VERONESI : FAVINO ? E’ UN COMICO DI RAZZA… QUANDO ME NE SONO ACCORTO HO PIGIATO……

Breve intevista a Giovanni Veronesi che svela….

Che cosa ha trovato in ognuno dei suoi interpreti e che cosa ne ha ricevuto?

Non avevo mai lavorato prima con Favino, non ci conoscevamo molto bene ma lui mi ha subito sbalordito per i suoi tempi comici perfetti che nessuno finora aveva valorizzato adeguatamente al cinema.

È un comico di razza e quando me ne sono accorto ho pigiato l’acceleratore su questa opportunità puntando a un suo exploit e su molti altri potenziali a sua disposizione (per esempio è un esperto di scherma e sa cavalcare benissimo): ha trascinato dietro di sé con il suo entusiasmo anche gli altri attori molto più pigri di lui che nei mesi precedenti alle riprese si erano sottoposti a un faticoso apprendistato per imparare ad andare a cavallo. Una sorpresa impensabile è arrivata da Rocco Papaleo che non aveva mai avuto una particolare dimestichezza con lo sport e con l’atletica ma si è impegnato con tutte le sue forze e ora va a cavallo al galoppo, combatte fisicamente, dà discherma…mentre Sergio Rubini oltre alle lezioni di scherma ricevute durante l’Accademia d’arte drammatica aveva cavalcato a lungo in scena una ventina di anni fa, nel film Il viaggio della sposa. Valerio Mastandrea, poi ha rivelato una raffinatezza sorprendente nel dare di scherma se si pensa che ha imparato tutto da zero, nei mesi che hanno preceduto le riprese: sono possibilità che appartengono quasi naturalmente al tuo Dna perché hai visto mille volte i film di Zorro e credi di essere in grado di gestire certi movimenti ma poi quando ti mettono una spada in mano è tutto diverso, devi mantenerla con equilibrio e Valerio, sorprendentemente ci è sembrato subito qualcuno che avesse sempre avuto una spada in mano 

 

Quali sono le caratteristiche principali dei suoi protagonisti?

Pierfrancesco Favino interpreta un D’Artagnan originale e stranissimo e fa ridere ogni volta che parla perché sfoggia uno speciale accento francese molto buffo e sbaglia a coniugare qualsiasi verbo. Porthos è un tipo completamente smemorato, non ricorda di essere così bravo a tirare con il moschetto e ogni volta gli tocca imparare tutto di nuovo; Aramis è un timorato di Dio, che ha paura del giudizio e dei castighi del Signore ma continua a uccidere… I Moschettieri si chiedono se sia giusto o meno uccidere un uomo a sangue freddo, o torturare qualcuno per estorcergli una confessione e i pareri
si dividono: D’Artagnan e Porthos si dicono convinti che un segreto possa essere estorto soltanto con la tortura. Aramis, invece, che ha studiato ed è un uomo di Chiesa molto colto, è convinto che la tortura vada sempre evitata tranne che in casi estremi. Il rapporto che si ricrea tra i quattro amici è molto divertente così come fa molto ridere.

Quanto c’è di simile o di inedito rispetto ai suoi film precedenti? Ha cercato di affrontare temi importanti facendo ridere come era tipico della grande commedia italiana del passato?

Quando ho visto per la prima volta L’Armata Brancaleone non mi sono preoccupato di quale messaggio volesse lanciare Mario Monicelli con i suoi sceneggiatori. Poi però nel tempo, ho capito che ogni film del periodo d’oro della commedia italiana aveva sempre qualcosa da raccontare, un sottotesto o un retrogusto che aiutava a riflettere. Non vorrei però che chi andrà a vedere Moschettieri del Re possa pensare che io abbia voluto parlare del fenomeno delle migrazioni, vorrei che la gente uscisse dal cinema contenta e sorridente. Il film aspira ad avere due caratteristiche principali: la
comicità e il romanticismo dei nostri anziani supereroi che hanno perso potere e fascino agli occhi del loro popolo e per riconquistarlo devono ricominciare tutto di nuovo alla loro veneranda età sebbene siano stati e siano delle vere star e questo rappresenta anche in qualche modo una metafora sulla vita e sull’amicizia.

Come mai ha scelto di girare il film in Lucania?

Era una terra che mi offriva la possibilità di raccontare un ‘600 molto duro e difficile rispetto a come forse sarà stato nella realtà. Non ho voluto portare in scena la Parigi dei duelli all’alba sotto i ponti ma la campagna, le locande malconce, i cattivi odori, i contrasti furiosi tra il lusso e la povertà dell’epoca, ci sono alcuni paesaggi bellissimi che non puoi inquadrare perché non c’entrano niente con la tua storia. Mi interessava una natura completamente diversa e lì ho potuto cercarne altri vicini, più brulli in grado di rendere al meglio a durezza e il clima dell’epoca. I film in costume
richiedono una attenzione approfondita perché ogni inquadratura va valutata da un punto di vista storico e affrontata con il tempo e la cautela necessari.

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