Da oggi 15 febbraio “Hannah” di Andrea Pallaoro con Charlotte Rampling
“Sono sempre stata una donna e un’attrice indipendente, che ha fatto della libertà il suo scopo e la sua modalità principali. Una volta, quando ero un’altra persona, l’eros e la seduzione sono stati i percorsi scelti per comunicare con me stessa e con il pubblico, peraltro senza mai servirmi di alcuna provocazione meditata. Oggi, la mia ricerca è rivolta alla spiritualità. Per me, la spiritualità è il tentativo di scendere nelle profondità di noi stessi atraverso la riflessione e il silenzio: è la ricerca incessante di me stessa che fa emergere la mia spiritualità”. Così Charlotte Rampling, 72 anni, analizza la sua inevitabile trasformazione cogliendo l’occasione della presentazione del suo nuovo film da protagonista “Hannah”, assieme al regista Andrea Pallaoro che, dopo il buon esordio con “Medeas”, ha diretto la celebre attrice inglese in un’interpretazione personalissima e magistrale, premiata con la Coppa Volpi alla 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Charlotte e Pallaoro sono stati entrambi ospiti dell’anteprima milanese di “Hannah”, a cura di Sala Biografilm, estensione nel corso dell’anno di Biografilm Festival – International Celebration of Lives di Bologna, il primo festival italiano dedicato alle biografie e ai racconti di vita i cui ambiti spaziano dal cinema alla letteratura, dal documentario alla fotografia, dall’arte al teatro, alla musica. “Hannah” è una una co-produzione fra Partner Media Investment (Roma), Left Field Ventures (Bruxelles), Good Fortune Films (Parigi), con Rai Cinema; con il supporto di Eurimages – Council of Europe, MiBACT – Direzione Generale per il Cinema, Regione Lazio; mentre a distribuire il film nella sale, dal 15 febbraio, sarà I Wonder Pictures.
“Hannah” racconta la storia di dolore e solitudine di una donna anziana cui all’improvviso le viene presentato il conto di una struggente sofferenza per conto terzi. La routine a cui Hannah cerca disperatamente di aggrapparsi, tra lavoro, corsi di teatro e piscina, va in pezzi all’indomani dell’arresto del marito. Perché è stato incarcerato? Perché la donna si nasconde dai vicini? Perché suo figlio non vuole avere niente a che fare con lei e le impedisce di vedere il nipote? Gli indizi per rispondere a questi dilemmi sono lì, nascosti nei silenzi e disseminati tra le pieghe di un dolore inespresso, ma le risposte sono in realtà del tutto marginali. Al centro di ogni scena c’è Hannah: il suo mondo interiore esplorato senza giudizi morali, un crollo che traspare con inquietante compostezza dai gesti, dagli sguardi, dai brevi momenti di cedimento.
“HANNAH – ha spiegato il regista Andrea Pallaoro – esplora il tormento interiore di una donna intrappolata dalle proprie scelte di vita, paralizzata da insicurezze e dipendenze, dal suo stesso senso di lealtà e devozione. La disperazione di Hannah mi tocca profondamente, forse perché sono consapevole di quanto il mondo possa essere spietato nei suoi confronti, o forse perché in lei riconosco alcune parti di me stesso. Ciò che so per certo è che con questo film ho voluto sentirmi vicino a lei, tenerle la mano, incoraggiarla, rassicurarla. Più di ogni altra cosa ho voluto che il mondo la vedesse, percepisse il suo dolore e che assistesse al suo sforzo di ridefinirsi e riconoscersi, da sola, prima di scomparire. Il film nasce dalla convinzione che l’osservazione intima di un singolo personaggio, o persino di un singolo stato d’animo, possa riflettere la nostra condizione di essere umani e permettere a chiunque di “specchiarsi” nel personaggio e nella storia. È questa la catarsi a cui aspiro: dare allo spettatore l’opportunità di riconoscersi, e magari di capire qualcosa in più di sé stesso”.
“Con questo film raccontiamo che spesso anche le persone più vicine non le conosciamo – ha osservato Charlotte Rampling – Mi piaceva l’idea di entrare con la macchina da presa nella sua testa e in qualche modo riuscire a trovare e toccare la sua umanità. Credo che il modo in cui il film segue Hannah ed esplora la sua solitudine non comunichi un senso di tristezza ma, invece, sancisca una scelta definitiva di sopravvivenza”.
Pallaoro ha raccontato che il colpo di fulmine per l’attrice è avvenuto quando l’ha vista per la prima volta su grande schermo nel film La caduta degli Dei, di Luchino Visconti. “Ho cominciato a seguire la sua carriera sognando di poter un giorno lavorare con lei. Quando le ho inviato la sceneggiatura e una copia di Medeas si è detta disponibile a incontrarmi a Parigi, quello è stato l’inizio di un’amicizia e collaborazione artistica importante che ha permesso al personaggio di crescere molto. Charlotte mi ha insegnato moltissimo, è un’artista che scava all’interno del mondo interiore del personaggio alla ricerca di verità con grande generosità e coraggio”.
“Per me, era chiarissimo che soltanto Charlotte e nessun altra poteva essere Hannah – ha aggiunto il regista italiano, che in primavera girerà “Monica”, secondo atto della trilogia incominciata proprio con “Hannah” -. Senza di lei questo film non ci sarebbe stato, o sarebbe stato tutto un altro film”.
“Fondamentale per me, – ha precisato Charlotte Rampling – è essere ricercata in base alla donna che sono. La libertà dell’attore è una conquista, non si può inventarla, né apprenderla: è un’esigenza necessaria, imprescindibile, più di qualsiasi altra cosa al mondo”. Il riferimento a Luchino Visconti è l’unico accenno al suo passato leggendario di simbolo ambiguo dell’eros e della rivoluzione della Swinging London degli anni Settanta, quando la sua arte seduttiva incantò perfino una scimmia nel film di Nagisa Oshima “Max Amore Mio” e provocò l’invenzione del neologismo “To Rampl”, in omaggio al suo fascino torbido e irresistibile. “Non mi piace ritornare sul mio passato, quando ero qualcun’altra, una persona assai diversa da quella che sono oggi. Andrea ha detto che si è ispirato a me guardando quel film di Visconti del 1969. Ebbene, quel film e Visconti sono stati dei passaggi cruciali per me, come donna e come attrice. Visconti mi ha insegnato tutto. Guardando Visconti Andrea mi ha scoperto e anch’io mi sono scoperta grazie a Visconti”.
Tra la fine degli anni 60 e la prima metà dei 70, Charlotte Rampling oltre che con Visconti, ha lavorato con Giuliano Montaldo (Giordano Bruno, 1973) e Liliana Cavani (Il portiere di notte, 1974) e con Adriano Celentano (Yuppi Du, 1975). In seguito, negli Stati Uniti, è stata affianco a Robert Mitchum in Marlowe, il poliziotto privato, di Dick Richards (1975), di Woody Allen in Stardust Memories (1980) e di Paul Newman ne Il Verdetto, di Sidney Lumet (1982). Dopo il film di Oshima, ha girato Angel Heart – Ascensore per l’infern,o di Alan Parker (1987), Le ali dell’amor,e di Iain Softley (1997), “Le chiavi di casa” (2004), di Gianni Amelio, Due volte lei – Lemming, di Dominik Moll (2005), Verso il sud, di Laurent Cantet (2005), Caotica Ana, di Julio Medem (2007), e la lunga collaborazione con François Ozon, iniziata nel 2000 con Sotto la sabbia e proseguita con Swimming Pool (2003, European Film Award come Migliore attrice), Angel – La vita, il romanzo (2007) e Giovane e bella (2013). Da menzionare anche l’esperienza in Melancholia, di Lars von Trier (2011), Treno di notte per Lisbona di Bille August (2013) e, soprattutto, 45 anni, di Andrew Haigh (2015), con cui ha vinto numerosi premi internazionali fra i quali l’Orso d’argento, l’European Film Award e ha ottenuto la nomination all’Oscar come migliore attrice protagonista.
Paolo Calcagno