Liv Ullmann al 36° Bergamo Film Meeting – Ingmar Bergman l’aveva definita “Il mio Stradivari”
di Paolo Calcagno
Ingmar Bergman l’aveva definita “Il mio Stradivari”. Liv Ullmann
annuisce con un sorriso che riassume una vita intera e va oltre: “Non ce lo
siamo mai detti apertamente, era piuttosto una mia sensazione di cui mi
sono accorta più tardi: in qualche modo, impersonificavo la sua solitudine,
la sua esclusione, il suo sentirsi lontano dagli altri. Non in tutti, ma in
molti film che ho girato con Bergman mi sono accorta di parlare per lui.
Soprattutto in “Persona”, il mio primo film come sua attrice, un film in cui
non avevo battute, ho riconosciuto la situazione di vita nella quale lui si
trovava in quel momento, era silenzioso, impaurito. Nei primi 4 film fatti
assieme mi passava la parte che doveva andare a Max Von Sydow, o a
Erland Josephson, non quella di Bibi Andersson. In quei ruoli interpretavo
lui e la sua anima, in quei film io ero lui”.
Il fascino senza tempo dell’attrice e regista norvegese Liv Ullmann (80
anni a dicembre) ha arricchito il già interessante e storico appuntamento
con Bergamo Film Meeting, conclusosi con la vittoria del film macedone
“Iscelitel”, di Gjorce Stavreski.
La grande interprete di ben 10 film di
Ingmar Bergman, nonché sua compagna per 5 anni, è stata ospite
d’onore e madrina della 36ma edizione del Festival bergamasco
che le ha reso omaggio con una ricca retrospettiva dei suoi titoli più
celebrati (da “Persona” a “Passione”, da “Sussurri e grida” a “Scene da un
matrimonio”), con la mostra fotografica, “Liv & Ingmar”, e l’incontro con
il pubblico all’Auditorium cittadino.
Fin dal suo debutto bergmaniano con il film “Persona”, nel quale le era
stata concessa dal geniale maestro una sola battuta, Liv Ullmann strinse
con il leggendario regista svedese un profondo e intimo sodalizio, umano e
artistico, sul set e nella vita, che restò tale anche dopo la loro separazione.
“ “Persona” non è stato il mio primo film – ha sottolineato l’attrice e
regista norvegese -. Avevo cominciato a recitare sette anni prima circa,
senza contare che probabilmente recito dall’età di zero anni. “Persona”,
però, è sicuramente il film che ha cambiato la mia vita per molte ragioni e
di sicuro ha cambiato la mia carriera”. Una carriera quella della
straordinaria Liv Ullmann costruita prima sui testi dei grandi autori del
Teatro, Shakespeare, Ibsen Strindberg, Brecht, poi consacrata con la
collaborazione intensa con il maestro svedese del Cinema, già autore di
celebrati capolavori, quali “Il posto delle fragole”, “La fontana della
vergine”, “Il settimo sigillo”.
“Con Bergman è stata una collaborazione continua – ha raccontato Liv -
. Ascoltava e accettava le osservazioni mie e di altri. Poi, decideva lui
come scrivere i testi e a noi attori non permetteva di saltare, o di cambiare,
nemmeno una parola. Qualche volta, però, in fase di montaggio,
concedeva qualche piccolo cambiamento”.
Con le sue meravigliose interpretazioni nei film di Bergman Liv Ullmann
ha incarnato la riflessione, il disagio e persino il dolore esistenziale del
grande maestro, del quale a luglio ricorrerà il centenario della nascita.
“Con Bergman non sono stati sempre e soltanto silenzi – ha ricordato la
Ullmann -. In privato, gli piaceva molto scherzare e sfoggiare il suo senso
dell’humour. Era molto attento agli eventi politici e sociali, in particolare
si sentiva coinvolto dalle assurdità della guerra in Vietnam. Amava molto
scrivere e un suo grande rimpianto era di non essere riconosciuto come
scrittore di valore. Stimava molto Fellini che apprezzò tantissimo dopo un
pomeriggio e una notte passati assieme, a Roma. Tra i più profondi
insegnamenti di Ingmar ricordo queste sue parole: “C’è una realtà oltre la
realtà ed è nell’animo”. E’ diventato noto per essere un autore cupo, ma in
molti suoi film c’è tanta speranza, tanto amore per gli altri. Il suo Cinema
è una continua ricerca esistenziale. Ricordava spesso di quando era
bambino e stava in braccio alla nonna che gli raccontava della bellezza
dell’universo e di una destinazione sconosciuta. Quando gli chiesi se, poi,
l’avesse trovata, rispondeva che con i suoi film ne era continuamente alla
ricerca: “Ero lì, quando ero molto giovane – diceva -. Da allora, sto
cercando di tornarci” “.
Nominata due volte all’Oscar, Liv Ullmann ha vinto il Golden Globe, il
Premio Pasinetti a Venezia, il David di Donatello. In Italia, ha lavorato con
Mario Monicelli (“Speriamo che sia femmina”) e Mauro Bolognini
(“Mosca addio” e “Gli indifferenti”). “Amo molto il Cinema italiano, da
Vittorio De Sica che ha cambiato la mia vita alle mie esperienze con
Monicelli e Bolognini – sottolinea l’attrice norvegese -. Quando sono a
Roma, mi sento in famiglia. Durante le riprese di “Speriamo che sia
femmina”, mi sposai con il mio attuale marito e Monicelli mi prestò il suo
costumista che mi fece un magnifico abito da sposa, verde, non bianco,
giacché non era il mio primo matrimonio. In particolare, sono legata alle
emozioni del personaggio di “Mosca addio”, una donna che lascia la
Russia per andare a Gerusalemme, una trasformazione esistenziale
compiuta non con odio, ma con conoscenza e comprensione”.
Le batture finali dell’incontro con Liv Ullmann hanno riguardato il suo
modo di essere attrice: «Non sono mai stata un’attrice che “vive” i suoi
personaggi fuori dal set o fuori dal palcoscenico. Come attrice, non mi
trasformo e non divento il personaggio che interpreto. Uso e ho
sempre usato solo me stessa, il mio volto, la vita che ho vissuto e il mio
corpo. Ho sempre cercato cosa c’è di mio nel personaggio, mai il
contrario: tutto viene dal mio animo, dalla mia interiorità. A volte,
grazie ai miei personaggi, trovo dentro me stessa delle cose che
nemmeno sapevo di avere. Ricordo che nel film “Passione” c’è un
lungo primo piano di 8 minuti per un monologo in cui parlo della
morte di mio marito e di mio figlio, periti in un incidente. Io intendevo
recitare una donna che dice la verità, ma Bergman continuava a
ripetere “No, lei mente”. Così, sentii che stavo arrossendo,
spontaneamente: il mio fisico mi rivelava che quella donna mentiva.
Ho sempre preferito i sentimenti, perché quelli restano veri anche se
reciti”.