The Double FOTO, NOTE DI PRODUZIONE e INTERVISTA AI REALIZZATORI
NOTE DI PRODUZIONE
Dopo il successo di “Quel treno per Yuma” e “Wanted – Scegli il tuo destino”, il duo di sceneggiatori Michael Brandt e Derek Haas era alla ricerca di un progetto che permettesse al primo di dirigere e al secondo di produrre – un obiettivo che stavano cercando di raggiungere da ben undici anni, cioè dal momento in cui erano riusciti a vendere il loro primo script.
“Amiamo il processo di scrittura e certamente adoro dirigere e avere Derek come produttore al mio fianco”, rivela Brandt quando parla di THE DOUBLE, il primo progetto che i due affrontano insieme ricoprendo ruoli insoliti per loro.
In occasione di questo debutto rispettivamente come regista e produttore, Brandt e Haas, hanno voluto affrontare un thriller che tratta di spie russe e, un po’ come nei loro film precedenti, si sono rifiutati di scrivere insieme nella stessa stanza. Al contrario, hanno continuato a inviarsi via mail le stesure del copione. “Il nostro obiettivo è quello di fare sempre meglio. Capita che la battuta che hai scritto non sia ottima come quella che hai appena ricevuto. Da qui allora: fare sempre meglio”, commenta Haas.
Sebbene abbiano scritto diverse stesure della sceneggiatura, la trama ruotava sempre intorno a un ex agente CIA incapace di catturare uno dei sette assassini russi che avrebbe dovuto uccidere durante la Guerra Fredda. Vent’anni dopo l’agente viene costretto a tornare in servizio e ad allearsi con un giovane agente FBI per investigare sul recente omicidio di un senatore americano, per cui il primo sospettato è proprio l’assassino russo che gli è scappato.
La sceneggiatura è rimasta bloccata presso uno Studio per anni, finché Brandt e Haas sono riusciti a riprendersi i diritti. Ciononostante, l’accordo prevedeva che avrebbero avuto soltanto un anno per sviluppare il film, il che dava loro una piccola finestra di tempo per realizzarlo.
Sin dall’inizio, Brandt e Haas volevano fare un film per il grande pubblico, ma che fosse anche realistico, e mentre tante case di produzione erano interessate a finanziare il progetto, molti sentivano che gli obiettivi del progetto non potevano essere raggiunti con il budget prestabilito. Ashok Amritraj, CEO e presidente della Hyde Park Entertainment, era però di diverso avviso e ha dato loro la possibilità di creare quello che era nei loro intenti. “Si è fidato tanto di noi e ci ha lasciato cercare gli attori che volevamo per realizzare un film che sembrasse più costoso di quanto è veramente stato”, racconta Brandt.
Quando Amritraj ha dato il via libera, la sceneggiatura è stata immediatamente inviata a Richard Gere. “Era il primo di cui abbiamo parlato e abbiamo pensato a lui perché sono pochi quelli della sua generazione in grado di fare questo film, e cioè in grado di fare due cose alla volta. Richard è uno di quegli uomini di talento che è anche capace di portare intensità e incredibile calore allo stesso tempo”, afferma Brandt riguardo alla sulla sua prima scelta per il ruolo di Paul Shepherdson.
Per fortuna, Gere era rappresentato dallo stesso agente di Brandt e Haas e ha dato loro una risposta immediata. “Da regista, sono subito corso a casa sua negli Hamptons. Sono arrivato alla sua porta dicendo: ‘Hey, sono quello che ha scritto THE DOUBLE!’ Tre ore dopo, gli ho fatto la migliore presentazione del progetto che un regista possa fare e lui ha risposto: ‘Perfetto! Facciamolo’”, ricorda Brandt sul suo primo incontro con l’attore.
E’ stata la complessità dei personaggi – non soltanto Paul Shepherson, ma anche degli altri – ad attrarre Gere: “In questa storia tutti sono dei bravi bugiardi e questo fa di loro dei personaggi particolarmente interessanti per un attore”, commenta Gere.
Trovare l’attore che avrebbe interpretato il giovane agente FBI Ben Geary era un po’ più difficile, dal momento che stavano pensando proprio a Topher Grace, conosciuto nel giro come “Nopher”, per la sua celebre caratteristica di dire no ai progetti che gli vengono offerti. Si trattava, comunque, di un progetto che non avrebbe potuto rifiutare, specialmente per l’opportunità di lavorare al fianco di Gere.
“In questo mestiere, nessuno è più grande di Richard Gere. Lui è in grado di fare qualsiasi cosa, più volte e in diversi generi. Soltanto ritrovarmi al fianco di uno come lui, che ha avuto tantissime esperienze, è stato bellissimo. Speri che queste persone e il loro talento ti rimangano incollati addosso e che diventerai come loro”, dice Grace a proposito del lavoro svolto con uno degli attori che ammira di più.
Il rapporto tra Gere e Grace era decisamente uno dei fattori chiave nella realizzazione del film. Pare che Brandt e Haas avessero individuato dei punti in comune tra i due personaggi e i protagonisti, dal momento che Gere aveva un po’ il ruolo del mentore di Grace sia in scena che fuori. “Abbiamo cominciato ad avere un rapporto personale simile a quello del film”, racconta Gere. Ad ogni modo, Grace aggiunge con modestia: “Non l’ho mai sfidato in alcun modo. Lui è il capo. È come se avessimo Kobe Bryant nella nostra squadra e lui passasse la palla il più delle volte. Quindi è una cosa bella”.
Per interpretare il ruolo, Grace ha seguito una preparazione precisa che includeva anche imparare una nuova lingua. “Non sono un attore di metodo”, dichiara, “ma ho consultato un insegnante di russo, perché si tratta di una lingua davvero difficile da pronunciare se parli solo inglese”. Grace, inoltre, ha dovuto familiarizzare con il gergo dell’FBI.
Come se non bastasse, l’attore ha dovuto calarsi nei panni di un padre di famiglia. Un uomo con moglie e figlia, in contrasto con il personaggio solitario di Gere. Per Grace, entrare in questo territorio sconosciuto di matrimonio e bambini è stato più spaventoso che imparare a usare un’arma da fuoco. “La prima cosa che abbiamo fatto è stata scattare foto con nostra figlia. Si trattava di una cosa nuova per me… non ho mai sparato prima al cinema, ma questo era decisamente più spaventoso”, ammette riguardo alla dimensione familiare che ha portato in scena.
Per Grace, questo processo che inizialmente lo metteva in difficoltà è stato reso più facile dalla presenza di Odette Yustman, l’attrice che interpreta sua moglie nel film. Grace conosceva la Yustman sin da prima delle riprese di THE DOUBLE e dunque era felice di ritrovare un volto conosciuto sul set: “È una persona adorabile e un’attrice incredibile”. Sebbene intimidito dalla dimensione familiare del suo personaggio, Grace ha apprezzato il fatto che Ben Geary fosse padre e marito poiché, sebbene già si trattasse di un ruolo interessante, il fatto che fosse un padre di famiglia lo rendeva più reale e facilitava il processo di identificazione con gli spettatori mentre affrontava le questioni morali della storia.
Al fianco di Richard Gere e Topher Grace troviamo un gruppo di attori di contorno molto talentuosi, incluse due donne che brillano all’interno di un cast predominato da maschi. La sempre più nota Yustman ha interpretato ruoli sia sul grande che sul piccolo schermo, inclusa la seguitissima serie Dr. House – Medical Division, la serie drammatica della ABC “October Road” e il film “Cloverfield”, prodotto da J.J. Abrams.
Proprio come Grace, Brandt e Haas sono davvero rimasti colpiti dalla Yustman. “Lei è il centro emotivo del film”, dice Haas. Brandt aggiunge: “È una persona che adori all’istante. È bellissima ed è una grande attrice. Ero pazzo di lei sin dal primo minuto in cui le ho parlato del suo ruolo nel film”.
A differenza del personaggio della Yustman, mamma e moglie adorata, l’attrice Stana Katic interpreta il ruolo di Amber, una prostituta russa che Shepherdson interroga nel tentativo di risolvere l’omicidio. La Katic è conosciuta soprattutto per la serie della ABC “Castle – Detective tra le righe”, in cui interpreta una poliziotta incorruttibile, un ruolo molto lontano da quello che riveste nel film: una squillo che vive in un camper.
I realizzatori hanno apprezzato molto l’attrice per come ha lavorato ad alcune scene intense insieme a Richard Gere, in particolare le sequenze di lotta e inseguimenti. “Tutte le volte che mi avvicinavo a lei, aveva la sabbia negli occhi e nel naso e graffi ovunque, ma continuava a dire: ‘Dai, forza, riprendiamo!’. Ero colpito dalla sua voglia di non fermarsi mai e andare avanti”, spiega Brandt riguardo la passione della Katic per le scene girate.
Per il ruolo di Tom Highland, capo della CIA, il primo nome proposto da Gere è stato quello di Martin Sheen. “Martin è molto serio e allo stesso tempo molto caloroso. Penso che fosse proprio quello che cercavamo per il rapporto tra Paul e Tom”. I due hanno cercato a lungo il progetto perfetto su cui lavorare insieme. Entrambi hanno lavorato con Terrence Malick – Sheen era ne “La rabbia giovane” e Gere ne “I giorni del cielo” – ed entrambi erano rimasti colpiti dalle rispettive performance.
Quando Sheen ha saputo che Gere avrebbe avuto il ruolo di Paul Shepherdson, ha colto al volo l’occasione di interpretare il capo della CIA: “Richard è davvero uno dei miei eroi”, ha detto Sheen “Ed ero un po’ in imbarazzo nel fargli questa confessione, perché lui è un tipo proprio gentile e con i piedi per terra”.
Nel ruolo di Brutus – uno dei sette assassini russi a cui Shepherdson ha dato la caccia – c’è una persona a suo agio con i ruoli oscuri. Celebre soprattutto per il suo personaggio in “True Blood” di Alan Ball, Stephen Moyer è l’inquietante Brutus, un personaggio che vediamo in alcuni flashback mentre vive i suoi primi giorni da spia russa, e poi ritroviamo vent’anni dopo in galera.
Per prepararsi al ruolo, Moyer non soltanto ha dovuto mettersi in forma per essere credibile come killer, ma ha anche lavorato mentalmente per sembrare raggelante e minaccioso, un lavoro di immedesimazione che ha superato le aspettative dei realizzatori.
Haas ricorda: “Stephen pratica pugilato a vuoto perfino poco prima di battere il ciak: si prepara così tanto per il ruolo, fa la sua scena e se ne va. Ed è una cosa elettrizzante. Abbiamo sempre pensato a Brutus come a qualcuno con cui potevi passare una giornata campale e Stephen lo ha fatto evolvere a un livello superiore”.
Da regista, Brandt non ha dato a Moyer nessuna specifica indicazione su come interpretare il ruolo, bensì gli ha offerto totale libertà di creare il look del personaggio: “Stephen ha proposto questa cosa delle cicatrici negli occhi e dei tatuaggi. Onestamente, mi sono fatto da parte e gli ho fatto fare quello che voleva”.
Sebbene non abbia mai visto “True Blood”, Grace è rimasto molto colpito dall’assoluto contrasto tra il personaggio di Moyer e la sua vera personalità fuori dal set. “Stephen è un grande. È divertente quando hai qualcuno che interpreta un killer russo, che in realtà è un attore britannico e un tipo adorabile fuori dal set”.
Il personaggio di Brutus non era affatto facile per un attore, soprattutto con una sequenza che richiedeva di ingoiare un paio di batterie per ammalarsi e tentare la fuga dalla prigione. Nel film, Paul Shepherdson e Ben Geary visitano Brutus in cella per avere informazioni su Cassius. Per ottenerle lo corrompono con uno degli oggetti che lui desidera di più, una radio, un primo contatto con il mondo esterno dopo dieci anni.
Alla fine Brutus usa la radio per collegarsi davvero al mondo esterno: un mezzo per scappare dalla prigione che l’ha tenuto rinchiuso per una decade. Nella storia del cinema ci sono stati tanti modi di rappresentare un’evasione e Brandt e Haas volevano assicurarsi di trovare un’idea creativa e allo stesso tempo credibile, “qualcosa di bello e diverso”, dice Haas.
Sebbene siano stati i realizzatori a ideare la fuga di Brutus, loro danno tutto il merito all’assistente di regia per aver cercato di renderla credibile. Cosa succederebbe se qualcuno ingerisse delle pile? “Apparentemente nulla! Uscirebbero dall’altra parte del corpo e staresti bene comunque”, ricorda Brandt.
Mettere insieme il cast perfetto può essere difficile, ma scovare le location ideali è altrettanto complicato, soprattutto quando la scena richiede che il set sia allestito come un penitenziario. Avendo parzialmente girato a Detroit, i realizzatori hanno visitato diverse prigioni che sarebbero state perfette per il look e il tono del film. Ciononostante, la dimensione compatta delle celle creava altrettanti problemi per le riprese. “Se stai girando in una vera prigione, non c’è posto per piazzare la macchina da presa all’esterno della cella e, a quel punto, è inevitabile guardare attraverso le sbarre. Ecco perché molti si costruiscono da soli le prigioni in modo da poter muovere le mura e quindi la macchina da presa all’interno e all’esterno”, dice Brandt a proposito della complessità della scena.
Per fortuna Brandt e Haas hanno trovato una location perfetta per quella sequenza. “La chiave per la nostra scena in prigione era che Geary e Brutus avrebbero avuto una conversazione e che Paul li spiasse in modo da non rivelarsi a Brutus, dal momento che è stato lui a sparargli in passato e, dunque, non può mostrargli il suo volto”, spiega Brandt sulla scelta della location del carcere.
Come in tutti i thriller di spionaggio, THE DOUBLE, è ambientato nella capitale degli Stati Uniti, sebbene a differenza dei suoi predecessori, il film mostra altre zone di Washington D.C. Invece di utilizzare paesaggi e monumenti per i quali la città è conosciuta, i realizzatori hanno deciso di mostrare un lato più ruvido della capitale. “È più sporca, più caotica e, in un certo senso, più adatta al gioco di spie. Abbiamo cercato zone che la mantenessero autentica e reale, come il parcheggio dei camper, il fiume Potomac e le aree più degradate”, dice Haas riguardo alla decisione di non scegliere le solite location.
I realizzatori esordienti danno il merito alla loro troupe –molti componenti della quale avevano già lavorato con loro in passato – per la riuscita del loro primo progetto: “Abbiamo una visione molto precisa per quanto riguarda il tipo di set in cui vogliamo lavorare e le persone di cui ci vogliamo circondare, e se non sei all’altezza dei requisiti, allora puoi anche andare, perché non abbiamo bisogno di te”, dice Brandt riguardo alla politica che hanno applicato sul set.
Certamente i set dei film hanno sempre momenti di stress, ma Brandt e Haas hanno colpito il cast per il modo in cui hanno affrontato insieme il loro primo film, specialmente dal momento che alcuni di loro non avevano mai lavorato con registi esordienti. Grace dice di Brandt: “Sebbene sia relativamente un profano di questo mestiere, è stato comunque su tantissimi set, e ha cominciato come montatore. Penso che sia un forte requisito che l’ha aiutato a sapere esattamente ciò che vuole”.
Sheen, che ha lavorato con tantissimi filmmaker, dice del duo di realizzatori: “Non conoscevo nessuno di loro fino a quando sono arrivato sul set. Avevo parlato con Michael al telefono ed ero rimasto molto colpito e mi sono sentito onorato da loro. Michael è una persona molto dolce con tutti e sembra che nulla possa sconvolgerlo”.
Da esordienti nei ruoli di regista e produttore, Brandt e Haas si sono goduti l’esperienza di avere il controllo totale della visione finale che volevano ottenere. Brandt spiega che in passato, da sceneggiatore, gli era mancata la parte della creazione finale del film: “Mi mancava stare lì a montare e curare il suono. Non perché pensassi di essere in grado di fare film migliori; volevamo però fare i nostri film, e questo fa la differenza”.
Dopo aver ricoperto più ruoli nella lavorazione di THE DOUBLE, Haas è convinto che la parte più gratificante sia stata raggiungere l’obiettivo che hanno stabilito undici anni fa: “L’aver collaborato insieme sia sulla sceneggiatura che durante la pre-produzione, per poi vedere Michael ottenere quelle performance dagli attori, come produttore è stata la cosa più gratificante. Come partner, il piacere è decisamente superiore”.
INTERVISTA AI REALIZZATORI
Come si svolge il vostro processo di scrittura? Come fate a scrivere una sceneggiatura insieme?
Michael Brandt: Lo facciamo da sempre, da quando abbiamo venduto la nostra prima sceneggiatura undici anni fa. Abbiamo trovato un approccio molto organico, Derek ed io abbiamo cominciato a scrivere a mille miglia di distanza l’uno dall’altro. Mentre scrivevamo, continuavamo a scambiarci via e-mail le diverse versioni dello script, finché non ottenevamo quello che ci piaceva davvero. Così abbiamo scritto la prima sceneggiatura undici anni fa. E a oggi questo è ancora il metodo che adoperiamo.
Vi capita mai di non essere d’accordo sulla direzione che la sceneggiatura prende?
Derek Haas: No, noi litighiamo davvero raramente. Il nostro motto è “fare sempre meglio”. Ad esempio capita quando la battuta che scrivi non è ottima come quella che hai appena ricevuto. Ecco, fare tutto meglio ha funzionato per noi nel corso di tanti anni.
Michael Brandt: Sì, fare una cosa in maniera diversa non è abbastanza. Se ci basassimo solo sulla diversità, allora potrei anche rimettere le mie note al loro posto mentre Derek non mi vede. E adesso che sono regista, avrei comunque la scelta finale.
Dopo aver ricoperto i ruoli di regista e produttore, questa esperienza ha cambiato il modo in cui vi approcciate alla scrittura?
DH: Non lo ha cambiato, ma certamente ci ha reso più selettivi sui progetti che vorremmo affrontare nuovamente – con Michael alla regia e io come produttore.
MB: Sinceramente non siamo sicuri di quali effetti avrà. Amiamo il processo di scrittura e di certo io adoro dirigere e avere Derek al mio fianco come produttore. Ma non sappiamo se avremo la possibilità di fare altri cento film come regista e produttore.
Gran parte dei personaggi che create sono piuttosto complessi, quanto è importante avere personaggi stratificati nelle vostre storie?
MB: Quello che cerchiamo veramente di fare è avere gente cattiva che compia buone azioni o viceversa. Credo che se questa cosa è presente, allora può essere interessante per un attore. È interessante per me come spettatore, e se pensate ai personaggi classici del passato, loro erano cattivi che provavano a fare buone azioni o viceversa. Quindi è una scelta facile per noi e penso che scrivere un buon personaggio voglia dire anche attirare l’attore a interpretarlo.
Come è stata la vostra esperienza in questo primo film?
DH: Michael ed io siamo stati fortunati in questo nostro primo film. Stiamo cercando di trovare un modo di creare qualcosa al di là del budget. Questo lavoro poteva essere pazzesco e stressante da realizzare, ma credo che Michael, con tutta la sua anima, abbia pensato: “Ecco come voglio fare il film”. Non è necessario urlarsi addosso a vicenda per ottenere le cose. Siamo stati fortunati.
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