INTERVISTA CON LUC BESSON…..NOTE DI PRODUZIONE…..SINOSSI
SINOSSI
THE LADY è la straordinaria storia di Aung San Suu Kyi e di suo marito, Michael Aris. Si tratta anche del racconto epico della pacifica lotta della donna al centro del movimento democratico birmano. Nonostante la distanza, le lunghe separazioni e un regime pericoloso e ostile, il loro amore resiste fino alla fine. Una storia di devozione e di comprensione umana sullo sfondo dei disordini politici che continuano tutt’oggi.
La stesura di THE LADY ha richiesto tre anni di lavoro a Rebecca Frayn. Attraverso interviste con figure chiave vicine a Aung San Suu Kyi è stata in grado di ricostruire per la prima volta la vera storia dell’eroina nazionale birmana
“Per favore, usate la vostra libertà per aiutarci ad ottenere la nostra.” (Aung San Suu Kyi)
INTERVISTA CON LUC BESSON…
Come è venuto a contatto con The Lady?
Un giorno Michelle è venuta a chiedere il mio aiuto. Mi ha detto che aveva per le mani una sceneggiatura avvincente su Aung San Suu Kyi e che stava cercando un produttore. Sarebbe stato magnifico se fossi stato libero per dirigerlo. In un primo momento le ho detto che non ero disponibile. Quando poi ho letto la sceneggiatura, sono rimasto a bocca aperta! Mi sono commosso per la storia di questa donna e ho scoperto di non sapere nulla di lei, se non quel poco che avevo letto sui giornali, la punta dell’iceberg. Sono tornato subito da Michelle per dirle che volevo collaborare al progetto e che se non aveva ancora trovato un regista, mi proponevo io. Era davvero felice. Poi, l’ha letta Virginie e ne è stata entusiasta. Michelle ci ha presentati al produttore inglese Andy Harries che ha ampliato la sceneggiatura con la sua società, la Left Bank Pictures ed è iniziata l’avventura.
In che modo ha personalizzato la sceneggiatura?
La sceneggiatura era scritta molto bene anche se a volte si avvicinava un po’ troppo al documentario. Abbiamo passato alcuni mesi a rielaborarla per darle un senso più ampio e cinematografico. Volevo trovare il giusto equilibrio tra il ritratto della lotta politica per la democrazia di questa donna e quelle che ci immaginiamo essere state le sue sofferenze. Per rendere la storia più credibile e ancora più coinvolgente avevo bisogno dei “cattivi”. Quindi dovevamo mostrare i generali e la Giunta Birmana che avevano governato il paese con un pugno di ferro per sessant’anni, nonché i rapporti tra Suu Kyi e l’esercito.
Dal momento che non ha potuto incontrare Aung San Suu Kyi di persona, quali libertà ha potuto prendere per costruire il suo personaggio?
Raccontare la storia di un personaggio ancora vivente senza poterlo incontrare è sempre frustrante. C’è il timore di non essere fedeli alla realtà o, al contrario, di restare troppo legati ad essa. Soprattutto quando non c’è nessuno in grado di guidarti. Abbiamo fatto ricerche leggendo tre o quattro libri su di lei che ci hanno aiutato a comprendere meglio il suo incredibile destino. La storia di Aung San Suu Kyi può essere fatta risalire a suo padre, il Generale Aung San. È stato il principale artifice della Rivoluzione Birmana che ha liberato il paese negli anni ’40. Tuttavia, sia lui che i suoi ministri sono stati assassinati quando lei aveva appena tre anni. Quando Suu Kyi ha riacceso la fiamma della Rivoluzione circa trent’anni dopo, ha potuto beneficiare dell’aura di suo padre. Proprio come la protagonista del film La scelta di Sophie, che si è ritrovata a dover decidere tra i suoi due figli durante la guerra, Suu Kyi ha dovuto scegliere tra la patria e la famiglia. Per tutto ciò che va al di là dell’aspetto storico, sono state le persone a lei vicine che ci hanno guidato,spiegandoci cosa fosse plausibile e cosa no. Abbiamo fatto molte ricerche e ci siamo documentati anche sulle persone all’interno della sua cerchia, come lo scrittore U Win Tin, rinchiuso in prigione per 25 anni, o Zargana, l’unico comico birmano che è stato condannato a 45 anni per le battute ironiche sui militari durante i suoi spettacoli.
E per quanto riguarda i generali?
È stato ancora più difficile perché avevamo pochissime foto e nessun libro è mai stato scritto su di loro. Abbiamo fatto affidamento sui rapporti incredibilmente ben documentati di Amnesty International sulle centinaia di migliaia di prigionieri birmani fondati sulle testimonianze di coloro che, liberati dopo qualche anno, hanno potuto raccontare la loro storia, la loro drammatica esperienza, e come venissero trattati dai militari. Devo dire, però, che il film ha smorzato un po’ questo aspetto perché alcune delle storie erano talmente cruente che avrebbero potuto perdere credibilità.
Ha capito subito che l’interpretazione di Michelle Yeoh sarebbe stata così intensa?
Perfino prima delle riprese, ci bastava vedere quanto Michelle fosse assorbita dal suo personaggio per capire che la sua interpretazione sarebbe stata eccezionale. Era ossessionata dal ruolo. A parte Mulan, non ci sono molti altri ruoli oltre ad Aung San Suu Kyi per un’attrice asiatica. Michelle non è solo quasi coetanea di Suu Kyi, ma le assomiglia anche! Quando arrivava sul set al mattino, i duecento birmani attorno a lei si zittivano chiedendosi se fosse davvero lei o no. Per entrare nella parte Michelle aveva a sua disposizione circa 200 ore di video di Suu Kyi, video che l’hanno aiutata ad acquisire la sua gestualità e il suo accento. Quando sei mesi dopo ho incontrato Suu Kyi, ho avuto l’impressione che fosse Michelle con vent’anni di più.
Ha dovuto imparare il birmano per il film…
Il birmano è sicuramente la lingua più difficile che ci sia da imparare. All’inizio pensavo che sarebbe stata facilitata dalla conoscenza di altre lingue, come il mandarino o il malese. Invece, mi ha spiegato che non era così e che le consonanti erano molto diverse. Ha passato sei mesi a imparare i testi in birmano. In particolare, aveva il discorso originale di Shwedagon, che le hapermesso di comprendere le idee di Suu Kyi. Si è esercitata molto, tanto che a volte è difficile distinguere tra l’attrice e la vera Suu Kyi. Sono rimasto colpito dal modo in cui è riuscita a rendere in modo efficace quel discorso particolarmente difficile. Ha preteso molto da se stessa perché era determinata a parlare un birmano impeccabile in modo che sembrasse la sua lingua madre..
David Thewlis, che si cimenta in un incredibile doppio ruolo, risulta credibile tanto nei panni di Michael Aris che in quelli di Anthony.
È uno di quei magnifici attori inglesi con una formazione teatrale. Mi ha detto che non gli capitava da tempo di commuoversi leggendo un copione, come gli è successo questa volta. Da quando ha accettato la parte è stato un piacere avere a che fare con lui, un rapporto basato su buone maniere, amicizia e generosità. Inoltre, lui e Michelle si sono trovati molto bene.
E per quanto riguarda i bambini?
A Londra ne ho visti parecchi. Il criterio principale era la somiglianza. Poi veniva la motivazione, gli attori che abbiamo scelto credevano davvero molto in questo film.
Come ha fatto a ricreare la casa di Suu Kyi?
La casa era un elemento molto importante. Vi ha passato quattordici anni, tagliata fuori dal mondo, senza linea telefonica, stampa o televisione. Abbiamo cercato foto della casa, soprattutto degli interni, e abbiamo perfino usato Google Earth per ottenere le dimensioni esatte. Poi, abbiamo costruito la casa in maniera identica, fino al minimo dettaglio. Per fare un esempio, il pianoforte è della stessa marca di quello di Suu Kyi e le cornici delle foto dei suoi genitori sono identiche.Alcune delle persone che avevano avuto l’opportunità di visitare la casa si sono sentite disorientate, avevano l’impressione di entrare di nuovo in quella reale.
Quanto è stato difficile girare la scena della cerimonia del Premio Nobel?
Per questa scena, senza dubbio una delle più forti del film, avevamo accesso alle registrazioni originali dal momento che la cerimonia era stata ripresa dalle telecamere di tutto il mondo. È stato molto interessante per gli attori, soprattutto per David Thewlis e i bambini, perché hanno avuto a disposizione anche il minimo dettaglio a guidarli nell’interpretazione. D’altra parte, non avevamo nessuna immagine di Suu Kyi all’ascolto della cerimonia per radio, quindi è stata la prima volta che si sono potuti vedere questi due momenti concomitanti: l’assegnazione del Premio Nobel di fronte a una folla di duemila spettatori e questa donna, sola, in ascolto alla sua piccola radio.
La scena del blocco militare è stata ispirata interamente alla realtà?
Questa scena ha avuto luogo a Danubyu, a qualche centinaio di chilometri da Rangoon. Suu Kyi ha attraversato da sola il blocco per parlare al capitano, dicendo ai suoi sostenitori di aspettarla. I soldati non hanno avuto il coraggio di sparare. Al momento delle riprese, però, era ancora agli arresti domiciliari e non è stato possibile chiederle cosa fosse successo veramente. Il problema principale era non avere neanche una foto di Danubyu. Non avevamo idea di come fosse e avrei preferito che i nostri set fossero simili a quelli originali. Ho parlato con dei birmani che conoscevano qualcuno che era stato laggiù, ma non sono riuscito ad avere nessun resoconto diretto da persone presenti a Danubyu all’epoca dei fatti, probabilmente sono tutti morti o in prigione. Per cui, questa scena si può definire costruita poiché l’ho girata nel modo in cui penso siano andate le cose. Ma non l’ho inventata. Suu Kyi ha davvero attraversato, da sola, un muro di soldati armati.
Il discorso di Aung San Suu Kyi a Shwedagon incute un timore reverenziale.
Accanto a Michelle sul palco c’erano altre quindici persone circa del partito di Suu Kyi, la LND (Lega Nazionale per la Democrazia). Una delle comparse in piedi a fianco a lei, un uomo sulla sessantina, si trovava in mezzo alla folla che si era riunita venti anni prima a Rangoon per ascoltare il discorso. Ha passato l’intera giornata in lacrime, trovandosi sul palco a rivivere quel momento che aveva avuto un forte impatto emotivo su di lui. Un’altra giovane e talentuosa attrice birmana mi ha detto di essere nata quel giorno. I suoi genitori la prendevano sempre in giro dicendole che per colpa sua si erano persi il discorso!
Ovviamente era impensabile girare il film in Birmania…
Sapevamo che non avremmo mai ottenuto i permessi per le riprese, dato l’argomento trattato; in realtà, sarebbe stato lo stesso per qualsiasi argomento! Abbiamo girato le quindici ore di metraggio in Tailandia, non lontano dal confine, in un paesaggio che ricordava quello birmano. Tuttavia siamo riusciti a riprendere da tutte le angolazioni la Pagoda di Shwedagon, situata al centro di Rangoon, eabbiamo ripreso gli attori con uno schermo verde alle spalle col quale potevamo coprire la pagoda.
Abbiamo anche girato a Rangoon (con una telecamera nascosta) e l’impressione è che il film sia stato realizzato interamente in Birmania, anche se in realtà si tratta solo di una trentina di riprese.
Com’è stato girare in Thailandia?
Un piacere. Contrariamente a quanto si pensa in Europa, molti film vengono girati lì ogni anno. Le troupe sono professionali, rapide e cordiali e fanno un ottimo lavoro. L’aspetto più complicato – a parte il caldo e l’umidità nauseanti— riguardava la comunicazione, visto che ho dovuto far tradurre in inglese le mie richieste, che poi sono state tradotte in Thai e poi ancora in birmano per gli attori. Il responsabile del casting, però, è stato grandioso e avevo un aiuto regista molto bravo con un ottimo senso dell’organizzazione. In questo modo ho potuto lavorare seguendo i miei tempi, con giornate lavorative piene e poche pause. Credo che ci fosse una buona energia per il film e per gli attori.
Come ha lavorato con il compositore Eric Serra?
Ho conosciuto Eric quando avevamo diciassette anni e aveva curato la musica per il mio primo cortometraggio. Perciò abbiamo un rapporto amichevole e affettuoso, anche se i suoi ritmi di lavoro sono l’opposto dei miei. Mi piace pianificare tutto in anticipo, mentre lui preferisce riflettere, osservare, prendere tempo. Poi, quando mancano solo undici settimane alla lavorazione -pochissimo! – va in panico, smette di mangiare, smette di respirare e lavora. Riesce a comporre solo sotto estrema pressione. È molto faticoso per lui. Quando finisce, dorme per venti giorni di seguito. Fa sicuramente parte del suo talento, ha bisogno di pressione perché vive con la sua musica.
La liberazione di Aung San Suu Kyi nel Novembre 2010 deve essere stata una sorpresa.
Non ci aspettavamo che succedesse, perché era prigioniera da più di dieci anni consecutivi. Infatti, era una delle ragioni per girare il film: era il nostro modo per dire che non abbiamo dimenticato questa donna e la sua lotta. La sua liberazione sarebbe dovuta avvenire tempo prima, invece è accaduto nel bel mezzo delle riprese in Thailandia. La prima reazione è stata di entusiasmo, poi è sopraggiunto il disorientamento. Stavamo girando questo film proprio per dare un contributo alla sua liberazione e ora venivamo a sapere che questo stava accadendo ancora prima della fine delle riprese. Quella mattina di Novembre 2010, avevo girato la sua prima liberazione nel 1995: usciva dal cancello di legno, saliva le scale e salutava la folla in attesa. Quando siamo tornati in hotel la sera abbiamo acceso la televisione e abbiamo visto lo stesso cancello e Suu Kyi vestita quasi allo stesso modo, con gli stessi fiori nei capelli, salire le scale e salutare…
Cosa avete provato?
È stato come se qualcuno avesse rubato il metraggio del mattino. Per un attimo mi sono chiesto cosa stesse succedendo e se il film avesse ancora senso. Tuttavia, siamo venuti subito a sapere delle restrizioni alla sua libertà. In realtà non era cambiato tanto da quando era agli arresti domiciliari. Se lascia il suo paese, non può più farvi ritorno. Ufficialmente il suo partito non esiste più. Non può esprimersi liberamente, né tantomeno organizzare assembramenti di persone. I suoi diritti fondamentali sono calpestati, anche se è stata liberata. La conclusione è che il film ha mantenuto il suo significato. La stampa ha divulgato un discorso di Suu Kyi: “Usate la vostra libertà, per aiutarci a ottenere la nostra”. È un appello a tutti gli artisti.
Crede che il film possa servire a sensibilizzare le coscienze?
Oltre alla Birmania e alle sofferenze personali di questa donna, quello che mi interessa di questo film è l’eco che potrebbe avere in tutti i paesi democratici. Dovrebbe farci rendere conto della libertà di cui godiamo in Francia, dove nessuno va in carcere per aver letto un giornale, dimostrando allo stesso tempo quanto sia fragile la democrazia. In Birmania, la maggior parte dei seggi parlamentari è riservata ai militari: non è più una democrazia. Inoltre, il 95% della metà dei seggi rimanenti è occupato da ex capi dell’esercito. È la farsa di un paese che vuole sponsorizzare un’immagine democratica per attirare affari e turismo. Venti anni fa, il popolo birmano aveva espresso la propria volontà alle elezioni. Il partito di Suu Kyi, la LND, aveva vinto 392 seggi. I capi dell’esercito solo sette. Ma i risultati delle elezioni non sono mai stati presi in considerazione. È nostro dovere osservare le nostre democrazie e controllare che la libertà di parola, i diritti umani e la costituzione vengano rispettati.
Com’è andato l’incontro con Aung San Suu Kyi?
Innanzitutto, prima ancora di incontrarla, volevo che venisse messa a conoscenza del progetto. Dopo tre mesi di tentativi siamo riusciti a farle arrivare un messaggio. Quando finalmente l’ho incontrata, mi sembrava di essere di fronte a Gandhi. È impossibile non sentirsi piccoli e stupidi alcospetto di questa donna che irradia cortesia, gentilezza e semplicità. Non ha paura di niente. Neanche sessant’anni di prigione le farebbero cambiare idea. Per lei conta solo che la sua gente sia libera di avere accesso in egual misura alle ricchezze del paese. Non ha interessi personali. È una lezione di umiltà. Dopo averla incontrata, non ci si può più lamentare di niente! Vorresti sapere tutto di lei e lei non fa che chiedere di te. È curiosa e non le interessa scrivere un libro sulla sua vita. È una persona ammirevole.
NOTE DI PRODUZIONE
THE LADY: Genesi di una storia straordinaria
Aung San Suu Kyi è una delle principali oppositrici alla giunta militare al potere in Birmania. Ha
dedicato la sua vita alla lotta per la democrazia nel suo paese. Dopo aver vinto le elezioni nel 1990 e
dopo l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace l’anno successivo, è stata agli arresti domiciliari
per più di quindici anni, ma non si è mai arresa. Nel 1999 ha rifiutato di andare in Inghilterra per
vedere suo marito che stava morendo di cancro, per paura di non poter rientrare in Birmania; non
l’avrebbe più rivisto. Quando infine Aung San Suu Kyi è stata rilasciata dagli arresti domiciliari nel
Novembre 2010, non vedeva i suoi due figli, Alex e Kim, da dieci anni.
Sono stati proprio l’inesauribile determinazione e lo straordinario coraggio di questa donna, sola, in
lotta contro un regime brutale e tirannico a spingere Michelle Yeoh e Luc Besson a portare su uno
schermo il suo incredibile percorso. “Quando mi è arrivata la sceneggiatura di Rebecca Frayn nel
2007, ho pensato che non si trattasse solo di una storia d’amore e sacrifico estremamente
commovente, ma che mi venisse offerto un ruolo che non potevo rifiutare”, spiega Michelle
Yeoh.”Ho sempre pensato che ci fosse una mancanza di forti personaggi femminili nel cinema”. La
produttrice Virginie Besson-Silla concorda: “In un’ora avevo finito di leggere la sceneggiatura. Ho
capito subito che la EuropaCorp Company doveva assolutamente produrlo. Se sai di doverti
dedicare completamente a un progetto per un paio d’anni, deve lasciarti subito a bocca aperta. Il
fatto che fosse una donna a dimostrare il proprio eroismo era ancora più commovente, dato che
generalmente sono gli uomini a venire rappresentati come personaggi eroici. Non c’erano dubbi,
dovevamo fare questo film”, continua, entusiasta.”Era importante che io e Luc avessimo la stessa
visione del film che volevamo portare sul grande schermo. La mia priorità era di concentrarmi sullo
scopo del progetto e occuparmi dell’aspetto finanziario solo in un secondo momento. Andy Harries
e Rebecca Frayn sono venuti a Parigi per incontrarci. Avevamo tutti la stessa visione e capivamo il
suo potenziale impatto”. Il produttore Andy Harries approva: “Dopo tre anni di lavoro senza alcun
supporto finanziario era fantastico potersi unire alla Europacorp e avere l’opportunità di fare il film
insieme a Luc Besson, un regista che ho sempre ammirato. Luc e Virginie sono stati
incredibilmente incoraggianti fin dal nostro primo incontro e hanno accolto a braccia aperte questo
impegnativo progetto insieme a noi. È stata un’esperienza fantastica”.
Tuttavia, non è stato facile capire fino in fondo la scelta di Aung San Suu Kyi di sacrificare la sua
vita privata in nome dei suoi ideali. “Mentre leggevo il copione, non potevo fare a meno di
chiedermi come una madre potesse fare una scelta simile” aggiunge Virginie Besson-Silla. “Ed era
così lontana dalla mia natura che volevo capire cosa l’avesse portata ad abbandonare tutto per la
patria. Dopo aver fatto delle ricerche e aver incontrato delle persone che l’avevano conosciuta, ma
soprattutto dopo averla incontrata di persona dopo il suo rilascio, ho capito che era stata guidata
dall’amore. Ha deciso di non tenere conto dei propri sentimenti per aiutare milioni di persone”.
Michelle Yeoh concorda: “Mentre suo marito stava morendo, Suu Kyi era intenta a preparare un
discorso e a compiere i suoi dover di attivista. A prima vista, si potrebbe pensare che sia fredda e
scostante, ma in un secondo momento, diventa chiaro che la sua è una personalità molto forte che
non si può fare ameno di ammirare”. Anche David Thewlis, che interpreta sia il ruolo di Michael
Aris che quello del gemello Anthony, ha dovuto fare i conti con l’idea di una persona che ha vissuto
una vita all’insegna dell’abnegazione. “È capitato che i coniugi passassero anni senza vedersi o
senza parlarsi, che per me è impensabile”, osserva l’attore. “Lui non sapeva neanche se sua moglie
venisse torturata o picchiata, o se fosse in una cella di isolamento. Ha cresciuto i loro due figli da
solo e non ha potuto vederla nemmeno quando gli è stato diagnosticato il tumore. Siccome non ho
mai vissuto niente di simile, è stato difficile per me capire a fondo la situazione”.
Attori tormentati dai loro personaggi
Michelle Yeoh, solo lei.
Individuare il giusto cast è fondamentale e lo è ancora di più se il film è basato su fatti realmente
accaduti. Michelle Yeoh, colei che è all’origine di questo progetto, era senza dubbio la persona
giusta per interpretare la protagonista. “Solo Michelle avrebbe potuto interpretare Aung San Suu
Kyi, dato che perfino senza trucco la somiglianza tra le due donne è sorprendente”, afferma il
produttore. “Non solo sono entrambe snelle e fragili, ma credo che Michelle imiti inconsciamente
Aung San Suu Kyi, che conosce bene e che ha sempre guardato con ammirazione”. L’attrice
osserva: “Avevo ovviamente sentito parlare di lei, ma non ero a conoscenza dei particolari della sua
storia, non sapevo quello che aveva dovuto sacrificare. È stato difficile interpretare questo ruolo
proprio perché lei rappresenta il desiderio di trovare la libertà di tutti i popoli oppressi del mondo.
Sentivo il peso di questa grossa responsabilità”.
Michelle Yeoh ha cominciato leggendo tutte le pubblicazioni di Aung San Suu Kyi, così come le
sue letture preferite. Ha scoperto che Suu Kyi era Buddista e seguace della filosofia della nonviolenza
sostenuta da Gandhi. “Non era tanto una questione di assomigliarle adottando la sua
acconciatura, la sua gestualità o il bellissimo accento inglese, quanto di catturare la sua anima e
capire cosa l’avesse spinta ad abbandonare tutto, incluso il marito e i due figli che amava, per
diventare l’incarnazione della speranza per milioni di persone in Birmania. Anche se non aveva mai
parlato in pubblico prima di quel momento, eccola là, pronta a rivolgersi a milioni di persone. Ecco
perché volevo capire da dove venisse quella forza”.
Dal momento che il linguaggio era fondamentale per la sua parte, Michelle Yeoh voleva a tutti i
costi pronunciare correttamente il birmano. Impararlo si è rivelata un’impresa ardua. “All’inizio ho
pensato che non ce l’avrei mai fatta”, spiega. “Per tre settimane ho studiato il birmano con questa
incredibile insegnante che parlava un inglese impeccabile e che aveva insegnato in Università negli
Stati Uniti. È stato un processo di apprendimento molto faticoso, ma siccome non mi do mai per
vinta, sono arrivata alla conclusione che avrei dovuto imparare a memoria tutta la parte. Ovunque
fossi, in macchina, in barca, sotto la doccia, ripetevo la parte in continuazione finché non era
perfetta”.
Ci sono state molte altre sfide da affrontare. Gli eventi riportati nel film si svolgono in un arco di
più di dieci anni, per cui l’attrice ha dovuto tenere conto di tutti i cambiamenti sopravvenuti nel
personaggio. “Non si trattava solo dell’acconciatura o del trucco”, spiega Michelle Yeoh.
“Tra il 1988 e il 1995, per esempio, l’aspetto e l’atteggiamento di Suu Kyi hanno subito un leggero
cambiamento, così come il suo modo di relazionarsi con le persone. Dovevo sempre stare attenta,
perché al mattino potevamo girare una scena avvenuta nell’88, poi nel pomeriggio un’altra del ’95 e
la sera un’altra ancora dell’88, per questioni climatiche o di location. Ogni singola giornata era
davvero impegnativa!”.
Per poter entrare alla perfezione nella parte, Michelle Yeoh dice che era necessario incontrare Aung
Sang Suu Kyi di persona. Molti membri della troupe avevano fatto la richiesta per il visto
d’ingresso per la Birmania, ma solo l’attrice ha avuto il via libera dal governo birmano, anche se
solo per 24 ore. “Mi invidiavano tutti, ma allo stesso tempo si chiedevano come mai la Giunta mi
avesse accordato il visto”, ricorda lei. “Luc [Besson] e Virginie [Besson-Silla] erano entrambi un
po’ agitati, ma comunque felici per me. Sono partita da sola ma portando messaggi e regali da parte
di tutta la troupe!”. Una volta arrivata in Birmania, Michelle Yeoh è andata a trovare Aung Sang
Suu Kyi e la prima cosa che l’ha colpita sono stati i libri sparsi ovunque per la casa. “Sapevo che
era una gran lettrice, perché avevo fatto delle ricerche su di lei, ma è stato in quel momento che ho
capito davvero quanto i libri fossero stati i suoi compagni per tutti quegli anni: non erano solo una fonte di informazione e di ispirazione, erano ciò che le garantiva la sanità mentale. La aiutavano a
continuare a combattere”. L’incontro con Suu Kyi è stato come un momento fuori dal tempo:
“Appena la vedi riesci a percepire il suo calore e la sua generosità”, ricorda Michelle Yeoh. “Non
importa quanto sembri minuta, trasmette forza. Mi sembrava di conoscerla già, come se fosse
un’amica di vecchia data, perché l’avevo osservata attentamente ed era esattamente come me l’ero
immaginata”.
Il doppio ruolo di David Thewlis
Miglior Attore al Festival del Film di Cannes in Naked – Nudo di Mike Leigh (1993), David
Thewlis interpreta sia Michael Aris, il marito di Aung San Suu Kyi, che Anthony, suo fratello
gemello. Virginie Besson-Silla voleva dare più importanza alla chimica tra gli attori che alla loro
somiglianza con i personaggi rappresentati. “Michael Aris era un personaggio unico e un’autorità
assoluta sulla cultura di Asia, Tibet e Himalaya”, spiega la produttrice. “David e Michelle erano
fisicamente adatti, ricreavano lo stesso contrasto che c’era tra Suu Kyi e Michael, lei minuta, lui
molto alto”. Virginie ha apprezzato il coraggio dell’attore per essere stato disponibile a interpretare
entrambi i ruoli. “Ha dovuto lavorare molto su entrambe le parti e ce l’ha fatta”, aggiunge.
All’inizio è stato molto difficile. “Ovviamente è stato molto faticoso”, osserva David Thewlis. “Mi
preoccupava l’idea di dover trovare una linea di demarcazione tra le personalità dei due fratelli.”
Tanto per cominciare, l’attore inglese si è concentrato sulla personalità di Michael Aris. “Gli unici
video che avevo a disposizione erano delle interviste che Michael aveva rilasciato in televisione.
Sembrava serio e molto triste”, commenta l’attore. “Così, ho dovuto immaginare come potesse
essere a una festa o nella sua vita privata con Suu, che tipo di padre o di insegnante fosse, visto che
non avevo accesso a questo tipo di informazioni”. Tuttavia, la chiave per interpretare il ruolo è stata
la voce. “Proprio come suo fratello, Michael aveva un modo straordinario di parlare”, continua.
“Aveva un accento particolare, tipico di un ceto elevato, molto eccentrico, non si trattava certo di un
inglese standard. Sarebbe stato un errore non imitare quell’intonazione e quel modo di parlare,
perché secondo me si trattava proprio del tratto distintivo del personaggio. Ero un po’ preoccupato
per la reazione che avrebbe avuto il pubblico nel sentirmi parlare così!”.
L’attore non ha mai incontrato Michael Aris, ma ha avuto lunghe conversazioni con il fratello, che è
stato di grande aiuto. “Sono stato molto fortunato a incontrare Anthony, altrimenti avrei reso
Michael in maniera errata”, aggiunge. “Grazie a lui ho capito che Michael era estremamente
coraggioso e devoto. Fin dall’inizio aveva accettato che l’adorata moglie abbandonasse la famiglia
per amore del suo paese e dei suoi ideali di democrazia. Come potevo non ammirare un uomo che
aveva mostrato determinazione e uno spirito di abnegazione tali per combattere le avversità? Chi
avrebbe cresciuto due ragazzi da solo ed essere disposto a morire senza neanche poter vedere la
propria moglie? La sua devozione nei confronti della moglie è il simbolo del suo amore
incondizionato e del rispetto per il suo senso del dovere. In nessun momento ha messo in questione
le sue azioni, nemmeno quando lei ha deciso di intraprendere lo sciopero della fame”.
L’incontro con Anthony ha permesso a David Thewlis di capire meglio le differenze tra i due
fratelli e di prepararsi all’interpretazione dei due personaggi. L’attore spiega che “Anthony è più
eloquente di suo fratello, è un viveur, un uomo molto carismatico e perfino molto divertente! La
prima volta che l’ho incontrato, mi ha detto ‘Non ci assomigli affatto,’ e in effetti è così. Abbiamo
una corporatura diversa, così come la forma del viso, per questo hanno dovuto tirarmi su le
orecchie, infoltirmi le sopracciglia e ho dovuto prendere qualche chilo per assomigliare ad Anthony.
L’elemento fondamentale, però, è che sono riuscito a esprimere la differenza tra i due fratelli nella
voce, nel modo di fare, nella gestualità”.
La famiglia
Due giovani nel loro primo film inglese interpretano il ruolo dei figli di Aung Sang Suu Kyi.
Jonathan Woodhouse, un attore filippino, è Alex, il fratello maggiore. “Alex è un ragazzo
abbastanza tranquillo, molto intelligente e studioso”, racconta. “Credo che fosse maggiormente
consapevole delle circostanze legate alla sua famiglia rispetto al fratello. L’elemento che mi ha
aiutato ad avvicinarmi a lui è stato soprattutto il fatto di avere, come lui, una madre forte che ha
dovuto superare delle difficoltà, ma che mi ha dato una buona educazione”. Anche se il ragazzo non
ha mai avuto occasione di conoscere Alex, ha letto parecchi libri su di lui e sulla situazione politica
in Birmania. “Dato che interpreto un personaggio di origine birmana, volere capire meglio la
situazione del paese e il modo in cui la dittatura ha preso il potere”, aggiunge. “Ho letto due
biografie di Aung Sang Suu Kyi, Ostaggio Perfetto e Lettere dalla mia Birmania e ho imparato
molte cose sulla giunta al potere. Ho trovato anche molte informazioni su Alex”, riprende. “Quando
interpreti una persona reale, senti un vero e proprio senso di responsabilità e volevo rendergli
giustizia”. Jonathan Woodhouse era determinato a rendere il personaggio e la storia piuttosto che a
rendere una mera imitazione di Alex. “Ovvio, ho lavorato anche sul mio accento, ma quello che mi
importava di più era capire la mentalità di Alex, soprattutto quando ha ritirato il Premio Nobel per
la Pace di sua madre. L’aspetto più difficile è stato interpretare un ragazzo di quattordici o quindici
anni, mentre io ne ho ventitre”.
Ci sono ancora meno informazioni su Kim, il figlio minore di Aung Sang Su Kyi. Tuttavia, quando
Jonathan Raggett, che interpreta Kim, l’ha incontrato, ha capito che il personaggio non era poi così
diverso da lui. “Avevo fatto alcune ricerche su Internet e trovato alcune foto”, racconta. “Quando
l’ho incontrato, ho scoperto che era estroverso, più attratto dallo skateboard che dai libri di scuola!
Da ragazzo, era vivace e sfrontato, proprio come me! Gli assomiglio molto; non riesco a stare
seduto in classe ad ascoltare l’insegnante troppo a lungo. Ho sempre preferito la musica e la
fotografia allo studio. È stato molto rassicurante sapere che non dovevo interpretare una persona
completamente diversa da me. Ho perfino avuto bisogno di lezioni private per sbarazzarmi del mio
accento di Brighton”. Per di più, Jonathan Raggett ha con suo fratello lo stesso tipo di rapporto che
ha Kim con Alex: “È stato di grande aiuto scoprire che litigavano in continuazione, per entrare
meglio nella mentalità del personaggio, perché anche io litigo sempre con mio fratello. Non ho
quasi avuto bisogno di recitare!”.
Oltre alla moglie e ai figli, Michael Aris era molto legato a Karma, un suo studente di legge a
Oxford. Quando Benedict Wong è stato contattato per la parte, non gli è stato detto niente del
progetto: “Perfino dopo alcune audizioni e dopo aver ottenuto la parte, non sapevo ancora di cosa si
trattasse”, spiega. “Devo ammettere che è stato alquanto insolito ed ero un po’ spaventato”.
Fortunatamente l’attore è riuscito a capire il personaggio una volta letto il copione. “Inizialmente,
Karma era solo uno studente, ma negli anni il rapporto si è trasformato in amicizia, tanto da
diventare fraterno”, continua. “Era sempre al suo fianco per guidarlo e accudirlo durante la malattia.
Provava una sorta di compassione nei suoi confronti e credo che si possa dire che l’abbia
accompagnato verso la morte”.
Il regista dei sogni
Alcuni attori sono rimasti sorpresi dall’argomento insolito di The Lady, ma erano altrettanto
impazienti di lavorare con Luc Besson. Chi aveva già lavorato con lui, come David Thewlis, o chi
aveva solo ammirato i suoi film, erano tutti contenti quando hanno sentito il nome del regista de Il
Quinto Elemento.
È stata Michelle Yeoh a chiedergli di lavorare al suo progetto. “Quando ho saputo che avrebbe
curato la regia del film, è stato come un sogno che diventava realtà”, confida Michelle Yeoh. “Sono
una sua fan da tempo e quando mi sono sentita dire che ‘lui fa film d’azione’ ho replicato che
questo non voleva dire che non fosse un grande regista. Perché un film d’azione riscuota successo,
lo spettatore deve provare dei sentimenti per i personaggi, e solo un regista che sa come tirare fuori
il meglio degli attori è in grado di fare film d’azione di successo. Luc sa come fare. Sa costruire i
suoi personaggi e renderli umani, inoltre ha sempre sostenuto i ruoli femminili molto forti”.
David Thewlis concorda: “Luc è un grande regista, sa tirare fuori il meglio di me. A volte divento
pigro se non vengo diretto bene, ma Luc non me lo permette e mi fa fare tante riprese quante gliene
servono per essere soddisfatto. Mi piace molto il suo metodo, perché ogni ripresa è diversa e Luc,
da dietro la cinepresa, mi da molti consigli”.
Michelle Yeoh aggiunge: “È vero che è molto esigente e, contrariamente alla maggior parte dei
registi, è molto puntuale, che è una delle cose che ho potuto apprezzare di lui. Quando diceva alle
otto sul set, intendeva davvero le otto! E tutto il cast, perfino le comparse, dovevano stare all’erta,
pronti al proprio turno. Adoro il suo modo di lavorare”.
Gli attori sono unanimi nel definire pragmatico il suo approccio e totale il suo coinvolgimento nel
progetto al quale sta lavorando. “Dietro alla telecamera c’è lui e questo è di grande aiuto”,
commenta David Thewlis. “È tecnicamente molto competente e controlla tutti gli ambiti del set.
Non se ne sta dietro a un monitor a qualche metro di distanza da noi. Osserva la tua interpretazione
e ti fornisce ottimi consigli, perfino sulle inflessioni dell’inglese, particolare curioso visto che
l’inglese non è la sua madrelingua; eppure il 99% delle volte ha ragione”. Jonathan Raggett
aggiunge: “È davvero molto attento, lavora bene con gli attori e li dirige nella direzione in cui vuole
che vadano. Questo gli permette di essere molto preciso nell’organizzare ogni sequenza”. Benedict
Wong commenta: “Per me è un po’ come il capitano di una nave che dirige le riprese. Tutti a pulire
il ponte e lui sempre molto attento e partecipe”. Sa esattamente quello che vuole e ha una visione
chiara e precisa del suo film”, fa notare Michelle Yeoh. “Mi sono sempre fidata di lui, quando
diceva che la ripresa era da rifare, gli credevo. Questo tipo di fiducia è necessario, soprattutto
quando si tratta di un ruolo così delicato ed emozionante come quello di Aung Sang Suu Kyi”.
Nonostante tutto, il regista lasciava agli attori anche un po’ di autonomia. “Quando facevamo le
prove sul set, mi piaceva suggerire degli spunti e Luc mi ha sempre incoraggiato, anche se alla fine
della giornata l’ultima parola spettava a lui”, spiega Michelle Yeoh. “Alcune scene sono state
completamente improvvisate”, sottolinea Jonathan Woodhouse. “Lascia agli attori la possibilità di
dare la propria interpretazione, oltre che seguire il copione. Mi ha dato un consiglio, che io ritengo
inestimabile, dicendomi di non stare troppo a pensare, ma di buttarmi e basta”. Jonathan Raggett
annuisce: “A volte non si sapeva esattamente quando avrebbe gridato ‘Azione!’ o ‘Stop!’, e quasi ci
si dimenticava della telecamera, entrando ancora di più nella parte. È interessante, perché da la
possibilità agli attori di interpretare la scena seguendo l’istinto, ma nonostante questo Luc è sempre
presente, è incredibile”.
Emozioni sul set
Dalla Birmania alla Thailandia
Ovviamente, non era possibile girare un film su Aung Sang Suu Kyi in Birmania, così la Thailandia
è diventata il luogo delle riprese. Virginie Besson-Silla spiega: “Geograficamente, la Birmania e la
Thailandia sono molto simili e in Thailandia vengono girati molti film. Potevamo disporre di tutti i
tecnici e di tutte le attrezzature senza bisogno di trasportarle dalla Francia”. Inoltre, in Thailandia
c’è una numerosa comunità birmana che ha permesso alla produzione di trovare con facilità attori
secondari e comparse.
Tuttavia, Luc Besson e la produttrice ritenevano necessario visitare la Birmania perché “sarebbe
stato assurdo parlare di un paese nel quale non si è mai messo piede”, spiega Virginie Besson-Silla.
È stata un’esperienza unica per capire la cultura birmana, “e anche se non ci siamo fermati quanto
avremmo voluto, abbiamo comunque avuto il tempo di percepire l’atmosfera, l’energia, i sapori, le
usanze e il clima”, aggiunge. “Abbiamo passato un po’ di tempo a Rangoon, passeggiando tra i
banchetti del mercato, vicino al porto, abbiamo visitato la Pagoda di Shwedagon provando a capire
lo stile di vita degli abitanti. Luc ha fatto delle fotografie che ha poi inserito nel film. Abbiamo
scoperto un paese straordinario, diverso da qualsiasi altro posto che avessimo visitato, protetto da
ogni influenza proveniente dall’Occidente e da ogni forma di modernità. Abbiamo provato ad
avvicinarci alla casa di Aung Sang Suu Kyi, ma non ci siamo riusciti”.
Anche se la fotografia principale proviene dalla Tailandia, era fondamentale mantenere il riserbo sul
tema del film. “Eravamo stati avvisati del rischio di essere espulsi dal paese se ci fossimo messi
troppo in vista, poiché il governo era consapevole del rischio di sollevazioni popolari”, racconta
Virginie Besson-Silla. “Il lato positivo era che il setting principale era la casa in cui la protagonista
viveva. L’abbiamo ricostruita in uno spazio privato e recintato, che ci ha assicurato una completa
libertà di azione. Non appena mettevamo piede in strada o in mezzo alla gente, però, dovevamo
stare attenti. Tutta la troupe ha capito e ha cooperato. Per di più, gli abitanti non erano troppo
curiosi e nessuno di loro i ha mai fotografato con il cellulare, né ha pubblicato niente su Internet.”.
Momenti intensi
La troupe e il cast conservano ricordi intensi di queste riprese straordinarie che li hanno portati dalla
Tailandia a Oxford fino ad arrivare in Francia, per un periodo di tre mesi e mezzo. La scena del
discorso di Aung Sang Suu Kyi a Shwedagon, con circa tremila comparse, è stata particolarmente
memorabile. “Vedere Michelle circondata da così tanti sostenitori, mentre parlava in nome del
popolo, è stato assolutamente incredibile ed emozionante”, ricorda Jonathan Woodhouse. “Non
sembrava che stesse recitando, sembrava reale” aggiunge Jonathan Raggett. “A volte, era come se
ci dimenticassimo di essere nel bel mezzo di un film. Come nella scena in cui Suu Kyi viene messa
agli arresti domiciliari: ci siamo stretti l’uno all’altro come una vera famiglia, e mi aggrappavo a
Michelle come se fosse stata la mia vera mamma. Ho perfino avuto paura per l’aggressività dei
ragazzi nella parte dei soldati, sono stati davvero bravi…”. Per Jonathan Woodhouse, la scena del
Premio Nobel è stata la più difficile. “È stata girata quasi alla fine ed erano mesi che aspettavo quel
momento”, dice. “Ero davvero intimidito e mi sentivo sotto pressione, mi ricordo che David
(Thewlis) mi dava delle pacche sulle spalle e mi ripeteva di stare calmo. Avevo studiato il discorso
a lungo, ma quando ho visto quelle centinaia di comparse, ho smesso di pensare a recitare, mi
sembrava di tenere un vero e proprio discorso. Stavo rendendo giustizia al vero Alex, a Suu Kyi e al
suo popolo”. David Thewlis ricorda il rapporto con Michelle Yeoh e con i due giovani attori nel
ruolo dei figli: “Michelle è molto intelligente e simpatica ed è anche una grande attrice. Non è stato
difficile ricreare quel legame con una donna così piacevole. Per quanto riguarda i due Jonathan, mi
hanno fatto ridere molto sul set; ci siamo fatti molti scherzi, quindi è stato facile anche con loro. Era
come se fossimo una vera e propria famiglia”.
Un rilascio tanto atteso
Verso la fine delle riprese di The Lady, la troupe è venuta a sapere del rilascio di Aung Sang Suu
Kyi, il 13 Novembre 2010, dopo numerosi anni agli arresti domiciliari. L’emozione è stata molto
intensa. “Anche se la data del rilascio era risaputa da tempo, fino all’ultimo minuto…fino a quando
non l’abbiamo visto con i nostri occhi…non l’avevamo creduto possibile”, afferma Virginie
Besson-Silla. “E poi, l’abbiamo visto in diretta alla televisione. Abbiamo visto i soldati togliere le
barricate che chiudevano la strada dove viveva e abbiamo pensato: ‘Ci siamo, la stanno rilasciando
sul serio!’ È stato un momento incredibile, anche perché proprio il giorno prima avevamo girato la
scena del suo precedente rilascio nel 1995. All’improvviso i fatti reali si stavano mischiando alla
finzione, Suu Kyi camminava con passo deciso verso i cancelli, come se non fosse cambiato niente,
si metteva dei fiori tra i capelli, proprio come aveva fatto Michelle il giorno prima, mentre i suoi
sostenitori la attendavano.” Michelle Yeoh aggiunge: “L’espressione dipinta sul volto di Luc
[Besson] era indescrivibile, non la dimenticherò mai. È stato un momento molto intenso per tutti
noi”. David Thewlis sottolinea che “È stato uno dei momenti più memorabili della mia vita. C’era
Kim con noi, il figlio minore di Suu Kyi. Finalmente avrebbe potuto parlare liberamente con sua
mamma. È stato un momento storico vissuto durante le riprese”.
Un film con un messaggio di speranza…
In conclusione, tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo film sperano che
possa sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione politica in Birmania rendendo giustizia agli
ideali di Aung Sang Suu Kyi. “Il film vuole mostrare come in alcuni paesi ci sia una totale
mancanza di libertà e che ci esistono delle persone disposte a sacrificarsi per la patria”, sottolinea
Virginie Besson-Silla. “Spero che il film serva a riportare l’attenzione sulla causa di Suu Kyi, che la
gente venga sensibilizzata dalla sua storia e che la Birmania non sparisca dalle pagine dei giornali”.
David Thewlis aggiunge che “Per come vanno le cose al giorno d’oggi, basta che un fatto assuma
più importanza ed ecco che nel giro di una notte non si parla più della Birmania. È vero che al
mondo accadono cose terribili in continuazione. Però non dobbiamo dimenticare che Suu Kyi ha
scelto di restare nel suo paese per lottare, quando avrebbe potuto essere un leader in esilio”.
Jonathan Woodhouse continua: “sarebbe meraviglioso se il film spingesse le persone ad
intraprendere delle azioni concrete per aiutare la Birmania, facendole smettere di pensare, almeno
per un momento, alle loro battaglie personali”.
“Spero davvero che Suu Kyi apprezzi il film”, conclude Virginie Besson-Silla. “Abbiamo girato
delle scene di intimità familiare tra suo marito e i suoi figli, anche se lei non ha mai vissuto
realmente quei momenti da quando è stata separata da loro. Spero che approvi la “nostra storia”,
ritrovando in essa il suo messaggio”
AUNG SAN SUU KYI
Suo padre: Aung San
• Figura di spicco dell’Indipendenza birmana
• Assassinato pochi mesi prima della dichiarazione di indipendenza. Aung San Suu Kyi ha due anni.
Il suo paese: Birmania
• Ratifica dell’indipendenza dall’Impero britannico nel 1947
• Colpo di stato del Generale Ne Win nel 1962
La Dama di Rangoon
• Nata nel 1945, cresciuta tra l’India e l’Inghilterra
• Studia filosofia, economia e scienze politiche a Oxford, e lavora per le Nazioni Unite a New
York
• 1988: torna nel suo paese per prendersi cura della madre
• Influenzata dal pensiero di Gandhi e Martin Luther King, fonda la Lega Nazionale per la
Democrazia
• 1989:la giunta militare la mette agli arresti domiciliari
• 1990: durante le elezioni, la LND ottiene il 59% dei voti che garantiscono l’80% dei seggi in
parlamento. Il risultato viene invalidato e i militari si rifiutano di cedere il potere
• 1991: le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace.
• 1999: suo marito muore di tumore
• 2007: proteste contro il governo guidate dai monaci buddisti per il rispetto dei diritti umani.
Ancora agli arresti, Suu Kyi appare brevemente ai cancelli della sua residenza per ricevere la
benedizione dei monaci.
• Novembre 2010 : Aung San Suu Kyi viene rilasciata.
CAST
Michelle Yeoh (Aung San Suu Kyi)
Osannata dalla critica per la sua bellezza e il suo talento, la star di Hong Kong Michelle Yeoh
raggiunge la fama dimostrandosi all’altezza dei suoi omologhi maschili in molti film d’azione e di
arti marziali. Proprio come l’eroe dei film d’azione Jackie Chan, Michelle Yeoh viene apprezzata
per aver eseguito le strabilianti acrobazie e le scene di lotta, con tutti i rischi connessi. Durante la
sua carriera, Michelle è stata in grado di tenere testa ai suoi colleghi maschi senza mai
compromettere la sua femminilità, diventando una delle attrici asiatiche più versatili degli ultimi
anni.
Nata in Malesia, Michelle Yeoh ha sempre mostrato una predisposizione per tutti gli sport,
gareggiando addirittura a livello nazionale nei campionati di squash e vincendo il titolo di
campionessa malese juniores, dedicandosi al nuoto e alle immersioni durante l’adolescenza. Ma la
sua grande passione è la danza, praticata dall’età di quattro anni. Dopo essersi trasferita in
Inghilterra all’età di sedici anni, Michelle frequenta una scuola e ottiene il diploma in Arti Creative,
specializzandosi in danza e in arte drammatica come materia secondaria. Un grave infortunio alla
spina dorsale mette fine al suo sogno di diventare ballerina e rende impossibile la frequentazione di
corsi di danza intensivi, obbligandola ad avvicinarsi a un lato più accademico della danza e alla
coreografia. Dopo la laurea, Michelle torna in Malesia per pensare al suo futuro: aprire una scuola
di danza o tornare a Londra per studiare. Ma una volta a casa, scopre con sgomento di essere stata
iscritta a un concorso di bellezza da sua madre. Nonostante tutto, porta avanti l’iniziativa non
richiesta della madre e viene incoronata Miss Malesia nel 1983.
Durante l’anno in carica, la D&B Films la contatta per girare uno spot con la star delle commedie
d’azione, Jackie Chan, che porta subito ad altri spot con la star Chow Yun-Fat e a un contratto con
la società di produzione. Incoraggiata a mettersi alla prova, Michelle debutta nel film Owl vs.
Dumbo (1984), una commedia d’azione diretta da Sammo Hung, che interpreta anche il ruolo del
protagonista, dove interpreta la parte della fanciulla in pericolo. È solo nel suo secondo film, Yes
Madam (1985), che la sua ampia formazione in danza le dà la forza e l’agilità necessarie per
apparire credibile nelle scene d’azione che entusiasmano il pubblico. Allo stesso tempo, la sua
disponibilità a lavorare rischiando dolori e infortuni, le fa presto guadagnare il rispetto dei
produttori, dei registi e degli stunt dei film d’azione di Hong Kong.
Michelle Yeoh partecipa a quattro film nei successivi quattro anni, tra cui Caccia spietata (1986),
Magnificent Warriors (1987) e il film d’azione Easy Money (1988), con il quale l’attrice si fa amare
dal pubblico. Tuttavia, proprio all’apice del successo, l’attrice stupisce i suoi ammiratori con
l’annuncio dell’imminente matrimonio e del ritiro dalle scene. Per Michelle, la famiglia ha la
priorità, quindi sposa il direttore della società di produzione Dickson Poon, e lascia il cinema per i
tre anni del matrimonio. Dopo il divorzio, l’ex diva dei film d’azione torna sulle scene accanto a
Jackie Chan in Supercop (1992). Questa volta interpreta il ruolo di una donna poliziotto della Cina
continentale che aiuta un collega di Hong Kong (Chan) in una missione sotto copertura in Cina.
Michelle Yeoh è la prima donna co-protagonista ad avere la stessa visibilità del suo tanto lodato
collega nel ruolo principale, ricevendo addirittura una considerazione addirittura maggiore per le
sue incredibili acrobazie.
La popolarità rinnovata di Michelle Yeoh supera perfino il successo iniziale. Diventa l’attrice più
pagata di Hong Kong e partecipa alla lavorazione di dieci film nei quattro anni successivi. Nel
fantasy d’avventura The Heroic Trio (1992), collabora con Anita Mui e Maggie Cheung nella parte
della Donna Invisibile, un’eroina che sparisce indossando un mantello speciale. Michelle Yeoh
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affronta la sua prima lesione grave durante le riprese del thriller d’azione Stunt Woman (1997).
Cade da un’altezza di cinque metri saltando da un ponte e batte la testa, convinta di sentire il
rumore della spina dorsale che si rompe. Anche se temporaneamente bloccata, riesce a terminare le
riprese, tra lo stupore dei medici.
Michelle Yeoh si rimette in sesto ed è pronta a continuare la sua carriera, quando Hollywood la
chiama per il 18esimo film di James Bond, Agente 007 – Il domani non muore mai (1997) accanto a
Pierce Brosnan. Ricopre il ruolo di un’agente cinese che si finge giornalista per fermare insieme a
Bond un potente industriale (Jonathan Pryce) che manipola gli eventi con lo scopo di far scoppiare
la Terza Guerra Mondiale.
Yeoh raggiunge la visibilità maggiore fino a quel momento con il ruolo da protagonista nel film
vincitore di Oscar La tigre e il Dragone (2000). Diretto magistralmente da Ang Lee, questo epico
film di arti marziali ambientato nella Cina del XIX secolo riesce a mantenere un giusto equilibrio
tra le avvincenti scene d’azione e la vibrante emotività dei personaggi. Michelle offre qui una delle
sue migliori interpretazioni nel ruolo di Yu Shu Lien, l’amore segreto di Li Mu Bai (Chow Yun-
Fat), un maestro di arti marziali che la incarica di consegnare ‘Il Destino Verde’, un’invincibile
spada di 400 anni, a un altro maestro.
Nel 2002, Michelle fonda la sua società di produzione cinematografica, “Mythical Filmsin” e
produce in contemporanea due film romantici d’avventura e azione, nei quali ha anche il ruolo di
protagonista: The Touch (2002) and Silver Hawk (2004).
Michelle Yeoh recita poi in Memorie di una Geisha (2005), l’adattamento tanto atteso di Rob
Marshall del best seller di Arthur Golden che parla di una povera bambina giapponese strappata via
dalla sua casa e cresciuta in una casa per geishe.
Michelle Yeoh continua la sua carriera unendosi al cast di Sunshine (2007), un thriller di
fantascienza di Danny Boyle su un gruppo di astronauti mandati a scoprire cosa sia successo
all’equipaggio di una navetta spaziale sparita. Grazie al suo fascino internazionale, riesce ad
assicurarsi dei ruoli nelle maggiori produzioni di Hollywood, come il quello della strega ambigua
che insieme a Brendan Fraser deve impedire all’imperatore risorto (Jet Li) dal mettere in schiavitù
la razza umana ne La mummia-La tomba dell’Imperatore Dragone (2008).
Compare a fianco del protagonista Vin Diesel nel film di Mathieu Kassovitz, Babylon A.D. (2008),
dopodiché ritorna in Cina per collaborare con il suo mentore Terence Chang e il vecchio amico
John Woo per la parte da protagonista in Reign of Assassins (2010), per la regia di Su Chao-Pin.
Michelle fa la parte di un ex assassina che prova a lasciarsi alle spalle la vecchia vita con una banda
di killer sulle sue tracce. Il film è stato presentato alla Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia a settembre dell’anno scorso e candidato come Miglior Regista,
Miglior Film, Miglior Attrice all’Asian Film Awards e all’Hong Kong Film Awards quest’anno.
Michelle Yeoh stupisce ancora una volta il suo pubblico doppiando la Divinatrice in Kung Fu
Panda 2 (2011). La sua interpretazione della vincitrice birmana del Premio Nobel Aung San Suu
Kyi nel film The Lady (2011) di Luc Besson è attesa con trepidazione.
David Thewlis (Michael e Anthony Harris)
David Thewlis, acclamato a livello internazionale è uno degli attori inglesi più versatili.
L’interpretazione che ha segnato una svolta nella sua carriera arriva con Naked-Nudo di Mike
Leigh, per la quale ha vinto il premio come Miglior Attore al Festival di Cannes, al New York Film
Critics Awards, al National Society of Film Critics Awards, al London Critics Circle Film Awards e
all’Evening Standard British Film Awards. Da allora, ha avuto numerosi ruoli da protagonista
acclamati dalla critica.
Thewlis ha recentemente finito di girare due film: War Horse, diretto da Steven Spielberg, e
Anonymous di Roland Emmerich per la Sony Pictures. Tra gli altri lavori recenti: London Boulevard
diretto da Bill Monahan; Mr Nice, diretto da Bernard Rose; Veronika Decide di Morire, diretto da
Emily Young; e Il bambino con il pigiama a righe, diretto da Mark Herman. Thewlis interpreta
anche il personaggio ricorrente del Professor Lupin nei film di Harry Potter.
Il suo nome compare anche in: La vita interiore di Martin Frost di Paul Auster, Omen-Il presagio
di John Moore, All the Invisible Children di Jordan Scott, The New World – Il nuovo mondo di
Terrence Malick, Le Crociate di Ridley Scott, Timeline – Ai confini del tempo di Richard Donner,
Gangster N. 1 di Paul McGuigan, L’assedio di Bernardo Bertolucci, Il grande Lebowski di Joel and
Ethan Cohen, Sette anni in Tibet di Jean-Jacques Annaud e L’isola perduta di John Frankenheimer,
Poeti dall’inferno di Agnieszka Holland, Dragonheart – Cuore di drago di Rob Cohen, Restoration
- Il peccato e il castigo di Mike Hoffman, Black Beauty di Caroline Thompson, Il processo di David
Jones, Resurrected di Paul Greengrass, Vroom di Beeban Kidron, Short and Curlies e Dolce è la
vita, entrambi di Mike Leigh.
In televisione, Thewlis ha recentemente interpretato il doppio ruolo di Joe e Harry in The Street, per
il quale è stato candidato come Miglior Attore in una serie televisiva drammatica al Monte Carlo
TV Festival del 2008. Tra le altre parti sul piccolo schermo: Dinotopia, Prime Suspect III, The
Singing Detective, Journey to Knock, Filipina Dreamgirls, Skulduggery, A Bit of a Do, Road, and
Oranges Are Not the Only Fruit.
Oltre al cinema e alla televisione, Thewlis ricopre anche ruoli teatrali come in The Sea di Sam
Mendes al Royal National Theatre, Ice Cream di Max Stafford-Clark al Royal Court, Buddy Holly
at the Regal e Ruffian on the Stairs al Farnham, e Lady and the Clarinet al Kings Head.
Thewlis è noto anche nelle vesti di regista, per il lungometraggio Cheeky, che ha anche scritto e nel
quale ha recitato il ruolo principale, e per Hello, Hello, Hello, che è stato candidato per un premio
BAFTA come miglior cortometraggio.
I numerosi successi di Thewlis gli sono valsi il prestigioso premio Richard Harris ai British
Independent Film Awards nel 2008 per il contributo dato alla storia del cinema britannico.
Oltre alle opere per il piccolo e grande schermo, David Thewlis è noto anche come scrittore. Il suo
primo romanzo The Late Hector Kipling è stato pubblicato nel 2007 a apprezzato dalla critica.
(regista)
Luc Besson comincia la sua carriera cinematografica nel 1977, lavorando come assistente alla regia
in Francia e negli Stati Uniti, diventando gradualmente uno dei pochi registi e produttori francesi in
fama internazionale.
Nel 1983 dirige il suo primo lungometraggio, Le dernier combat, che gli vale un riconoscimento
all’ Avoriaz Film Festival.
Due anni dopo è alla regia di Subway, con Isabelle Adjani e Christopher Lambert. L’industria
cinematografica lo premia con tre premi César. Il suo stile viene indiscutibilmente riconosciuto.
Continuando ad accrescere il suo successo, assume la regia di Le grand bleu. Nonostante la tiepida
accoglienza al Festival di Cannes, il film raggiunge i 10 milioni di spettatori diventando così un
vero e proprio fenomeno sociale.
Nonostante il parere sfavorevole della critica, sia Nikita (1990) che Leon (1994) vengono acclamati
dal pubblico, ottenendo una forte popolarità in Francia e facendosi una reputazione a livello
internazionale.
Tra la lavorazione dei due film, cura la regia di Atlantis (1991), un documentario mirato a
sensibilizzare il pubblico sulla bellezza della natura e sulla necessità di proteggere l’ambiente.
Nel 1995 intraprende la regia di un audace film di fantascienza: Il quinto elemento. Questo successo
cinematografico stabilisce quasi il record di incassi dei film francesi usciti negli Stati Uniti.
Nel 1998 Luc Besson porta a casa il premio César come Miglior Regista.
Nel 1999, dirige la sua versione di Giovanna d’Arco, che gli vale un’altra candidatura come Miglior
Regista al premio César.
Nel 2000 viene nominato Presidente della Giuria del 53° Festival di Cannes, diventando così il più
giovane presidente della giuria nella storia del festival.
Nei cinque anni successivi si dedica quasi interamente alla produzione. Dalla fondazione, avvenuta
più di dieci anni fa, EuropaCorp è diventata una delle società di produzione cinematografiche più
importanti in ambito europeo
.
Nel 2005, torna dietro alla macchina da presa con Angel-A, e l’anno seguente con il suo primo film
d’animazione, Arthur e il popolo dei Minimei, un adattamento dal libro di cui è anche l’autore.
Questo film d’animazione viene seguito da altri due episodi: Arthur e la vendetta di Maltazard
(2009) e Arthur e la Guerra dei due mondi.
Nel 2010, Luc Besson adatta la graphic novel di Tardi, Adèle e l’enigma del Faraone, con Louise
Bourgoin nel ruolo della protagonista.
Nel 2011 esce The Lady, con Michelle Yeoh nel ruolo della vincitrice del premio Nobel per la Pace,
Aung San Suu Kyi.
Durante la sua carriera, Luc Besson ha diretto anche alcuni video musicali di artisti come Serge
Gainsbourg e Mylène Farmer, e alcune pubblicità per marchi famosi.
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Oltre ai film che ha diretto, Luc Besson ha scritto più di venti sceneggiature per lungometraggi. Tra
di essi citiamo la serie di film Taxxi e il recente Io vi troverò, che ad oggi sembra aver stabilito il
record di incassi dei film francesi negli Stati Uniti.
Filmografia come regista:
2011 The Lady
2010 Arthur e La Guerra dei Due Mondi
2010 Adele e l’enigma del Faraone
2009 Arthur e la vendetta di Maltazard
2006 Arthur e il popolo dei Minimei
2005 Angel-A
1999 Giovanna d’Arco
1997 Il quinto elemento
1994 Leon
1991 Atlantis
1990 Nikita
1988 Le grand bleu
1985 Subway
1983 Le dernier combat
1981 L’Avant-Dernier (cortometraggio)
Thierry Arbogast (Direttore della Fotografia)
Direttore della fotografia per registi come Jean-Paul Rappenau, André Téchiné, Emir Kusturica e,
ovviamente, Luc Besson, Thierry Arbogast possiede un vero e proprio talento nel passare da un
registro all’altro,e un dono per i giochi di luce e ombra.
Il suo interesse per la fotografia nasce all’età di undici anni e in breve tempo comincia a sviluppare
le proprie fotografie e a girare dei cortometraggi in Super 8. Egli stesso ammette di non essere mai
stato bravo a scuola, tanto da lasciarla a diciassette anni per un lavoro da assistente operatore.
Quello che invece gli piace studiare, sono le opere dei grandi direttori della fotografia, come
Vittorio Storaro (Apocalypse Now) e Gordon Willis (Il Padrino).
Scegliendo i suoi progetti in base all’opera omnia dei registi, riesce a creare dei sodalizi con molti di
essi, spesso utilizzando degli approcci tecnici totalmente differenti. In questo modo, dal film Niente
baci sulla bocca (1991) comincia una collaborazione con André Téchiné, la cui estetica, spiega, è
“quasi imbarazzante” ed è invece “legato ad altri valori quali i modi in cui il talento si manifesta.”
Completamente agli antipodi, invece , è Emir Kusturica e curando la luce per Gatto nero, gatto
bianco (1998), scopre un approccio totalmente diverso: “è molto creativo e ha bisogno di
visualizzare una scena per poterla poi arricchire”, dice del regista. “La costruisce poco a poco, ci
vuole tempo.” Conosce Luc Besson nel 1990 sul set di Nikita. I due uomini capiscono subito di
essere sulla stessa lunghezza d’onda. “Luc riesce sempre a stupirmi facendo l’esatto contrario di
quello che farei io”, spiega Thierry Arbogast. “Lui lavora pensando allo spettatore e questo
potrebbe essere il motivo di quella rara osmosi che si crea tra lui e il pubblico. La troupe deve
essere concentrata e tende a mettere tutti sotto pressione soprattutto durante la prima parte delle
riprese. Perciò, all’inizio si respira un po’ di nervosismo, ma una volta passate le Azzorre, la
navigazione procede tranquilla e Luc si rilassa. La seconda parte diventa un film tra amici, come in
Leon”. Uno splendido sodalizio che culmina con The Lady.
Eric Serra (Compositore)
Appassionato di rock, jazz e musica africana, Eric Serra collabora come bassista alla registrazione
di circa cinquanta album. Il suo nome, però, è spesso associato alla lunga lista di film di Luc
Besson.
Nato nel 1959, cresce in un ambiente musicale e comincia a suonare la chitarra molto presto. “Mio
padre mi ha regalato la prima chitarra quando avevo cinque anni” racconta. “Era diventato il mio
giocattolo preferito. La suonavo imitando mio papà, senza nessuna vera spiegazione. Poi, all’età di
undici anni, ho ricevuto la prima chitarra elettrica. Mi piaceva cercare di riprodurre i cori dai dischi
che ascoltavo. Quel gioco mi ha fatto fare pratica e mi ha sviluppato l’orecchio. Quella è stata la
mia unica scuola di musica. Ecco perché i miei insegnanti vanno da Ritchie Blackmore (Deep
Purple) e Alvin Lee (Ten years after) a Jeff Beck e John McLaughlin”.
Nel 1976, lavora per musicisti del calibro di Dider Lockwood, Mory Kante, Murray Head e
Youssou N’Dour, fino a diventare il bassista di Jacques Higelin all’inizio degli anni ‘80. In quel
periodo, Eric Serra conosce Luc Besson tramite Pierre Jolivet. “Luc, che aveva diciotto anni come
me, voleva dirigere il suo primo cortometraggio e mi ha chiesto di scrivere la musica”, ricorda il
compositore. “Da lì, ho composto la colonna sonora di tutti i suoi film. Si può dire che abbiamo
iniziato insieme”.
Nel 1985, Serra vince due dischi d’oro per la colonna originale di Subway, che viene candidata
anche per un César. Il musicista continua a dividersi tra palco e musica per i film, finché non si
decide a scegliere quest’ultima, perché Luc Besson gli lascia molta libertà e gli permette di
cominciare a lavorare dalla prima bozza della sceneggiatura. Tre anni dopo, scrive la colonna
sonora per Le grand bleu (César per la Miglior Colonna Sonora Originale e un premio Victoire),
con un sound elettrico che si rifà alla New Age. Compone la musica di Nikita (1990), Atlantis
(1991), che definisce la sua “prima vera musica sinfonica”, e Leon, un’intelligente fusione di
percussioni africane, synth e sonorità arabe. “Se guardandomi indietro dovessi scegliere la mia
musica preferita, pur essendo una scelta difficile, direi Leon perché sprigiona un potere emotivo che
mi tutt’ora affascina.”
Raggiunta la fama internazionale, Eric Serra viene contattato dai produttori di Goldeneye (1995) per
rinnovare lo stile musicale di James Bond. Due anni dopo esce il suo primo album da solista RXRA,
nel quale canta anche i testi scritti da lui. Nel 1999, Serra collabora di nuovo con Luc Besson per
Giovanna d’Arco ispirandosi ai Carmina Burana di Carl Orff, mettendo da parte per una volta i
suoni elettronici.
Dopo aver lavorato negli Stati Uniti per la seconda volta sul remake di Rollerball (2002) di John
McTiernan, Eric Serra prova la nuova esperienza della trilogia animata Arthur e il popolo dei
Minimei (2006-2010) per la quale Luc Besson lo obbliga a cambiare radicalmente il suo metodo di
lavoro. È questa lunga collaborazione che li aiuta a superare le loro divergenze. Oggi li vediamo di
nuovo insieme in The Lady.