Il Primo Re – Parla il regista Matteo Rovere

NOTE DI REGIA

La leggenda di Romolo e Remo, pur lontanissima nel tempo, ha qualcosa di molto vicino a noi.

È una materia solo apparentemente semplice, lineare, ma che racchiude in realtà un’enorme quantità di simboli e significati, che fondono l’origine della nostra civiltà con qualcosa di intimo e insieme complesso, ineffabile forse, ma che sicuramente guarda dentro tutti noi.

La prima difficoltà è che questo mito fondativo (che si pensi a Livio, a Plutarco o a Ovidio) è una storia narrata molto tempo dopo. Un mito appunto, e l’etimologia di mito, mythos, significa in primo luogo racconto, non la storia dunque, ma un racconto costruito ex post, donatore di senso per chi lo ha elaborato.Con gli sceneggiatori abbiamo quindi approfondito questa narrazione così antica, tentando di interrogarla, cercando gli elementi maggiormente ricorrenti: due fratelli gemelli, Albalonga, un tradimento, un cerchio sacro, un segno degli dei. Abbiamo studiato il racconto leggendario e il contesto, facendoci conquistare dallo strapotere della natura sulle esistenze umane: trenta o più tribù separate nel basso Lazio, e l’effetto dirompente di un uomo che porta una visione in grado di unificarle; una città che custodisce il fuoco, e il fuoco che incarna Dio. Così facendo il mito ha iniziato a muoversi sotto i nostri occhi, a interrogare dalla sua matrice più arcaica un nodo dell’Occidente, il nostro rapporto con il silenzio violento, inquietante, inquisitore di Dio. Siamo noi in grado, da soli, di reggere il peso delle nostre esistenze? Questo racconto apparentemente semplice ci ha ricondotto a un dilemma primario, viscerale: cosa prediligere nella vita, la sopravvivenza del nostro gemello, ovvero della parte più intima di noi, o la sottomissione a un potere più grande, poiché non tutto ci è dato di sapere? Le nostre vite ci appartengono fino in fondo? È amore o hybris quella che ci fa pensare di poter essere noi gli artifici del nostro destino? Abbiamo iniziato a far rimbalzare gli elementi l’uno sull’altro perché la storia interrogasse il mito e il mito tornasse a svelarci la sua potenza primordiale, parlasse all’oggi, ci raccontasse la radice oscura e dolorosa di un atto così potente come la fondazione del più grande impero di sempre. Due gemelli, dunque, l’uomo e il suo doppio. Il fuoco sacro che unisce, ma chiede sacrificio. L’uomo e Dio. Il vaticinio, e quello che ne deriva: sottomissione al destino o libero arbitrio? Romolo ha la capacità di compiere un atto empio, rubare il fuoco, ma un atto che allo stesso tempo riesce a far muovere il Dio dalla sua inesorabile immobilità, portandolo nel mondo, è un atto folle che sposta il potere dalla violenza alla persuasione. Perché tutto questo si rivelasse con la più grande potenza emotiva, è stato necessario che la narrazione ruotasse su se stessa e assumesse un punto di vista nuovo, quello che più mi interessava, quello dello sconfitto, di Remo, di colui che ama suo fratello più di ogni cosa. Remo è colui che reca il dilemma eterno: è più divino chi si ribella al Dio per difendere l’amore, o il Dio che quell’amore chiede di sacrificarlo?

Il mondo de “Il Primo Re” è un mondo che andava costruito interamente. Ogni decisione presa, ogni scelta fatta, è stata il frutto di un enorme lavoro sia tecnico che su me stesso e sulla mia idea di cinema. Avevo una responsabilità complessa ma anche un gruppo di lavoro straordinario, composto dalle più grandi eccellenze italiane, animate in più da uno straordinario desiderio di mettersi in gioco in questa sfida, per dimostrare una volta ancora che il nostro cinema vive sempre di più dentro una gabbia, una gabbia con sbarre invisibili, che si vedono solo quando tentiamo di aprirle.

 

Matteo Rovere

 

CAST ARTISTICO

ALESSANDRO BORGHI                                                  REMO

ALESSIO LAPICE                                                               ROMOLO

FABRIZIO RONGIONE                                                    LARS IL VECCHIO

MASSIMILIANO ROSSI                                                  TEFARIE

TANIA GARRIBBA                                                           SATNEI

MICHAEL SCHERMI                                                        ARANT LA BESTIA

MAX MALATESTA                                                           VELTUR

VINCENZO PIRROTTA                                                    CAI IL SABINO

VINCENZO CREA                                              ELAXANTRE IL RAGAZZO

LORENZO GLEIJESES             PURTNAS IL CACCIATORE

GABRIEL MONTESI                                                         ADIEIS IL GENTILE

ANTONIO ORLANDO                                                     ERENNEIS

FLORENZO MATTU                                                         MAMERCUS

MARTINUS TOCCHI        LUBCES IL MUTO

NOTE DI REGIA

La leggenda di Romolo e Remo, pur lontanissima nel tempo, ha qualcosa di molto vicino a noi.

È una materia solo apparentemente semplice, lineare, ma che racchiude in realtà un’enorme quantità di simboli e significati, che fondono l’origine della nostra civiltà con qualcosa di intimo e insieme complesso, ineffabile forse, ma che sicuramente guarda dentro tutti noi.

La prima difficoltà è che questo mito fondativo (che si pensi a Livio, a Plutarco o a Ovidio) è una storia narrata molto tempo dopo. Un mito appunto, e l’etimologia di mito, mythos, significa in primo luogo racconto, non la storia dunque, ma un racconto costruito ex post, donatore di senso per chi lo ha elaborato.Con gli sceneggiatori abbiamo quindi approfondito questa narrazione così antica, tentando di interrogarla, cercando gli elementi maggiormente ricorrenti: due fratelli gemelli, Albalonga, un tradimento, un cerchio sacro, un segno degli dei. Abbiamo studiato il racconto leggendario e il contesto, facendoci conquistare dallo strapotere della natura sulle esistenze umane: trenta o più tribù separate nel basso Lazio, e l’effetto dirompente di un uomo che porta una visione in grado di unificarle; una città che custodisce il fuoco, e il fuoco che incarna Dio. Così facendo il mito ha iniziato a muoversi sotto i nostri occhi, a interrogare dalla sua matrice più arcaica un nodo dell’Occidente, il nostro rapporto con il silenzio violento, inquietante, inquisitore di Dio. Siamo noi in grado, da soli, di reggere il peso delle nostre esistenze? Questo racconto apparentemente semplice ci ha ricondotto a un dilemma primario, viscerale: cosa prediligere nella vita, la sopravvivenza del nostro gemello, ovvero della parte più intima di noi, o la sottomissione a un potere più grande, poiché non tutto ci è dato di sapere? Le nostre vite ci appartengono fino in fondo? È amore o hybris quella che ci fa pensare di poter essere noi gli artifici del nostro destino? Abbiamo iniziato a far rimbalzare gli elementi l’uno sull’altro perché la storia interrogasse il mito e il mito tornasse a svelarci la sua potenza primordiale, parlasse all’oggi, ci raccontasse la radice oscura e dolorosa di un atto così potente come la fondazione del più grande impero di sempre. Due gemelli, dunque, l’uomo e il suo doppio. Il fuoco sacro che unisce, ma chiede sacrificio. L’uomo e Dio. Il vaticinio, e quello che ne deriva: sottomissione al destino o libero arbitrio? Romolo ha la capacità di compiere un atto empio, rubare il fuoco, ma un atto che allo stesso tempo riesce a far muovere il Dio dalla sua inesorabile immobilità, portandolo nel mondo, è un atto folle che sposta il potere dalla violenza alla persuasione. Perché tutto questo si rivelasse con la più grande potenza emotiva, è stato necessario che la narrazione ruotasse su se stessa e assumesse un punto di vista nuovo, quello che più mi interessava, quello dello sconfitto, di Remo, di colui che ama suo fratello più di ogni cosa. Remo è colui che reca il dilemma eterno: è più divino chi si ribella al Dio per difendere l’amore, o il Dio che quell’amore chiede di sacrificarlo?

Il mondo de “Il Primo Re” è un mondo che andava costruito interamente. Ogni decisione presa, ogni scelta fatta, è stata il frutto di un enorme lavoro sia tecnico che su me stesso e sulla mia idea di cinema. Avevo una responsabilità complessa ma anche un gruppo di lavoro straordinario, composto dalle più grandi eccellenze italiane, animate in più da uno straordinario desiderio di mettersi in gioco in questa sfida, per dimostrare una volta ancora che il nostro cinema vive sempre di più dentro una gabbia, una gabbia con sbarre invisibili, che si vedono solo quando tentiamo di aprirle.

 

Matteo Rovere

 

 

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