Piccole bugie tra amici NOTE DI REGIA E DEGLI ATTORI

 

 

 

NOTE DI REGIA

Piccole bugie tra amici (Les petits mouchoirs) è il mio terzo film come regista e il più personale dei tre. Per questa ragione ho voluto scriverlo da solo e il lavoro è stato particolarmente intenso. Dico che è un film molto personale perché tratta un tema che mi appartiene. Appartiene a quelli della mia generazione ma può essere condiviso anche da persone più giovani o più vecchie di me. Spesso illudiamo noi stessi credendo di seppellire o di mettere da parte ciò che è troppo doloroso da affrontare. E’ allora che sviluppiamo quella fastidiosa e controproducente abitudine di raccontare “innocenti bugie”. Questo film parla di persone che hanno accettato passivamente la propria vita, il proprio lavoro o la propria sessualità senza mai chiedersi se siano effettivamente quello che vogliono dalla vita o se le loro relazioni siano davvero felici. Per vigliaccheria, forza dell’abitudine o paura di quello che non conosciamo, spesso viviamo senza mai porci domande, senza dare ascolto al nostro istinto o alle nostre convinzioni e, soprattutto, senza dare ascolto al nostro cuore. L’importanza di imparare ad ascoltare noi stessi è la cosa che volevo dimostrare attraverso i personaggi del film. Hanno tutti una debolezza, una bugia sepolta nel passato, che non vogliono ammettere. Un fatto orribile, come quello al quale vengono messi di fronte, li costringe ad affrontare le loro menzogne. Ho voluto calare questa storia in un’atmosfera da commedia e tra amici. Ma una commedia che nasconde temi molto seri, e quindi con grandi variazioni di tono del film, che passa da scene quasi ‘slapstick’ ad altre che sono, spero, molto commoventi. Sono cresciuto con film come The Big Chill di Lawrence Kasdan, Mariti di John Cassavetes e Andremo tutti in paradiso di Yves Robert. Continuano ad essere una fonte di ispirazione, non solo per il loro umorismo, ma anche per la verità che emana dai loro personaggi. Ecco perché, in questo film, ho voluto essere più credibile possibile nel parlare di amicizia, e perché ho voluto che questa credibilità fosse presente in ogni scena. Per comporre il cast del film ho scelto attori che mi piacciono e che ammiro, e che hanno in comune una cosa fondamentale: si conoscono tutti tra loro. Insisto sul fatto che si tratta di un film personale perché lo sento profondamente. Sia perché rivedo me stesso nei personaggi sia perché ho incontrato persone che sono proprio come loro. E’ molto strano perché da regista non avevo mai provato una cosa del genere per un film. Ho già girato due corti e tre lungometraggi, fra cui Piccole bugie tra amici; sicuramente è “poco”, ma è allo stesso tempo sufficiente a farmi dire che quello che ho vissuto con questo film è stato, fin dall’inizio, molto speciale per me. Diciamo che indubbiamente ho attraversato un periodo cruciale. Dopo Non dirlo a nessuno ho percorso diverse tappe, già solo per questioni anagrafiche. A 35 anni non ci facciamo più le stesse domande che ci facevamo a 20, abbiamo già incassato qualche colpo… Ho deciso di fare un lavoro di analisi. Un lavoro abbastanza importante; molto più interessante di quanto immaginassi, visto che mi ha portato a scrivere questa sceneggiatura in meno di cinque mesi. E’ in questo senso che il film è così speciale per me. Non avrei potuto fare un film più personale di Piccole bugie tra amici. Tutto è iniziato alla fine di Non dirlo a nessuno. Ho avuto un problema di salute. Avevo accumulato talmente tanta fatica tra regia, montaggio, etc, che il primo virus che è passato nell’aria è stato tutto per me! Ho avuto una setticemia che mi ha bloccato per un mese in ospedale. Quando sono uscito ho attraversato un periodo di vera depressione. Mi sono reso conto che la mia esistenza non poteva limitarsi al lavoro e che avevo il diritto di prendermi del tempo per godermi la vita. Questo mi ha fatto capire da quanto tempo stessi mentendo a me stesso sui miei desideri reali; quanto mi fossi buttato sul lavoro per non dover riflettere. Non posso raccontare di aver fatto un film così personale, senza raccontare anche di essere passato attraverso tutto questo. Grazie a questo lavoro di introspezione, ho capito un sacco di cose che mi hanno permesso di ridefinire quello che desidero davvero; di capire chi sono gli amici che contano davvero. Ho fatto pulizia nella mia vita e il soggetto di Piccole bugie tra amici ha cominciato a prendere forma. Durante l’estate del 2008 ho cominciato a scrivere mentre lavoravo su un’altra sceneggiatura che non aveva alcun legame con il mio fermento interiore di allora. C’era un’amica che divideva la casa con me per qualche giorno, e ho cominciato a raccontarle alla rinfusa le cose che mi venivano in mente, in particolare il desiderio che avevo da tempo di fare una commedia sull’amicizia. Mano a mano che gliene parlavo, mi rendevo conto che, in effetti, il film stava venendo fuori. E durante i cinque giorni successivi, le ho chiesto di farmi da “ostetrica”, in un certo senso. Lei mi ascoltava, mi faceva delle domande, reagiva alle mie parole mentre io per tutto quel tempo continuavo a prendere appunti. Le devo molto perché, subito dopo, la struttura del film era pronta. Ho scritto molte scene durante le riprese di L’affaire Farewell, nella mia roulotte, rapidamente, non appena avessi un attimo. Non avevo mai avuto tanta facilità a scrivere. C’è qualcosa di me stesso in ciascuno dei personaggi. Molte cose che vengono dette nel film fanno parte della mia vita. Dopo di che ovviamente tutto questo è stato romanzato nel film. Integrato in un lavoro classico di fiction. Ma nonostante ciò, scrivere Piccole bugie tra amici è stato molto doloroso. Proprio per questo coinvolgimento personale. E delle emozioni che mi ha costretto a rivivere. Il mio scopo era quello di fare un film intergenerazionale. Anche le parti dei bambini sono scritte a partire dai miei ricordi, di quando avevo 5/10 anni e vivevo tra adulti. C’è molto di me stesso in ciascun personaggio. Perciò ne ho scritto con la massima onestà e sincerità. Penso che sia facile identificarsi con loro. Bisogna sempre mettere qualcosa di se stessi in una storia. Quello che è vero e importante per ciascuno di noi, può esserlo anche per qualcun’altro… E comunque sarà una storia vera perché nasce da un’esperienza personale. Il confine tra le due cose è spesso labile. Tutti ricordiamo dei momenti tragici durante i quali improvvisamente siamo scoppiati a ridere. E’ quello che volevo riprodurre. La situazione nella quale si trovano i personaggi, li obbliga a passare attraverso ogni tipo di emozione e di sentimenti… Volevo mostrare come spesso le vacanze siano una valvola di sfogo che ci porta a mollare i freni… Provocando ogni tipo di reazione, dalle più comiche alle più tragiche. Ho capito che avrebbe funzionato il giorno in cui François Cluzet, dopo la prima lettura della sceneggiatura, abbastanza commosso, mi ha detto «sai, ci sono alcune scene per le quali non sai se ridere o piangere». Il film parla delle bugie che raccontiamo a noi stessi e di conseguenza agli altri: tutto ciò che non vogliamo vedere di noi stessi, che nascondiamo dietro un velo. All’inizio i personaggi passano una parte del loro tempo ad evitare le vere domande, proprio come molti di noi in alcuni momenti della vita. «Faccio davvero il lavoro che sognavo di fare?», «Vivo con la donna che amo davvero?», «Vivo la sessualità come davvero vorrei viverla?» Non a caso uso il termine “davvero”… Il senso è in quella parola… E queste domande funzionano per tutte le generazioni. E’ anche un film sull’amicizia. Mi sono apertamente ispirato ai film sugli amici, alle belle storie su gruppi di amici come Il grande freddo (The Big Chill, 1984), che resta senz’altro il mio principale riferimento. Potrei citare anche Mes meilleurs copains di Jean-Marie Poiré (1988), Certi piccolissimi peccati di Yves Robert (1976). Mariti (Husbands) di Cassavetes… Come pure molti film di Claude Sautet. Girare questo film con persone che sono amiche nella vita ha reso le cose più semplici: con Gilles (Lellouche), Marion (Cotillard) e poi con tutto il cast tecnico che mi segue dall’epoca dei miei cortometraggi, ci conosciamo ormai da molto tempo. E poi François (Cluzet), Benoît (Magimel). Persino Jean Dujardin, visto che mi sono ricordato di aver fatto con lui la scuola materna e le elementari! All’epoca i nostri genitori vivevano a Yvelines. Ma io lo avevo completamente dimenticato. E’ lui che me lo ha ricordato il giorno dell’anteprima di Mon idole (2002). «Ti ricordi della signora Pichon? Della signora Copeck?». Credi che me ne ricordassi? Neanche per sogno! Le riprese sono state intense e complicate perché avrei voluto che gli attori provassero quello che avevo provato io mentre scrivevo. Sono stato abbastanza ossessivo, chiedendo loro di seguire praticamente alla lettera quello che avevo scritto, immaginato. Non avevo mai girato un film con tanta passione. Anche se adoro Non dirlo a nessuno, credo che Piccole bugie tra amici sia un film più personale e più riuscito per il quale provo un certo orgoglio, ma senza alcuna presunzione. Sono soprattutto i personaggi a commuovermi, e ad appassionarmi. Nel momento in cui ho proposto a ciascuno il suo ruolo, ho posto due condizioni: nonostante le riprese cominciassero in agosto, ho chiesto loro di rendersi disponibili anche a maggio, per cinque giorni, per un lavoro di immersione totale a Cap Ferret. Sono riuscito così a portare tutti nella casa dove avremmo girato. Volevo che ci vivessero, che aprissero gli armadi, che sapessero dov’erano il caffè, le coperte, ecc, ecc. Che la conoscessero a memoria. Che le uscite in barca fossero naturali, che il bar della spiaggia diventasse un luogo familiare. E quando siamo tornati a Cap Ferret in agosto, avevano tutti la sensazione di aver già trascorso lì delle vacanze. Volevo anche che si conoscessero, che le coppie cominciassero a formarsi e che imparassero a conoscere i bambini che avrebbero interpretato i loro figli. Poi, la seconda condizione, era che durante le riprese tutti sarebbero dovuti essere sempre presenti. Volevo che restassero lì, che fossero coinvolti 24 ore su 24 dalla vita del gruppo. Che fossero disponibili per eventuali inquadrature improvvisate. Non volevo che la storia fosse recitata, volevo che la sentissero dentro. Ho girato simultaneamente con due macchine da presa perché gli attori avessero libertà assoluta nella recitazione. Perché nelle scene di gruppo potessero alzarsi da tavola per andare a prendere un bicchiere in cucina, se ne avevano voglia, senza la paura di entrare e uscire dall’inquadratura. Poi, al montaggio, sono stato io a costruire il film, con una quantità di materiale infinita. E’ grazie a tutte queste cose che sono riuscito a fare un film vivo in cui prevale il ritmo. Hanno recitato tutti in modo incredibile! E’ per questo che il film mi commuove ogni volta che lo rivedo. Vi ritrovo le emozioni che provavo mentre scrivevo la sceneggiatura. Trascuriamo tutti alcune cose, e per le stesse ragioni: perché ci facciamo sopraffare dal lavoro, fagocitare dal ritmo della nostra vita. Trascuriamo la famiglia, gli amici, la coppia, dando loro solo l’impressione di esserci. Sappiamo che dovremmo fermarci a riflettere. Definire le priorità. Dire quello che vogliamo veramente. Ma non necessariamente lo facciamo e, quando decidiamo di farlo, a volte è troppo tardi. In un gruppo c’è anche sempre la paura di rovinare l’atmosfera tirando fuori argomenti che riteniamo delicati. Allora non diciamo niente… Ma l’atmosfera si rovina lo stesso! Eppure lasciamo perdere, immaginando che le cose si sistemeranno da sole. Le Piccole bugie tra amici sono lo schermo dietro il quale nascondiamo tutto lo schifo, fino a quando non viene fuori! La confessione può essere terribile. Lo è, in parte, nel film quando ciascuno si ritrova davanti alla verità. Il personaggio dell’ostricoltore ha un ruolo speciale. Jean-Louis è un po’ la coscienza del gruppo, quello che non teme di dire la verità. Un uomo tutto d’un pezzo, che conduce una vita modesta. Li osserva da tempo. Li ama, ha un cuore enorme, ma non perdona loro niente. E’ lui che li metterà di fronte alle loro contraddizioni, alle loro piccole vigliaccherie. E’ interpretato da Joël Dupuch, che fa davvero l’ostricoltore a Cap Ferret. E’ un amico. E’stupendo, ed è bravo nella parte. La rivelazione del film! E’ il mio film più riuscito sia per la messa in scena, che per la direzione degli attori. Ma lungo il percorso, mi sono reso conto di quante cose ho ancora da imparare.

 

 

 

MARION COTILLARD NEL FILM E’ MARIE La vincitrice del premio Oscar® Marion Cotillard è conosciuta dal pubblico di tutto il mondo per il suo impegno straordinario nel recitare e nelle sfide che affronta in ogni suo ruolo. E’ stata nel cast del film di Chris Nolan Inception, un thriller di fantascienza contemporaneo ambientato nelle architetture della mente. La Cotillard ha recitato nei panni di ‘Mal’, la moglie di Leonardo Di Caprio. Nel cast del film anche Ellen Page, Cillian Murphy e Joseph Gordon-Levitt. Nel film di Guillaume Canet Piccole bugie tra amici ha collaborato alla sceneggiatura. Il film racconta del proprietario di un ristorante di successo e della moglie ambientalista che organizzano una vacanza con gli amici nella loro casa al mare. Ma durante la vacanza i personaggi cominciano a confessare le loro preoccupazioni più segrete, facendo mutare completamente un’atmosfera apparentemente spensierata. Marion Cotillard ha lavorato con Woody Allen per Midnight in Paris, al fianco di Rachel McAdams e Owen Wilson. Dopo questo film, la Cotillard ha lavorato nella produzione del film Contagion di Steven Soderbergh, con Jude Law, Matt Damon e Kate Winslet. Il film d’azione di Soderbergh racconta della minaccia causata da un virus mortale e del team internazionale dei medici contattati dal Centro prevenzione malattie degli Stati Uniti per fermare l’epidemia. La Cotillard sarà anche una delle interpreti con Colin Farrell del prossimo film di David Cronenberg Cosmopolis, adattamento di un romanzo di Don DeLillo, un thriller che segue per 24 ore un multimilionario nella sua odissea attraverso Manhattan. Nel 2008 la Cotillard è diventata la seconda attrice nella storia ad aver vinto un Oscar®, e la prima a vincerlo per una interpretazione in lingua francese. Il riconoscimento le è stato assegnato per la sua straordinaria interpretazione della leggendaria cantante francese Edith Piaf, nel film La Vie En Rose. A proposito della sua performance, il critico del New York Times Stephen Holden ha scritto che la Cotillard offre “la più incredibile immersione realizzata da un attore nel corpo e nell’anima di un altro, mai vista prima in un film”. Per questo ruolo la Cotillard ha anche ottenuto un BAFTA come miglior attrice, un Golden Globe e un premio César, oltre a candidature dalla Screen Actors Guild e ai Critics Choice Awards. Inoltre è stata definita come miglior attrice dalle associazioni di critici di tutto il mondo, comprese la Los Angeles Film Critics Association e il London Film Critics Circle. Tra le altre interpretazioni di Marion Cotillard, ricordiamo quella nella serie di film francesi di grande successo Taxxi, scritta da Luc Besson; quella in Amami se hai coraggio di Yann Samuell e quella in Big Fish di Tim Burton. Ha ottenuto il suo primo César come miglior attrice non protagonista, per la sua performance nel film di Jean-Pierre Jeunet Una lunga domenica di passioni. A questo ha fatto seguito il film di Ridley Scott Un’ottima annata; il film di Michael Mann Nemico pubblico e in film di Rob Marshall Nine, adattamento per lo schermo dell’omonimo musical di grande successo. La sua interpretazione in questo ultimo film le ha fatto meritare candidature ai Golden Globe e ai Critics’ Choice Awards, ed ha anche condiviso la candidatura ad un SAG Award® per il miglior cast di un film. Nel 2010 la Cotillard è stata nominata Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere per il contributo dato all’arricchimento della cultura francese. Nata a Parigi, la Cotillard ha studiato arti drammatiche al Conservatoire d’Art Dramatique di Orléans.

 

INCONTRO CON MARION COTILLARD Guillaume ha sempre un sacco di idee, di storie che vorrebbe portare sullo schermo. Parlava da tempo di voler fare un film su un gruppo di amici, che fosse anche sulla nostra generazione. Tre anni fa questo desiderio ha preso forma quando ha cominciato a scrivere la sceneggiatura di Piccole bugie tra amici. Quando ho letto la prima versione, sono rimasta subito colpita dal suo modo di andare in profondità nella descrizione del rapporto tra i personaggi e dalla grande delicatezza, dall’onestà, dalla sincerità delle sue intenzioni. Guillaume è una persona che osserva molto e che possiede un grande senso artistico. Ha creato una galleria di personaggi autentici, che è facile sentire vicini. Il periodo della preparazione è stato molto intenso. Guillaume è un tipo che lavora molto. Crea una struttura sulla quale ha un controllo completo, nei minimi particolari, permettendo agli attori di partire da una base molto solida. E ci apre le porte del suo universo, dandoci la libertà di comporre. Di metterci qualcosa di nostro. Ognuno di noi ha avuto modo di parlare con lui su quale fosse la sua visione del personaggio. Ci ha poi riuniti per alcune letture a Parigi, permettendoci così di fare degli aggiustamenti e creare maggiore equilibrio tra tutti i personaggi, che sono numerosi. Uno dei momenti più importanti della preparazione sono stati i giorni trascorsi a Cap Ferret nella casa che sarebbe diventata il set del film. E’ stata un’occasione per condividere il lavoro e anche per conoscerci meglio. E’ stato importante creare una dinamica di gruppo, di amicizia. Avevamo tutti immaginato la vita dei nostri personaggi, ma anche il tipo di rapporto che hanno tra loro, come si sono incontrati, il loro passato individuale e come gruppo. Queste cose non si vedono sullo schermo ma arricchiscono ciascun ruolo, dando vita ad un’energia che resta sullo sfondo. Ciascuno ha raccontato la sua storia, ed è stato un momento molto emozionante: avevamo la sensazione di assistere alla nascita dei nostri personaggi e dei loro legami. Sul set Guillaume crea uno spazio in cui tutto concorre a far sì che l’attore si senta il più possibile sicuro di sé e a suo agio. Un regista con una conoscenza così e con una tale comprensione degli attori rende il lavoro facile e qualche volta perfino estasiante. Ci sono stati momenti in cui non ci sembrava di recitare. Maria è un’etnologa. Parte per studiare l’essere umano a migliaia di chilometri di distanza ma è incapace di affrontare il suo personale disastro interiore. Maria è una che ha paura, che fugge. Ma intorno ai trent’anni, si arriva ad un punto in cui nella vita emergono nuove priorità. Il bisogno di fare un bilancio e, contemporaneamente, la paura di farlo. Qualsiasi cosa accada dopo, è un momento cruciale che porta a guardarsi dentro.

 

VALERIE BONNETON NEL FILM E’ VERONIQUE Véronique è una ragazza che si accontenterebbe volentieri di gioie semplici. Ma con suo marito niente può essere «semplice», perché lui vuole sempre di più, non si accontenta mai. Lei lo ama tanto, ma i suoi capricci e le sue ossessioni la esasperano. E allora non gliene perdona una. Lui è orgoglioso del suo successo materiale, mentre lei si accontenterebbe di molto meno. Guillaume aveva descritto il mio personaggio come quello di una ragazza generosa, a cui piace ricevere gente a casa, ma con idee inamovibili su quello che fa bene o che fa male alla salute. E’ fondamentalmente un ruolo da commedia, ma che Guillaume voleva fosse credibile. E’ un regista molto esigente. Lui ci dà il “la”, e noi siamo talmente felici di «cantare» per lui che ci affanniamo per cercare di cogliere la giusta tonalità. Guillaume ci incoraggia, Guillaume ci pungola, ci motiva, senza dover per forza dirigere. Non sono necessari molti ciak. Per la scena in casa, abbastanza difficile, Guillaume era vicinissimo, e quando ha detto «stop!» ho capito che avevamo raggiunto il grado di intensità che voleva. All’inizio delle riprese ero un po’ ansiosa, ma poi ciascuno di noi ha trovato il suo posto con naturalezza. Mi sono sentita subito a mio agio nella casa al mare che nel film si suppone sia mia. La settimana che siamo stati là tutti insieme prima dell’inizio delle riprese, ha facilitato il lavoro di familiarizzazione. Il gruppo ha cominciato ad unirsi in quel momento. Grazie alla storia raccontata nel film, ho potuto rendermi conto fino a che punto le bugie siano un dato costante nelle amicizie. In effetti nella vita interpretiamo tutti dei ruoli. Qualche volta si mente per proteggere qualcuno, ma la verità finisce sempre con l’emergere. E’ uno degli insegnamenti del film.

 

LAURENT LAFITTE NEL FILM E’ ANTOINE Pur non essendo proprio un amico intimo di Guillaume, non ci siamo mai persi di vista dall’epoca dei corsi alla Florent. In Mon Idole e Non dirlo a nessuno, facevo una sciocchezza, niente di spettacolare, ma era un modo per farmi partecipare alle sue avventure di giovane realizzatore e la cosa mi ha sempre commosso. All’inizio il mio ruolo in Piccole bugie tra amici l’aveva scritto per se stesso. Ma ha pensato che avrebbe avuto già un bel po’ da fare con la sola regia. E’ venuto a trovarmi dove facevo il mio one-man show e, uscendo, mi ha proposto il ruolo di Antoine. Un uomo rimasto adolescente dentro e un po’ rozzo che è stato appena lasciato dalla sua ragazza. Non ha lavoro e non riesce a togliersi quella ragazza dalla testa. Passa il suo tempo ad annoiare gli altri chiedendo loro consigli, che poi puntualmente non ascolta. E’ interessato solo ai suoi problemi. Quelli degli altri non arrivano neanche a sfiorargli la mente. Non vede e non ascolta niente e nessuno. Subisce le situazioni, le fa subire agli altri e non cerca alcuna soluzione. Fino a quando non riprende il controllo scoprendosi, per amore, più maturo di quanto non avesse creduto. Il ruolo è sostanzialmente comico. Ma Guillaume mi ha chiesto di interpretarlo in modo contenuto, senza cercare per forza di far ridere. Essendo un attore, Guillaume sa quali termini utilizzare per riportarti sui binari giusti; come farti ritrovare la giusta misura. Se ero impressionato all’idea di recitare con un tale areopago di attori? No, ma ero molto eccitato. Non vedevo l’ora di cominciare. E le prove mi hanno reso euforico. Durante le riprese stavamo tutti in appartamenti vicini. E’ stato strano interpretare questa banda di amici e nello stesso tempo vivere un’altra avventura di gruppo, altrettanto forte, quella delle riprese. Che regista! Il coinvolgimento di Guillaume è stato tale che siamo stati trascinati tutti dal suo vortice. Ha dato prova di un’energia armonizzatrice straordinaria. Il rapporto di fiducia che stabilisce con gli attori è totale. Non si può fare altro che stargli dietro.

 

PASCALE ARBILLOT NEL FILM E’ ISABELLE Questo film è stato una grande scoperta. All’inizio si pensa solo al lato piacevole che c’è nel girare con una banda di allegri personaggi in una situazione vacanziera. Ma poi si viene investiti da emozioni di cui non si sospettava l’arrivo. Guillaume ha l’intelligenza del cuore. Ha solo 38 anni, ma quanta saggezza e quanto entusiasmo contagioso! C’è una scena in cui si fa jogging sulla spiaggia, e improvvisamente io me la squaglio. Guillaume mi ha detto: «sai, dovresti davvero allenarti, io ti chiederò di correre molto velocemente, sulla sabbia…». Risultato: ho corso un’ora al giorno. Non l’avevo mai fatto in vita mia, ho perso quasi 10 chili, e per fortuna la cosa andava bene per il personaggio! La coppia che forma con Benoît Magimel è di quelle che si formano quando si è molto giovani. Si amano un po’ come un fratello e una sorella. Ma sono due tipi solitari. Lei è molto frustrata sessualmente. «Fa» l’amore su internet. E poi in mezzo agli altri, parla ininterrottamente. Ha un’opinione su tutto. E’ «miss-sotutto ». Ed è alla continua ricerca di affetto. La prima volta che ho incontrato Guillaume, è stato già qualche anno fa. Mi aveva proposto una piccola cosa in un film. Avevo appena partorito e lui mi ha detto: «non dovrai fare altro che allattare tra un ciak e l’altro!». Troppo affaticata, gli ho detto di no. Non avrei mai immaginato che due anni dopo mi avrebbe ricontattata. Mi ha lasciato un messaggio: «Pascale, ti andrebbe…? ecc, ecc… Chiamami», e mi ha raccontato la trama di Piccole bugie tra amici. Ho uno straordinario ricordo del lavoro di lettura che abbiamo fatto sul posto, nella casa in cui avremmo girato. Sono stati momenti di grande gioia in cui ciascuno, ad alta voce, cominciava ad essere il «suo» personaggio. Tre mesi dopo, quando siamo tornati in quella casa per le riprese, avevamo già dei ricordi legati a quel posto. Proprio come nel teatro di Cechov, in Piccole bugie tra amici si intuisce una vita da romanzo dietro ciascun personaggio. Guillaume è molto creativo. La scena in cui sorprendo a chiacchierare Marion Cotillard e Benoît Magimel non era scritta. Qualche volta ci accorgevamo che erano già le tre del mattino… Faccio questo lavoro per vivere momenti come questi. Sono rimasta stupita dalla capacità di Guillaume di osservare le persone. Porta in superficie le loro fragilità, svela le loro debolezze senza alcuna condiscendenza, ma sempre con benevolenza.

 

 

GILLES LELLOUCHE NEL FILM E’ ERIC Piccole bugie tra amici è il quinto film che faccio con Guillaume. Ci siamo incontrati nella società di Alain Attal, Les Productions du Trésor. Era sera tardi. Io stavo scrivendo Narco e lui stava lavorando alla sceneggiatura di Mon Idole. Era subito dopo l’uscita in sala di Vidocq e lui era abbastanza distrutto. Era anche subito dopo l’uscita di The Beach con Leo Di Caprio, perciò c’era sempre una marea di gente che gli ronzava intorno. Abbiamo parlato quasi tutta la sera, apertamente e onestamente, e sono rimasto colpito dalla sua perspicacia. La sua crescita come regista è stata spettacolare. In Mon idole si intuisce chi lo ha infulenzato (Paul Thomas Anderson, Martin Scorsese…). In Non dirlo a nessuno, è già molto meno ovvio. Gli aspetti formali per lui sono molto meno importanti della storia. Fare il regista per Guillaume non è una presunzione da attore, è una vera necessità. Infonde la vita nella sua arte. Quando l’ho incontrato, girava sempre con un quadernino sul quale buttava giù qualsiasi cosa che avrebbe potuto essere una buona idea per un film o anche per una scena, che, ovviamente, doveva ancora scrivere. Cap Ferret è stato il nostro campo base degli ultimi dieci anni. Tutti i personaggi sono legati in misura minore o maggiore ad episodi che vi sono accaduti o a persone che vi hanno incontrato. Ma la forza del film di Guillaume è che va oltre questo materiale grezzo. Non c’è niente di aneddotico. Non è un film sulle nostre vacanze con un intreccio comico. E’ una storia universale e senza tempo. Io interpreto un attore di seconda classe, un donnaiolo superficiale e borioso. Sa essere un buon amico, ed ha il buon senso di non oberare gli altri con i suoi problemi. Eric è il motore del gruppo. In Piccole bugie tra amici, Guillaume non si allontana molto da ciò che era solito fare Claude Sautet. Gli sono sempre piaciuti i film con gruppi di amici. Ci ha chiesto di rivedere Il grande freddo, e Mariti di John Cassavetes. Fare un film con otto personaggi, tutti più o meno con la stessa rilevanza, è una vera sfida e, se guardi al risultato, lui è riuscito a vincerla brillantemente.

 

 

 

 

FRANÇOIS CLUZET NEL FILM E’ MAX Penso che Guillaume Canet abbia scritto un film che parla di una generazione, e anche di un’epoca. E’ un film che racconta di noi, di voi. E’ uno specchio, come riescono a fare i grandi artisti. Io interpreto il più vecchio della banda. Un tipo che, grazie alla sua situazione economica, può offrire vacanze gratis agli altri. Sa che si approfittano un po’ di lui, ma va bene perché così lui si sente utile. Sono particolarmente orgoglioso di essere nel primo film che Guillaume ha scritto da solo. Non dirlo a nessuno era l’adattamento di un romanzo poliziesco. Avrebbe potuto renderlo un semplice divertissement. Ma alla fine era più di questo. Era praticamente già quasi un film d’autore. Con Piccole bugie, si può parlare di un’opera a tutti gli effetti. E quando per di più ammiri e stimi, per non dire che ami, l’uomo – e l’autore – hai un solo desiderio: dare il meglio. Ha scritto una sceneggiatura ricchissima. In fondo tutti i ruoli sono da protagonisti. Al montaggio aveva tanto materiale da poter fare un film intero su ciascun personaggio! Ho quindici anni più del resto della banda. Che sono in gran parte adolescenti che non vogliono crescere! Non sono io a dirlo, è il mio personaggio che lo pensa. Io sono un po’ un fratello maggiore, anche per gli aspetti negativi: la mia intolleranza, in particolare. Potrebbe essere un tipo insopportabile. Ma bisogna dare atto a Guillaume che, con la sua tenerezza, la sua benevolenza, lo ha salvato. Lui non lo giudica. Non c’è cinismo nello sguardo di Guillaume Canet sui suoi simili. Penso che sia una grande qualità, in un mondo in cui la derisione e la presa in giro sono diventati tratti comuni nel comportamento della gente, e non solo degli umoristi. SINOSSI Nonostante un fatto orribile li abbia sconvolti, un gruppo di amici decide di partire come ogni anno per le vacanze al mare. La loro amicizia, le loro certezze, le colpe e gli amori saranno messi a dura prova. Alla fine saranno costretti a svelare tutti i loro piccoli segreti e le loro piccole bugie.

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