Contromano… “Antonio Albanese ha scelto la via del paradosso e dell’ironia per il suo ritorno alla critica, civile e politica, di un fenomeno scottante e centrale quale l’immigrazione”

Contromano… “Antonio Albanese ha scelto la via del paradosso e dell’ironia per il suo ritorno alla critica, civile e politica, di un fenomeno scottante e centrale quale l’immigrazione”

di Paolo Calcagno

Antonio Albanese ha scelto la via del paradosso e dell’ironia per il suo ritorno alla critica, civile e politica, di un fenomeno scottante e centrale quale l’immigrazione. Albanese, 53, anni, dopo gli svaghi nelle commedie a tinte lievi di Riccardo Milani, “Papà o mamma?” e “Come un gatto in tangenziale”, ritorna alla regia con il film “Contromano” per mettere nel mirino il tema dell’immigrazione che tanto spazio ha avuto anche nell’ultima campagna per le elezioni politiche che hanno segnato il successo di chi vi si oppone in ogni modo, sensato e non.

“ “Contromano” nasce dal desiderio sociale come spettatore di raccontare in maniera diversa un tema così impetuoso, con garbo e leggerezza, che non è una parolaccia. L’idea di partenza è quella paradossale e ironica del rapimento di un extracomunitario per riportarlo di peso a “casa sua”, ha commentato Albanese all’anteprima per la stampa, all’Anteo di Milano, del suo nuovo film, prodotto da Fandango e Rai Cinema, nelle sale il 29 marzo, in 300 copie, con 01 Distribution.

“Contromano” ha per protagonista Mario Cavallaro (Albanese), cinquantenne milanese preciso e abitudinario: si sveglia tutte le mattine nello stesso modo, nella stessa casa, nello stesso quartiere, nella stessa città, beve lo stesso caffè nello stesso bar e apre il suo negozio senza mai tardare di un solo minuto. È questo, per lui, il bello della vita: le cose che non cambiano, che rimangono uguali, le abitudini. Una routine prestabilita e rassicurante che lui non ha alcuna intenzione di cambiare. L’ordine, la precisione, la puntualità, il rispetto, il decoro, la voce bassa, lo stare ognuno al proprio posto sono i valori cardine della vita di Mario, convinto che il segreto di una società civile sia il rispetto della disciplina. La monotona vita di Mario si divide tra i suoi due luoghi del cuore: il suo prestigioso negozio di calze, ereditato dal padre, e il terrazzo di casa dove coltiva un orto, unica passione che si concede. Terrorizzato al solo pensiero di apportare dei cambiamenti alla propria vita, Mario sprofonda nello sgomento quando viene a sapere che il suo vecchio bar di fiducia, dove beve sempre lo stesso marocchino dallo stesso inconfondibile sapore, sta per essere venduto a un egiziano, all’ “egiziano del kebab”. E, come se non bastasse, davanti al suo negozio si piazza Oba (Alex Fondja), un giovane senegalese venditore ambulante di calzini, che inizia a minacciare l’attività di Mario con le sue offerte slealmente concorrenziali. Ma quel che è troppo è troppo, così Mario decide di agire per “rimettere le cose a posto” mettendo in atto un piano semplice quanto folle: decide di rapire Oba e riportarlo a casa sua. Un viaggio Milano-Senegal di solo andata. A suo giudizio, quella di Mario è un’idea geniale: se tutti lo facessero, riportandoli in patria uno a uno, il problema dell’immigrazione sarebbe risolto. Il film prende così la piega di un paradossale “on the road”, che si complicherà ulteriormente con l’entrata in scena di un terzo personaggio che, se possibile, rende ancora più assurda la situazione in macchina. Oba acconsente alla sua “deportazione” solo a una condizione: Mario deve riaccompagnare a casa anche sua sorella, Dalida (Aude Legastelois).  E Mario, non appena vede la bellissima ragazza, se ne innamora perdutamente e tra rocambolesche disavventure, ovviamente molto divertenti, nasce fra i protagonisti un dialogo risolutore che scaccia pregiudizi e conflitti e che cancella lo slogan, popolare ultimamente in Italia, “aiutiamoli a casa loro”, mutato in “riportiamoli, uno per uno, a casa loro” dal solitario ed esasperato commerciante milanese di “Contromano”.

“L’ostilità esasperata verso gli immigrati, molto diffusa nella società di oggi, anche se a volte può avere delle giustificazioni, mi spaventa, mi addolora e mi indebolisce – ha aggiunto Antonio Albanese, commentando il suo nuovo film -. Ho paura soprattutto quando sento parlare di muri: quelli non solo dividono ma generano rabbia, vendette, malumori, comportamenti difficili da sradicare, che durano decenni. Per questo abbiamo cercato di raccontare il dialogo, non solo il dolore”.

“Nella storia, che nasce da un’osservazione quotidiana mia e degli altri sceneggiatori, Andrea Salerno e Stefano Bises, con la collaborazione di Makkox) – ha spiegato Albanese definendosi “’figlio dell’immigrazione”’ – c’è l’incontro fra due solitudini diverse, quella di Mario, che rappresenta l’Occidente, onesto ma diffidente, e quella di Oba e Dalila che hanno lasciato la loro terra. A unirli è, appunto, il dialogo, l’esperienza comune. La rabbia di Mario nasce da una chiusura, un’implosione, accumulata negli anni. Il viaggio, il contatto con culture diverse gli fa aprire le ali e, per lui, si rivela salvifico”. Per “Contromano” ho scelto un modo di raccontare, tra iperrealismo e favola, senza dimenticare quell’ironia che nel nostro Paese, purtroppo, si sta perdendo”.

 

Paolo Calcagno

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