Intervista al Maestro Ennio Morricone – Di Paolo Calcagno

 

 

Intervista di Paolo Calcagno a Ennio Morricone, alla Mostra del Cinema di Venezia 2009.

 

VENEZIA – “La musica  può essere gioia e delizia per chi l’ascolta. Ma per chi la scrive è fatica. Il compositore ha un’idea iniziale che può essere poco più che nulla, poi la elabora nella sua mente e poi scrive e cancella e butta via. E ,poi, ricomincia daccapo. Come qualsiasi altro atto creativo, comporre musica è un atto sofferto. La musica non nasce in maniera romantica, guardando il cielo e catturando l’ispirazione: la musica è un lavoro faticoso. Anche se, a volte, è vero che basta sedersi al pianoforte per improvvisare: Chopin aveva sedotto un sacco di donne in questo modo”.

La “fatica” e la “sofferenza creativa” di Ennio Morricone, 81 anni, hanno attraversato oltre 50 anni di musica e hanno dato vita a più di 400 colonne sonore di film e a un centinaio di composizioni di musica “assoluta” (non applicata ad alcun altro genere artistico). Musicista già a 18 anni, poi allievo di Goffredo Detrassi ai suoi corsi di Composizione al Conservatorio di Roma, Morricone scrive il suo primo tema da film per “Il Federale”, di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi: Era il 1961. Dal ’64 in poi incomincia il sodalizio con Sergio Leone e i suoi western-spaghetti che gli darà successo e notorietà di livello mondiale: 27 Dischi d’oro, 7 di platino e una numero altissimo di premi e onorificenze, fra i quali 5 nominations all’Oscar, 3 Golden Globe, un Grammy Award, un Euroepan Film Award, il Leone d’oro e l’Oscar alla Carriera, e quest’anno la Legione d’Onore francese e l’ingresso nel Grammy Hall of Fame con la musica de “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo”.

 

“Fu un maestro del Conservatorio di Roma a consigliarmi di studiare composizione. Lui era così orgoglioso dei miei compiti di composizione e mostrava nelle classi quello che scrivevo. E, così, mi convinsi a iscrivermi ai corsi di Goffredo Petrassi. Era il Natale del ’54 e avevo 26 anni. Sarabanda, tango, cigo, ho scritto tante danze per Petrassi, ma non ne ero mai soddisfatto. Quella era una classe di fenomeni e io non avevo grande confidenza con quelle musiche. Insomma, non ero contento di me stesso e, forse, nemmeno lui di me, anche se non me lo ha mai detto. Ma quando passai allo studio del “Ricercare” tutto cambiò. Il “Ricercare” è una forma contrappuntistica che precede la “Fuga” di almeno un secolo e Frescobaldi è il mio preferito. Scrissi un “Ricercare” per Petrassi che era davvero una cosa molto buona, tanto che ancora oggi molti artisti lo eseguono”.

   – Ha scritto centinaia di composizioni per il grande schermo: c’è un rapporto di dipendenza tra musica e immagini?

“La musica applicata è una componente importante di un’altra arte che è principale: il Cinema, il Teatro, eccetera. Se scrivo una musica per Tornatore , ad esempio “Baaria”, importante è il film, mentre la musica rimane complementare, anche quando ha un’importanza fondamentale. “Assoluta”, invece, è quella musica che non dipende da un’altra arte, ma solamente dalla passione e dal lavoro del compositore, e non ha condizionamenti di sorta.

    – Per un compositore di musica da film c’è autonomia dalle scelte del regista?

“Naturalmente, il regista è l’autore centrale del film e le sue scelte sono risolutive. Ma questo non vuol dire che il compositore è uno schiavo del regista. Tutto dipende dalla sua dignità artistica e dalla sua capacità: gli stilemi compositivi devono sempre venir fuori, è come un’analisi grafologica: la calligrafia non cambia quando si scrive e così lo stile di un compositore esprime sempre la sua esperienza e la sua personalità. Lo stile è una libertà che sta al di sopra dei condizionamenti, perché il compositore non può ridursi a servitore passivo di un’opera cinematografica, o teatrale, o d’altro genere di spettacolo”.

    – Pensa che la musica possa essere indipendente dalle immagini di un film?

“ Ho considerato certi film che hanno applicato una musica preesistente (Mahler in “Morte a Venezia”, Bruckner in “Senso”) e mi sono chiesto se fosse giusto scrivere delle musiche che avessero già da sole una ragione di esistenza. Così, mi sono regolato scrivendo musiche, che nel rispetto della temporalità, abbiano un loro senso indipendentemente dal film. E sono giunto alla conclusione che il compositore debba applicarsi al Cinema, ma che la musica può essere preesistente al film stesso. E’ un ragionamento abbastanza contorto, lo so, ma non cambia il rapporto con il regista. Perché il compositore può rispondere passivamente alle esigenze del regista oppure con una musica che abbia una sua autonomia dal film”.

   – Perciò la musica può essere generata prima delle immagini?

“Qualche volta la musica incomincia a nascere da una riflessione sul copione del film. Cinema e musica hanno una qualità identica che è la temporalità. Se vogliamo dare un parere su un film dobbiamo aspettare che finisca e lo stesso vale per una musica, che sia di Beethoven o di Mozart. Questo vuol dire che la durata dell’evento sonoro di una musica applicata al film deve essere della stessa qualità della temporalità di quest’ultimo. Se un regista chiede un pezzo di 20 secondi si può essere certi che non funzionerà. Sergio Leone è stato fra i primi a intuire la forza di questa implicita qualità fra il Cinema e la Musica. Quindi, mi ha sempre invitato a scrivere dei pezzi con un inizio e una conclusione logica, cioè con un senso compiuto. Perciò, i miei pezzi hanno funzionato di più con i film di Leone che con quelli di altri registi. E la stessa cosa si è verificata anche con gli ho 8 film che ho musicato per Tornatore, fino a “Baaria” ”.

 

   -Con Tornatore per “Baaria” ha messo in musica la Sicilia.

“Ho incominciato a lavorarci due anni e mezzo fa, riferendomi al copione che mi aveva dato. A ottobre 2007 registrai  già 8 pezzi, assieme a Tornatore decisi di scartarne subito 2: sono rimasti gli altri 6 che oggi sono nel film, anche se per qualcuno ho operato dei cambiamenti strumentali e di durata, ma i temi sono rimasti quelli. Ad arrivare dopo è  stata la Tarantella che è il tema delle sommosse, il tema politico della rivolta popolare: l’ho scritto all’inizio di quest’anno. E’ stato un lavoro molto lungo che ho terminato una decina di giorni prima della Mostra di Venezia. L’ispirazione? Certo, ho guardato al testo. Inoltre, ho una moglie siciliana e conosco piuttosto bene la Sicilia e i difetti e le tante qualità dei siciliani.  Avevo già partecipato ad altri film sulla Sicilia, fra i quali “Il prefetto di ferro”, di Pasquale Squitieri, per il quale avevo collaborato con il poeta Ignazio Butitta e con la cantante Rosa Balestrieri. La novità in questo caso sta nella storia che è quella di una famiglia nell’arco di 70 anni”.

    – Nel caso de “La Battaglia di Algeri” Gillo Pontecorvo è stato l’unico regista che ha firmato con lei le musiche di un film. Come è accaduto?

“Quando mi chiamò per “la Battaglia di Algeri”, Pontecorvo mi disse che lui aveva già il contratto con il produttore per scrivere le musiche del film. “E perché mi hai chiamato?”, gli domandai. E lui mi rispose che aveva sentito la colonna sonora di “Per qualche dollaro in più” e che le era piaciuto moltissimo. Così, voleva che mi occupassi anche de “La Battaglia di Algeri”. “Però – aggiunse – devo firmarla anche io perché c’è questo contratto”: Non so se fosse una scusa: nei suoi documentari, prima di “Kapò”, Pontecorvo aveva fatto scrivere ad altri le musiche che lui aveva registrato fischiettando. Per molto tempo, con questo sistema avevamo cercato assieme i temi del film. Gli facevo sentire al pianoforte ciò che aveva registrato con i suoi fischi. Ma non eravamo mai d’accordo: a lui non piacevano i miei temi e a me non piacevano i suoi. Siamo andati avanti un mese e mezzo, prima di trovare la soluzione. Alla fine, centrammo il tema che, in verità, era mio, come del resto l’orchestrazione. Però, Gillo mi avuto dato un importante suggerimento, inventandosi una specie di canto “ostinato” su cui ho composto diverse variazioni. Il tema era una specie di musica nord-africana che nel film compare già quando Alì viene catturato.  Erano poche battute ripetute che possono durare sei mesi, o un anno, oppure un solo minuto. Da questa idea di base ho costruito gran parte delle musiche del film. Perciò, la sua collaborazione c’è stata e, poi, non così dilettantesca. Da lì, infatti, ho imparato l’uso di questo minimalismo, che c’era già ai tempi di Bach e anche prima (il “passo ostinato” compare già nel ‘500-‘600). In definitiva, la musica di Gillo aveva la funzione di sottolineare che la musica primitiva non è mai scritta, ma si tramanda nella memoria e, pertanto, è fatta di temi corti, cortissimi. Sono temi che nascono in Africa, arrivano in Asia Minore, approdano alla musica ebraica, e da lì alla Grecia e, poi, alla musica romana, dei cristiani, quindi si trasferiscono nella musica dei “trovatori”, viaggiano nei Paesi Bassi, in Germania, in Irlanda, e,poi, finalmente, vanno negli Stati Uniti. Negli Usa c’è l’incontro-scontro con la musica africana che dà luogo a quelli che i jazzisti chiamano “rip”, cioè quei temini brevissimi che vengono dalla musica africana nel passaggio che ha avuto durante le civiltà e il progresso del mondo occidentale. Devo dire che il tema di Pontecorvo, per me, è stato un insegnamento per il futuro: ho fatto scuola di questa sua intuizione, e non solo per le composizioni de “La Battaglia di Algeri”, ma anche per il mio successivo lavoro nel Cinema. Ho fatto molti film, usando solamente tre suoni, invece dei dieci-dodici che utilizzavo prima. Questo ha comportato alcuni vantaggi: più libertà, più precisione di scrittura e, soprattutto, una maggiore capacità di percezione da parte del pubblico. Ad esempio, “Se Telefonando” è su tre suoni; e anche in “Mission” c’è un tema che è su tre suoni”.

    – Quest’anno Il Grammy Hall of Fame di Los Angeles ha aggiunto 28 titoli di musiche “eterne”  alla sua celebre lista: come ha accolto la scelta del suo brano “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”?

“Secondo me, se ne sono dimenticati tanti altri.  “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”, oltre a essere brevissimo, ha la  caratteristica del recupero nella musica del Cinema, o anche più in generale, del suono animale: in quel tema il verso del coyote è autentico. Forse è stato per questo motivo che l’hanno inserito fra le musiche da ricordare”.

    – Prima di “Kill Bill” aveva rifiutato di comporre musica per Tarantino?

“E invece con Tarantino avrei lavorato volentieri anche prima, anche se nei suoi primi film ha messo musica mia senza consultarmi ma limitandosi a comprarla. Quando mi ha chiamato per propormi la colonna sonora del suo nuovo film  “Inglorious Bastards” (Bastardi senza gloria), mi ha dato margini di tempo strettissimi. Io stavo lavorando alle musiche di “Baaria” e non c’era alcuna possibilità di dedicarmi a un lavoro nuovo. Gli ho risposto di no, ma non ho rifiutato. Se ne poteva ricordare prima, invece di ridursi all’ultimo momento. Comunque, ancora una volta ha comperato delle mie musiche inedite, ma non le ho composte per quel film”.

 

   – Ha messo le note anche alla sua idea de “La Musica della PACE”.

 

“Ho scritto un pezzo che ho intitolato “Gerusalemme”, ma è recentissimo e nessuno lo conosce ancora. Mi sono basato su un testo molto breve del “Vangelo”, quindi cristiano,  un altro dell’Antico Testamento, perciò ebraico, e uno brevissimo del Corano, quindi islamico: sono tre distici che riguardano “La Pace” ho finito le partiture, ma ancora non l’ho dato alla stampa”.

 

   – Alcuni gruppi, come i Metallica e i Ramones, solitamente eseguono un suo brano per dare il via ai loro concerti; mentre Bruce Springsteen, spesso, li introduce trasmettendo una sua incisione originale. Come reagisce a questi omaggi che sconfinano nella contaminazione musicale?

“Sono contento che questi giovani amino la mia musica. Ci mancherebbe. E non sono contrario alle contaminazioni, purché la mescolanza di stili porti a esecuzioni buone e chiare. John Zorn, bravissimo sassofonista americano, ha fatto un paio di dischi con miei pezzi e li ha intitolati a me. Quando l’ho incontrato, sono stato molto franco: “Della mia musica ci sono i titoli e nient’altro – gli ho detto -. Non mi riconosco per niente in quello che hai fatto “ ”.

 

Paolo Calcagno   

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