nel sottosuolo dell’Istituto del Mondo Arabo. L’architettura e le colonne sono di Jean Nouvel, ma tutti quei straordinari ambienti sono merito del grande talento dello scenografo Hugues Tissandier
Si mangia anche con gli occhi… e con le orecchie
Non volevo una regia che accumulasse elementi gratuiti. Doveva seguire da vicino i personaggi nella storia. Immaginavo un film caratterizzato da una forma classica ma con l’energia del giorno d’oggi. Ho avuto la possibilità di essere circondato da tecnici ineguagliabili, come il grande Robert Fraisse, che mi ha permesso di avere un’immagine elegante, luminosa e appetitosa! Sono state delle riprese solo apparentemente facili, perché in molte scene ci sono venticinque persone vestite di bianco che cucinano su uno sfondo bianco e inox, ed era necessario riscaldare tutto questo insieme. Ogni piatto doveva essere bello, ogni viso essere caldo. Non è stato semplice. Per la prima volta, ho girato con due macchine da presa, spesso sullo stesso asse ma su focali differenti – perché volevo avere molto materiale per dare ritmo al montaggio. Questo mi permetteva di catturare ogni dettaglio dell’interpretazione degli attori, senza perdere il loro movimento d’insieme. Le sequenze della cucina erano tecnicamente complesse perché dovevano essere credibili. Non potevamo accontentarci di persone che facessero finta di cucinare. Perciò abbiamo usato dei cuochi veri, allievi cuochi o cuochi esperti, che preparavano realmente i piatti. È stato più facile avere dei cuochi a cui davamo consigli di recitazione, che degli attori che avessero imparato i gesti dei cuochi. Uno degli altri elementi che danno ritmo al film è la musica. Io desideravo avere una vera musica da commedia, latina, con un tocco di Vivaldi ma senza la pomposità della musica classica. È Nicola Piovani, premio Oscar per LA VITA E ‘ BELLA di Roberto Benigni, che l’ha composta e sono molto contento del risultato. Il tono leggero che immaginavo è tutto là, paradossalmente, sebbene sia italiano, c’è anche qualcosa di molto francese!
Dopo l’abbuffata
Sono un attore, uno sceneggiatore e un regista. Fortunatamente nessuno mi chiede di scegliere, ma credo che se dovessi farlo sceglierei la regia. È quello che ho sempre sognato di fare. La pratica di ciascuno di questi mestieri si riflette sugli altri. Alla fine, c’è un piacere infantile nel ritrovarsi con tutti questi mezzi e assieme a tutte queste persone per raccontare una storia. È un privilegio assoluto. Adoro gli attori. Vedere Jean e Michaël funzionare nella loro complicità è un privilegio. Amo lavorare con le persone di un talento come il loro, di un tale carisma, di una tale energia, che esprimono così tanta umanità… Dalle risate a crepapelle con Olivier Dazat, mentre scrivevamo la scena in cui Michaël e Jean gustano un vino pregiato in una cantina – l’ultima scena a essere girata – passando per la registrazione della musica, ho amato tutto nel percorso di questo film. Anche lo sviluppo è stato delizioso nel vero senso del termine! In CHEF, più che mai, ho avuto l’impressione di lavorare in equipe. È una sensazione importante. In questo film, anche se sono io il creatore dell’opera, ci sono mille idee che non sono mie ma che sono nate da scambi e dalla voglia comune di offrire il meglio al pubblico. Questi rapporti umani sono assolutamente indispensabili. Assomigliano molto a ciò che possiamo trovare in una cucina …
Cucinare per il piacere degli altri La mia ambizione era fare un film che facesse venire fame – sia di cibo che di rapporti umani – e che facesse anche venire voglia di cucinare. Sin dall’inizio, avevo voglia di fare un film popolare, vivo e fresco. Caratterizzato da una forma classica e nobile ma in cui il mio gusto naturale venisse contrastato da una serie di piccoli dettagli sorprendenti. Questa sembra proprio la ricetta di un piatto ideato dal personaggio di Jean Reno e creato da quello di Michaël Youn!
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