Cate Blanchett si racconta sulla poltrona rossa degli ”Incontri Ravvicinati”

di Paolo Calcagno

Vent’anni fa, stupì con la superba interpretazione di Elizabeth, di Shekhar Kapur, che la incoronò “regina” di Hollywood. E Antonio Monda, direttore artistico della Festa del Cinema di Roma, ha dovuto corteggiarla a lungo prima di riuscire a fare accomodare Cate Blanchett sulla poltrona rossa degli ”Incontri Ravvicinati” che impreziosiscono con puntuali “sold out” il prestigioso appuntamento romano con il grande Cinema. Due Oscar (“The Aviator” e “Blue Jasmine”) e una rara collezione di personaggi di cult-movie hanno segnato il percorso artistico della raffinata attrice australiana che, a 49 anni, fa tuttora riuscitissima leva sul suo fascino aristocratico e sul suo irresistibile magnetismo, comparabile a quello delle grandi dive del passato. Presente in cartellone alla Festa del Cinema di Roma con The House with a Clock in its Walls, del mago dell’horror Eli Roth, Cate Blanchett ha contagiato il pubblico con lo charme e la disponibilità (a tratti anche autoironica e polemica) con cui ha rievocato le tappe della sua straordinaria carriera.

“Quando si arriva alla mia età e hai vinto tanti premi, tutti ti chiedono dei successi, ma ciò  che ti forma e ti da’ forza sono i fallimenti – ha commentato l’attrice australiana –. E io ne ho avuti migliaia, sia sul versante professionale, sia su quello personale, ma l’importante è cadere e rialzarsi. Si impara ben poco dal successo”.

In questo nuovo film per giovanissimi è una strega buona che ha il dono degli incantesimi.

“Il film parla di magia, ma la porta nel mondo reale. La magia vuol dire trasformazione e questa metafora è entusiasmante. Possiamo cambiare, trasformarci, evolvere, reagire per evitare banali etichette. E’ un bel messaggio per i ragazzi”, ha osservato la Blanchett, rivelando di avere un debole, fin da piccola, per i film horror.

“Ero ossessionata dai film horror e lo sono ancora – ha aggiunto la diva -. Sono capace di guardarne 4 o 5 in un weekend.  E provo la medesima sensazione di terrore quando ho di fronte un nuovo personaggio. Continuo ad accettare ruoli che non so come affrontare. E’ un’esperienza che si avvicina all’horror. Per trasformarmi nei miei personaggi non guardo mai ai modelli letterari o cinematografici, non pratico nessuna ricerca prima di interpretarli. Preferisco lavorare sulle mie emozioni e seguire l’istinto finché ,a un certo punto, non mi sento davvero il personaggio che inseguo e non divento proprio quella persona”.

Intanto, sullo schermo sono partite le clip con una selezione di personaggi della carriera di Cate Blanchett.

   Benjamin Button, di David Fincher – Si è incominciato con la romantica e straziante amante di Brad Pitt nel Curioso Caso di Benjamin Button, tratto dal racconto breve di Francis Scott Fitzgerald sull’ uomo che invecchia a ritroso, ringiovanendo fino a tornare in fasce.

“Romantica? Sì, lo sono incredibilmente. Ma quella è una storia d’amore impossibile e Brad Pitt, a causa del trucco, era così brutto che era difficile appassionarsi a lui. Avrei fatto qualunque cosa pur di recitare in quel film con Pitt e il regista David Fincher. La scena che mi ha colpito di più è quella con Benjamin bambino che muore tra le mie braccia. Lì si mescolano sentimenti di amante, e di madre, di fronte allo strazio infinito di dover dire addio all’amore della tua vita”.

     Carole, di Todd Haynes – “Mi dà fastidio quando mi chiedono se, in quanto eterosessuale, ho avuto problemi a recitare in una storia di lesbismo. Mi sono state rivolte molte domande sulla mia sessualità a proposito di questo film. Però, quando ho girato Il Signore degli Anelli, di Peter Jackson, nessuno mi ha mai chiesto se, per caso, fossi immortale. Non penso mai al genere del ruolo che interpreto. Penso sempre al personaggio, in quanto essere umano. Mi sta a cuore battermi per mantenere sospesi definizioni e giudizi su ciò che vediamo. Un film non è un reality-show televisivo, un film ci dà modo di riflettere sui personaggi. Questo film è stato come un parto e le difficoltà di quell’amore al centro della storia, per me, sono state un incentivo a farlo”.

Bandits, di Barry Levinson – La scena è quella, straordinaria e supersexy, della “desperate housewife” che esorcizza la sua repressione di casalinga, improvvisando uno show canoro in cucina, saltando fra utensili, bicchieri e posate, e percuotendo le pentole con cucchiai di legno come in un assolo di batteria. La sequenza offre a Cate Blanchett lo spunto per ricordare i suoi trascorsi teatrali. “Avevo 25 anni e già da tempo calcavo i palcoscenici di Sydney. A quel tempo, non mi aspettavo più di arrivare al cinema. Amici e familiari mi incitavano a sbrigarmi, ma oramai non credevo più di poter arrivare sul grande schermo. Poi, all’improvviso, fui scritturata per due film  dalla Fox. Se preferisco il cinema al teatro? E’ importante fare entrambi. Certo, c’è differenza: nel cinema, quando giri, non c’è il pubblico, per non parlare dei primi piani e delle grandi inquadrature. Ma, se proprio mi puntate una pistola alla testa, confesso che mi piace di più recitare sul palcoscenico, soprattutto per il contatto diretto con il pubblico. A teatro il pubblico è più coinvolto e ogni sera è un’esperienza diversa. Però il cinema può essere un media potente: il film è un oggetto ad alto grado Fahrenheit”.

   Diario di uno scandalo, di Richard Eyre – “In questo film ho avuto il grande piacere di lavorare con Judi Dench che è un’attrice fantastica e una donna meravigliosa. Quando hai per compagna un’artista di quel livello, sei sicura che il tuo lavoro ne guadagna tantissimo. Nelle pause a lei piace lavorare all’uncinetto, ma io ero terrorizzata quando dovevamo girare la scena in cui la prendo a sberle e la sbatto con violenza contro un mobile, anche se le avevano messo una specie di corazza protettiva sulla schiena. Abbiamo girato quella scena tre volte e ricordo che si è sentito volare qualche “vaffa” “.

   Io non sono qui, di Todd Haynes – “Il film ripercorre la storia di Bob Dylan in sette distinti momenti della sua vita. E’ stata una fottuta idea di Todd Haynes di fare interpretare Dylan da sette attori diversi, fra cui la sottoscritta. Non sono molti quelli che potevano imbarcarsi in una simile impresa. Avevo qualche timore, ma a Todd non potevo dire di no”.

     Blue Jasmine, di Woody Allen – “Si, è vero che Allen sul set non cerca il contatto con gli attori: se ne sta spesso assorto nei suoi pensieri. Io venivo da un’esperienza opposta con Liv Ullmann che mi aveva diretto a teatro in “Un tram che si chiama desiderio”, di Tennessee Williams. Lei per questa regia era venuta a Sydney e tra noi era nata una forte connessione spirituale. Ne parlai ad Allen, ma mi rispose che non aveva visto quella commedia. L’affinità spirituale esiste, ma a volte è meglio se sul set non sai molto del ruolo che devi interpretare. Se il cast è buono e gli attori sono bravi, non c’è molto altro da fare”.   

    The Aviator, di Martin Scorsese – “Certamente, Katharine Hepburne è un’icona del Cinema. Io l’ho interpretata quando era fidanzata con il potente Howard Hughes. Come mi sono sentita nel confronto con un personaggio così gigantesco? Io sono cresciuta con i film di Katharine Hepburne e stavo girando un film western quando il mio agente mi ha riferito che Scorsese voleva parlarmi. E’ stato come se avessi il morbo di Parkinson: non so cosa abbia detto, dicevo sì, sì, solo sì. Soltanto dopo ho realizzato che mi voleva per la parte della Hepburne e ne sono rimasta terrorizzata”.

Il finale dell’incontro con Cate Blanchett ha portato sullo schermo le immagini del film di John Cassavetes La sera della prima: “L’ho scelto perché sottolinea perfettamente la linea di confine che scorre tra l’attore e il suo personaggio – ha spiegato Cate Blanchett – : c’è la magnifica Gena Rowlands, in là con gli anni e ammalata, che interpreta un’attrice al tramonto, quasi annientata dall’alcool. La Rowlands riesce a varcare in maniera straordinaria  quello spazio strano e misterioso che si frappone tra lei, in quanto donna, e il suo personaggio”.

Ma non è finita qui. Cate Blanchett è a suo agio in questa serata romana e con classe accetta, sorridendo, l’ultima richiesta: una definizione al volo dei grandi registi con cui ha lavorato. “Scorsese? Lessicale. Allen? Un enigma. Spielberg? Vorace”. Sipario.

Paolo Calcagno

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