Edoardo De Angelis torna al cinema con “Il Vizio Della Speranza”

di Paolo Calcagno

“Da sempre, la resistenza umana e’ la più grande delle rivoluzioni”, commenta il regista Edo DeAngelis in occasione del debutto del suo nuovo film “Il Vizio Della Speranza” alla Festa del Cinema di Roma. De
Angelis, certamente, e’ un autore di provato spessore, sia che annodi con trame grottesche i suoi racconti cinematografici (“Mozzarella Story”, “Indivisibili”), sia che li scontorni con gli intagli del thriller (“Perez”). Da qualche tempo, tuttavia, oltre a non smettere di sorprendere con le sue visioni originali della Campania “infelix”, cede alla tentazione di scolpire nel marmo con espressioni apodittiche che, a differenza del suo Cinema di domande e di ricerca, tranciano verdetti definitivi.

Con “Il Vizio Della Speranza” De Angelis ci imbarca su una sorta di scialuppa del dolore, manovrata da un “Caronte”-femmina che fa il percorso inverso del suo classico omologo, trasportando sul lento e melmoso fiume dell’esistenza corpi e anime sospese dall’inferno del crimine e dello sfruttamento verso il mare aperto del riscatto e della speranza. Maria e’ una giovane dell’hinterland campano, terra di svantaggiati e ultimi, che hanno scarsissimi margini di “libero arbitrio” , destinati come sono a un’esistenza di abusi e/o di
squallida delinquenza. Il personaggio cui la brava Pina Turco da’ sangue e nervi da’ forma alla sua resistenza provando a vivere un giorno alla volta la sua infelicita’ senza desideri, ne’ sogni, oscillando tra il prendersi cura della madre (Cristina Donadio) e le angherie della sua boss ingioiellata (Marina Confalone) che le
impone gravidanze su richiesta di famiglie facoltose. “Maria mangia polvere tutti i giorni – osserva Pina Turco -, ma la speranza e’ il seme del vizio più belo. La speranza e’ quella di poter scrivere il proprio destino di propria mano. E Maria vi riuscirà facendo suo il bambino che porta in ventre e illluminandosi così della
luce del miracolo della vita”.
Come nel suo stile abituale, il racconto di De Angelis e’ dettagliato e preciso seguendo la complessa partitura della parabola. Il contesto e’ affollato di vite assediate e talvolta tocca punte di ricercato lirismo, specialmente quando la cinepresa punta la quotidianità familiare delle prostitute africane. Come e’ stato sottolineato in sede di presentazione, il tema del racconto e’ assolutamente mistico e insegue valori spirituali oltre quelli religiosi, facendo tesoro ( e modello, a mio avviso) della lezione d’arte di Emanno Olmi.
Probabilmente, la cura maniacale dell’organizzazione nel set e delle partiture protettive di cui si diceva prima appesantiscono spontaneità e spinta emotiva del racconto che, tuttavia, si raccomanda per i suoi
grandi meriti di coraggio e di originalità.

Paolo Calcagno

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